Parasite: il film premio Oscar di Bong Joon-ho
Uscito in Italia lo scorso Novembre, Parasite di Bon Joon-ho è entrato nella storia per aver vinto il premio Oscar nella categoria miglior film, primo film in lingua straniera che è riuscito in questa impresa.
Oltre alla statuetta più ambita, si è portato a casa anche altri succulenti premi quali miglior regia per Bon Joon-ho, migliore sceneggiatura originale e miglior film straniero.
Ma di cosa parla Parasite e come mai è stato apprezzato così tanto?
Non è un mistero che la filmografia coreana sia una tra le più interessanti nel panorama della cinematografia internazionale. Noi tutti ci ricordiamo di Oldboy (2003) diretto da Park Chan-wook, che da subito riscosse un grande successo. Drammatico, violento, era in grado di mettere a nudo le debolezze umane.
Con Parasite ci troviamo di fronte a una regia pulita, chiara, che si adatta perfettamente a ogni personaggio e ne accompagna le azioni. Ogni sequenza è curata nei minimi dettagli e le inquadrature risultano perfettamente geometriche, anche quelle fuori campo.
Questo rigore lo si ritrova anche nella scelta di registro dei personaggi, sempre molto studiato e preciso, ma anche nella musica che fa da accompagnamento, che spazia dal genere classico alla canzone italiana degli anni ’60.
Il film si fa portatore di una riflessione politica e sociale, che sfocia in un pessimismo estremo. Il capitalismo è qui visto come unico scopo a cui l’uomo può ambire. Due famiglie che sono il ritratto di due classi, quella ricca e quella povera, lottano in uno scontro hobbesiano in cui homo homini lupus (l’uomo è lupo per un altro uomo), emblema di un forte individualismo. La natura umana è egoista, non si salvano nemmeno i rapporti familiari, che soccombono all’istinto di sopraffazione e violenza.
La famiglia povera ambisce soltanto ad avere lo status di ricchezza, per questo motivo tenterà in tutti i modi di intrufolarsi come esseri striscianti – nel film questi personaggi vengono ritratti letteralmente striscianti e maleodoranti – e prendere il posto della famiglia ricca escogitando furbissimi stratagemmi. Un po’ come gli insetti a inizio film, che imperterriti ritornano nel seminterrato dove vive la famiglia di Ki-taek, a dispetto delle disinfestazioni.
La trama, col passare del tempo, si fa grottesca e sfocia, seguendo un climax, in tragedia. La battaglia cambia forma e si assiste a uno scontro tra poveri contro poveri, dove le vittime si scambiano e il testimone passa a coloro che vivono in condizioni ancor più miserabili.
La villa stessa, in cui si svolge la maggior parte della storia, racchiude in sé uno schema piramidale che riflette lo status sociale dei personaggi: i ricchi vivono ai piani alti o al piano terra, mentre i reietti, come parassiti, si annidano negli scantinati bui dove vivono a spese della ricca borghesia e dove sono destinati a rimanere.
Con questo film Bong Joon-ho ci lascia con un senso di totale turbamento, fin proprio alla fine, quando è ormai chiaro che anche l’ultima sequenza, immagine di riscatto sociale, non è altro che una mera utopia.