Il 9 giugno è arrivata su Netflix la nuova stagione di Orange is the new black (OITNB nel prosieguo). La serie è ideata da Jenji Kohan ed è prodotta da Lionsgate Television. La sua storia è ispirata alle memorie di Piper Kerman, OITNB: My Year in a Women’s Prison, e racconta le vicende di un eterogeneo gruppo di detenute in un carcere femminile.
Abbiamo avuto l’opportunità di vedere qualche episodio in anteprima e devo dire la verità, le prime puntate non mi sono dispiaciute, anzi.
Il tema principale questa volta è la rivolta che nasce in seguito alla nuova gestione della prigione e alla morte violenta di una detenuta. Il primo episodio parte da dove si era conclusa la quarta stagione: Dayanara (Dascha Polanco) punta una pistola contro Humphrey. Sparerà il fatidico colpo?
Le prime puntate sono molto adrenaliniche e frenetiche, scorrono velocemente andando subito al dunque. Il problema è che questo dunque si protrae per lungo tempo ed è costellato da episodi a dir poco imbarazzanti: Il concorso dei talenti, il processo di Doggett, le proposte di matrimonio, le detenute che giocano al dottore o al fare le youtuber, l’esaurimento di Red, le problematiche matrimoniali di Lorna, ecce cc… Si susseguono queste e altre vicende che fanno sembrare la rivolta innescata una specie di autogestione mal riuscita. Tutti questi momenti sono inutili e sembra che siano stati inseriti per riempire dei vuoti, facendo così perdere all’intera stagione tutto il suo mordente poiché pare di vedere una sit-com di bassa lega. Ed è un vero peccato in quanto, almeno all’inzio, OITNB andava a denunciare i problemi che i carcerati affrontano quotidianamente.
Piper Chapman (Taylor Schilling) è ormai diventata una mera comparsa, e quelle poche volte che la vediamo fa cose stupide, dice battute banali e aspetta passivamente che arrivi il suo momento di gloria negli ultimi episodi.
Di fondamentale importanza è invece il momento (che durerà per diverse puntate) in cui Taystee (Danielle Brooks), portavoce auto votato, cercherà di contrattare affinché le condizioni del carcere possano migliorare e offrire alla detenute una vita migliore durante la loro pena e un futuro nel momento in cui abbandoneranno quel luogo di restrizione. Il tutto avviene mentre le altre sono impegnate a sniffare caffè, imbandire talent show dove i concorrenti sono gli ostaggi che si prestano ad esibizioni canore, sketch comici e balletti osè.
Questa stagione, escludendo i primi due episodi, si riprende solo verso le ultime puntate, quando finalmente la rivolta sembra trovare la sua fine.
È un vero peccato che una serie così ben congegnata sia diventata una specie di satira mal riuscita del sistema carcerario. L’obiettivo sembrerebbe quello di denunciare determinate situazioni ma il tutto viene soppiantato dal clima burlesco che si è voluto ricreare. Il problema sono anche le tante storie che si vogliono raccontare, in quanto i personaggi principali, con il passare del tempo, diventano veramente troppi. E uno degli sbagli più grandi è quello di voler dare a tutte la medesima importanza.
Una delle poche cose positive sono i flash- back che vanno a raccontare quella che era la vita delle detenute prima di finire in carcere. Le loro storie, spesso, spingono a riflettere su quali possano essere le cause che si nascondono dietro ad un arresto.
Le stagioni precedenti erano belle e coinvolgenti, anche se con il tempo lo standard si è un po’ abbassato. Quest’ultima, a causa delle tante storie raccontante che mancano di intrecciarsi, dello spropositato umorismo, delle situazioni paradossali e inverosimili che si vengono a creare, è oggettivamente la più brutta in assoluto. E devo essere sincera: guardare un episodio di fila è stato veramente arduo a causa di improvvisi “cedimenti di palpebra”.
Consiglio la sua visione?
Beh, per dare alla serie un senso di completezza, sì, ma non createvi false aspettative e mi raccomando: prima della sua visione fate una buona scorta di caffè.