Blade Runner 2049 – Recensione

“Blade Runner 2049”, come il titolo lascia intendere, è il sequel del film cult di Ridley Scott del 1982. Confrontarsi con una pellicola entrata nella storia del cinema non è cosa da tutti, ma Denis Villeneuve ha deciso di raccogliere la sfida. Il regista canadese sarà riuscito a produrre un sequel all’altezza, e riconfermare “Blade Runner” all’apice del genere fantascientifico?

REPLICARE RINNOVANDO 

 

La risposta è un altisonante “sì”. “Blade Runner 2049” è tanto simile al suo predecessore, quanto diverso. Ci riporta nella Los Angeles del prossimo futuro, claustrofobica e malsana, ma al contempo espande quell’universo narrativo spingendolo verso nuove direzioni. Tutti i punti di forza della pellicola di Scott vengono riconfermati, senza la pretesa di adeguarsi ai ritmi sincopati della cinematografia moderna. Il film di Villeneuve è infatti un noir sci-fi in piena regola, lento ma inesorabile, multistratificato.

La storia raccontata non è particolarmente cervellotica, e diversi colpi di scena possono risultare prevedibili. Quello che conta davvero, però, è il modo in cui le vicende vengono raccontate. Ogni svolta narrativa viene costruita senza fretta, in maniera metodica, tendendo lo spettatore come una corda di violino. Si aspetta un’esplosione che tarda ad arrivare, e che quando irrompe colpisce in maniera più forte proprio perché lungamente attesa.

PERSONAGGI IN CERCA D’IDENTITA’

Del resto il protagonista, l’agente “K” interpretato da Ryan Gosling, si distingue per la sua pacatezza. A differenza di Deckard, è ligio al dovere, posato e controllato, ma dentro di lui arde un fuoco che si alimenta poco a poco. Non servono grandi dialoghi per comprendere i pensieri e le emozioni di “K”. Bastano i suoi lunghi silenzi, e l’espressività misurata di un Gosling assolutamente convincente. E’ lui il perno emotivo del film, la nostra guida attraverso le tematiche affrontate da “Blade Runner 2049”. Il plot ha più ampio respiro rispetto alle vicende di Deckard, ma ciò che conta davvero sono le intime motivazioni che spingono ciascun individuo ad agire, la ricerca spasmodica di un’identità e di un senso ultimo alle nostre esistenze.

 

I replicanti sono il veicolo ideale per suscitare nella mente dello spettatore simili quesiti, ma in realtà tutti i personaggi sono sfaccettati e interessanti. Anche gli antagonisti, seppur chiaramente identificati fin dalle prime battute, hanno le loro ragioni, radicali ma umane. Alla tridimensionalità dei vari caratteri concorrono anche le ottime interpretazioni degli attori coinvolti. Harrison Ford conferma di trovarsi al centro di una seconda giovinezza, ma la vera sorpresa è Sylvia Hoaks: brilla più di tutti e cattura l’attenzione in ogni scena in cui appare. Quasi a voler smentire le accuse di maschilismo rivolte al primo “Blade Runner”, le donne della Los Angeles del 2049 si fanno decisamente valere, e sono fondamentali per la trama. Paradossalmente i più sacrificati sono invece gli attesi personaggi di Dave Bautista e Jared Leto, ma la loro presenza, ridotta ai minimi termini, riesce comunque a farsi sentire per tutta la durata del film. Una durata sicuramente importante, e che forse avrebbe giovato di qualche piccola potatura, ma sacrificare anche un solo fotogramma sarebbe stato un delitto imperdonabile.

IL CALORE DEL GHIACCIO

 

L’impianto tecnico di “Blade Runner 2049” è semplicemente sbalorditivo. Da Oscar, se preferite. Le prime note della colonna sonora, composta da Benjamin Wallfish e Hans Zimmer, ci immergono nell’atmosfera del film quando ancora scorrono i loghi delle case di produzione. Una colonna sonora più sottotraccia rispetto a quella di Vangelis, ma che irrompe nei momenti giusti, potente ed evocativa. Il perfetto accompagnamento per le immagini composte da Denis Villeneuve. Ogni inquadratura di “Blade Runner 2049” merita di essere esposta in una galleria d’arte. La tecnica è al servizio della narrazione, con movimenti della macchina da presa composti ed efficaci nel mostrarci un mondo che è frutto dell’integrazione perfetta tra effetti speciali e visivi. Il tutto coadiuvato dalla fotografia impeccabile di Roger Deakins, fredda e calda al contempo.

E’ la duplice natura di “Blade Runner 2049”: distaccato e glaciale nell’apparenza, caloroso ed emozionante nella sostanza. Il film racconta una storia perfettamente compiuta, seppur inserita all’interno di un arazzo più complesso. Gli spunti per creare un franchise ci sono tutti, inutile negarlo, ma eventuali sequel rischiano di banalizzare la materia. Villeneuve, così come Ridley Scott prima di lui, ha scelto di concentrarsi sulle vicende di chi conta poco nel grande schema degli eventi, di chi cerca di orientarsi nel labirinto costruito da uomini che giocano a fare le divinità. Spostare il focus sarebbe rischioso.

CONCLUSIONI

“Blade Runner 2049” è una certezza, un punto esclamativo dirompente. La consacrazione di Denis Villeneuve nel novero dei grandi registi.  La dimostrazione che è possibile rendere onore a un grande classico, senza rinunciare all’impronta personale. La prova che il cinema d’intrattenimento può andare a braccetto con quello d’autore, per la gioia degli occhi e della mente.

 

Blade Runner 2049
Pros
Simile ma diverso da "Blade Runner"
Costruzione metodica della tensione
Personaggi tridimensionali
Distaccato ma emozionante
Impianto tecnico da Oscar
Cons
Alcuni risvolti di trama prevedibili
Leto e Bautista sacrificati
9.5
Voto