Quante volte avete sentito il termine “Soulslike” usato a sproposito, negli ultimi anni?! Ci sono delle situazioni, però, nel quale questo aggettivo può definirsi assolutamente calzante!
È questo il caso di Remnant: From the Ashes (da qui chiamato anche solo “Remnant”), titolo sviluppato dalle brillanti menti dei ragazzi di Gunfire Games, autori degli ultimi Darksiders, e approdato sul mercato dal 20 agosto di quest’anno. Ma quali sono le meccaniche che lo accomunano alla tanto elogiata serie From Software?! E, soprattutto, si tratta di un prodotto estremamente derivativo oppure è riuscito a mantenere una propria identità? Tutte queste risposte (e molte altre) nella nostra recensione di uno dei titoli che più ci ha sorpresi negli ultimi mesi!
Versione testata: PlayStation 4
“Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radici in altri.” (Lev Tolstoj)
In Remnant: From the Ashes, dopo aver delineato l’aspetto del nostro protagonista, ci troveremo naufragati su un’isola misteriosa popolata da pericolose creature chiamate Root e da quella che sembra essere l’ultima resistenza rimasta per far fronte alla loro invasione. Con lo scopo di capire che fine abbia fatto l’eroe destinato a debellare il male che affligge l’umanità da centinaia di anni, saremo costretti a collaborare con i sopravvissuti del posto per riuscire a completare la nostra missione, tentando di non morire nel mentre.
Proprio come in Dark Souls, anche in Remnant ci troviamo di fronte a una storia che predilige una narrazione portata avanti tramite i dialoghi con gli NPC e forte di una Lore approfondita e curata in ogni minimo dettaglio. Non aspettatevi, quindi, grandi cut-scene o una regia particolarmente cinematografica, perché il linguaggio utilizzato è ben diverso e la cosa appare chiara dal lavoro degli sviluppatori. Evidenziamo, però, come siano presenti numerosi dialoghi facoltativi, capaci di rendere il tutto più comprensibile e fluido rispetto ai titoli From Software (cosa che, lo ammettiamo, abbiamo davvero apprezzato). Ad ogni modo, la sceneggiatura ci è sembrata solida, seppur non memorabile, ma caratterizzata da alcuni personaggi secondari che sicuramente ricorderemo per lungo tempo. Il protagonista, invece, appartiene a quella lunga schiera di eroi silenziosi, creati per fare in modo che il giocatore s’immedesimi appieno nella vicenda, che in questo caso può essere portata a termine in circa venti ore di gioco.
Un plauso in particolare va fatto al registro che accompagna tutta la vicenda, forte di numerosi parallelismi con la scrittura e l’immaginario di H. P. Lovecraft, tanto da farci spesso pensare di trovarci all’interno di un gigantesco omaggio alle opere dello scrittore americano. Inutile negare che l’atmosfera che si respira è marcia, opprimente e, spesso, soffocante, perfettamente in linea con la sensazione di pericolo costante che il gameplay trasmette.
“Con i mattoni si costruisce, grazie alle radici si cresce.” (Susanna Tamaro)
I ragazzi di Gunfire Games sono riusciti a creare un TPS difficile, carismatico e dal ritmo sincopato che all’inizio ti prende a schiaffi, solo per offrirti poi delle carezze tranquillizzanti, che impediscono al giocatore di togliere le mani dal controller per ore e ore di masochistico divertimento.
Una volta scelta una delle tre classi a disposizione, caratterizzate da abilità e armi differenti, ci troveremo a far fronte a ondate su ondate di nemici create in maniera procedurale, nel tentativo di superare l’area di turno senza venire uccisi. Uno dei punti di forza della produzione è proprio quello di essere punitivo, ma mai davvero in grado di scoraggiare il giocatore e riuscendo semplicemente a spingerlo a migliorarsi costantemente. Il gunplay, infatti, restituisce un ottimo feedback per le armi e la possibilità di schivare o di difendersi in scontri corpo a corpo (prestando attenzione alla barra della stamina, ovviamente) fanno il resto in una produzione dove, se si dovesse perire, sarà quasi sempre colpa del giocatore.
La morte, proprio come nei Dark Souls, ci riporterà all’ultimo checkpoint incontrato (qui chiamati “punti di controllo”) che potrà essere utilizzato per spostarci di area in area con il viaggio rapido oppure per tornare all’hub centrale. Nel succitato hub, com’è logico aspettarsi, si potrà commerciare con i vari NPC e utilizzare i materiali raccolti per potenziare le nostre abilità, le nostre armi, le nostre armature o per creare una serie di modifiche, fondamentali da equipaggiare per procedere con maggior tranquillità nell’avventura. Le Mod, infatti, fungono da vero e proprio “fuoco secondario” per le nostre bocche da fuoco, permettendoci di ottenere bonus come una maggior potenza di fuoco o (cosa che abbiamo trovato utilissima) la possibilità di creare una pozza curativa ai nostri piedi. Le combinazioni sono tante (ma mai troppe) e vi basterà qualche sessione di gioco per comprendere immediatamente quale sia la miglior strategia per il vostro personaggio, in modo da affrontare al meglio l’avventura in solitaria o di trovare un equilibrio all’interno della vostra squadra. Questo perché, sì, è possibile giocare online a Remnant: From the Ashes in compagnia di altri due giocatori, aumentando di molto il divertimento, ma (purtroppo o per fortuna) anche la difficoltà di gioco, che saprà raggiungere livelli davvero impegnativi nel caso di un party completo.
Una volta trovato il vostro equilibrio nelle statistiche, sarete pronti per tornare in pista e per affrontare una vasta varietà di creature, che culminano in boss fight impegnative, ma allo stesso tempo appaganti. Da segnalare, però, come ognuna di queste boss fight presenti la complessità di dover non solo tenere testa al mostrone di turno, ma anche di saper gestire frotte di minions tanto semplici da sconfiggere quanto capaci di infliggere danni consistenti a ogni loro colpo. Non vi nascondiamo, infatti, che le prime ore di Remnant sono state molto difficili da digerire, permettendoci di prendere la mano solamente dopo 3-4 ore di gioco e conquistandoci davvero solamente dopo 5-6, presentando una curva di apprendimento leggermente impegnativa all’inizio, per poi assestarsi in un secondo momento. Insomma: se avete provato il titolo Gunfire Games e ne siete rimasti scottati non disperatevi: dategli tempo e vi garantiamo che le soddisfazioni arriveranno!
“Una radice è un fiore che disprezza la fama.” (Khalil Gibran)
Da un punto di vista tecnico, Remnant: From the Ashes riesce a mascherare i suoi spazi vuoti e le sue texture a volta slavate grazie a un sapiente lavoro di character design e alla capacità del gioco di tenere il giocatore sempre concentrato sui propri avversari, pena una morte rapida e di sicuro non indolore. Molto curata la palette cromatica, che punta molto sui toni rossi per far trasparire la corruzione dei Root e la conseguente pericolosità dei propri avversari, dando vita ad ambienti che potranno anche essere spogli, ma che trasmettono comunque la dovuta atmosfera. Nulla da dire, invece, per il comparto sonoro che si comporta senza infamia e senza lode, riuscendo a conquistarci nel corso delle nostre partite, ma senza mai farci gridare al miracolo. Solido come una roccia, infine, il frame rate e del tutto assenti bug di qualsiasi tipo, cosa che, in un titolo dove ogni minimo rallentamento può essere fatale, non può che essere molto apprezzata.