Dogman di Matteo Garrone – Recensione

Partendo da uno dei fatti di cronaca più atroci nella storia italiana, Matteo Garrone ci regala un’opera che convince nel voler raccontare una favola cupa, dove la violenza e l’efferatezza del crimine si traducono più in una sofferenza psicologica che fisica.

La pellicola si ispira all’omicidio del criminale e pugile dilettante Giancarlo Ricci, avvenuto nel 1988 a Roma (ma il film è ambientato ai giorni nostri) per mano di Pietro De Negri, detto “Er Canaro”.

Nel cast troviamo: Marcello Fonte (vincitore a Cannes come miglior attore), Edoardo Pesce, Nunzia Schiano, Adamo Dionisi, Francesco Acquaroli, Alida Calabria, Gianluca Gobbi.

Un film potente, che non si lascia inghiottire dal fatto di cronaca a cui è ispirato, ma che anzi, trova la forza di sovrastare la terribile vicenda fatta di sevizie corporali e di mostrarci la vera violenza: quella mentale.

Come ribadito più volte dallo stesso regista, il film “non vuole in alcun modo ricostruire i fatti come si dice che siano avvenuti”: a Matteo Garrone interessa sondare i meccanismi oscuri della mente, come quelli che uniscono Marcello a Simoncino (un bravissimo Edoardo Pesce), un tipico delinquente da periferia.

E proprio quella Magliana diventa un elemento chiave nella pellicola, una Roma periferica fuori dal tempo, selvaggia e metropolitana insieme.

Dogman è la storia di riscatto di un uomo umiliato fin troppe volte, della sua volontà di riscatto per lui, per il quartiere, per i suoi amici traditi.
Ma, alla fine, si rivela solamente un omicida.

Bellissima la fotografia a opera del danese Nicolai Brüel.

In conclusione: essendo Garrone avvezzo a un cinema violento (ha diretto Gomorra) mi aspettavo la storia sviscerata nei minimi dettagli. Per fortuna non è caduto nella trappola.

Dogman è nelle sale italiane dal 16 maggio.