Il 28 settembre del 2014, ormai dieci anni fa, andava in onda il primo grande crossover di due delle IP più fruttuose dell’animazione targata Fox: I Simpson e i Griffin.
L’episodio, intitolato in originale “The Simpson Guy” (da noi “E alla fine si incontrano”) si colloca come il primo episodio della tredicesima stagione dei Griffin e all’epoca rappresentò qualcosa di “storico” (oggi è disponibile su Disney+ in due parti).
Storico perché le due serie, sebbene in onda sulla stessa rete e con toni e pubblici “diversi” da sempre sono state viste dai rispettivi fan come “rivali”, con i Griffin spesso accusati di rappresentare una copia “estremizzata” della famiglia in giallo, che al tempo non vivevano più il loro picco qualitativo e hanno visto nel tempo “proliferare” le serie animate basate sullo stereotipo della famiglia americana.
Il crossover poteva rappresentare un interessante punto sulla storia dell’animazione oppure un prodotto dimenticabile e spudoratamente commerciale.
La verità si pose nel mezzo e divise anche la critica. “The Simpson Guy” per chi lo vide 10 anni fa fu qualcosa che lasciò stranamente stupiti. Stranamente perché mettere i Griffin a Springfield fece inizialmente lo stesso effetto della Nutella Vegana: si storse il naso e si inneggiò indignati alla mera operazione di marketing, cosa che per inciso nessuno ha intenzione di mascherare (come dimostrano le parole dello stesso Chris ad inizio puntata).
Stupiti perché dopo lo straniamento iniziale tutti i pezzi si sistemano e si configura uno strano equilibrio della situazione che rende il tutto curiosamente funzionante, anche se va sempre tenuto a mente che si tratta di una puntata dei Griffin, che, sebbene ambientata nell’universo dei Simpson, non sarebbe mai potuta andare in onda come normale episodio di una stagione dello show di Homer e famiglia.
Osservando in profondità però, il tutto diventa più interessante. Vi invito a guardare con un occhio diverso questa puntata, a maggior ragione adesso a distanza di 10 anni: il tema si risolve in un interessante discorso attorno alle due serie, che passa attraverso citazioni azzeccate, ragionamenti sul plagio, sulla rappresentazione animata della famiglia americana, sulla rivalità tra gli show di MacFarlane e Groening.
Mi pare evidente che sia una mera operazione di marketing di Fox, non potrebbe essere altrimenti. Ma va di certo detto che è stata una buona (non eccellente) operazione di marketing. La puntata ha i suoi punti morti, è vero, ma la disputa Duff-Pawtucket Patriot è la vera chiave di comprensione dell’episodio, il suo fulcro narrativo.
E soprattutto la presenza di Fred Flinstone come giudice del processo è molto più di un semplice cameo: ragioniamo sul fatto che parlare di plagio, di belle o brutte scopiazzature è ormai inutile e superfluo (nonostante i primi a farlo siano stati proprio i Griffin e i Simpson, punzecchiandosi a vicenda in più occasioni). Sono i rispettivi contesti socio-culturali-televisivi di partenza a costruire le rappresentazioni delle famiglie americane: i Flinstone, i primi Simpson, i Simpson post 2000, i Griffin e tutte le altre famiglie della televisione americana, sono figlie dei rispettivi momenti storici. Restano le basi, ma cambiano i tempi, evolvono e mutano le famiglie e deve evolvere il loro modo di raccontarle.
Banalità? Certo. Ma è la verità, ed invece di perdere tempo a tribolare su chi ha copiato chi, l’invito del crossover è quello di goderci questi show. Che, a distanza di dieci anni, dopo un passaggio sotto le ormai enormi ali di Disney, continuano a raccontarci la nostra società, sebbene con altalenante successo.