Il nuovo graphic novel degli autori di Kraken che mostrano una nuova lotta tra l’uomo e la natura, ma in chiave più realistica
Emilio Pagani e Bruno Cannucciari, dopo il grande successo avuto con l’opera Kraken (di cui potete leggere la nostra recensione cliccando qui) ritornando con un altro graphic novel che riprende come argomento principale il conflitto perenne tra l’uomo e la natura trasportandoci, questa volta, in un piccolo paesino dell’entroterra italiano dove gli abitanti restano affezionati alla piccola comunità e vivono costantemente la paura dell’ignoto e dell’estraneo. Quest’ultima è metaforizzata dal dualismo tra gli immigrati e i cinghiali, ma spiegheremo meglio questo concetto più avanti nel corso della recensione di Stagione di Caccia, edito e pubblicato da Tunué.
Una storia tanto cruenta, quanto verosimile
In Stagione di Caccia i due autori decidono di abbandonare l’ambientazione mitologica e grottesca di Kraken approcciando ad una vicenda molto più realistica e attuale, senza però abbandonare i tratti cupi e popolari. Il lettore viene catapultato all’interno di un piccolo paesino circondato da boschi in cui la vita scorre lenta in una costante monotonia che viene interrotta unicamente dalla stagione della caccia. Misteriosamente, però, la quiete del piccolo centro abitato viene scossa prima da alcuni furti e poi da un terribile omicidio che vede, al momento, un unico sospettato già sotto interrogatorio dalla polizia. Si iniziano a creare due fazioni: da una parte i cacciatori che accusano gli immigrati e dall’altra parte tre donne che gestiscono un’azienda di prodotti biologici dalla mentalità molto aperta e rivoluzionaria, ma con tanti segreti oscuri. In mezzo, invece del mostro marino, abbiamo un altro elemento naturale caratterizzato da un aspetto innocuo, ma dotato di incredibile ed inarrestabile aggressività: il cinghiale. Quest’ultimo rappresenta l’unica vera ricchezza del piccolo paesino, ma anche la principale fonte di distruzione di culture e animali domestici.
Il populismo che rischia di divenire retorica
L’atmosfera si divide tra il frastuono del borgo cittadino caratterizzato dalle chiacchiere e le bevute al bar tra i cacciatori e le sirene della polizia, e il silenzio quasi raccapricciante del bosco in cui vivono le tre donne. All’interno di questo bosco si nascondono pericoli e misteri, ma è proprio l’oscurità che dona quel senso di protezione da essi. Nel bosco però sono presenti i cinghiali, animali all’apparenza pacifici, ma che negli anni sono stati perseguitati per divertimento e per l’alimentazione dell’uomo. Anche per difesa, oltre che per indole naturale, il cinghiale ha innalzato le sue difese diventando a sua volta aggressivo nei confronti dell’uomo e quindi un pericolo per gli abitanti del paesino e soprattutto per le le tre donne che vivono a stretto contatto con la natura. La metafora è abbastanza evidente nell’intreccio della diversità: la paura dello straniero è sempre insita nell’uomo, anche se proviene da altri uomini. Il fulcro centrale sono gli atti criminali in aumento e in particolare un omicidio irrisolto e per gli abitanti i colpevoli sono gli immigrati trattati metaforicamente al pari dei cinghiali. Il tutto emerge attraverso l’uso di immagini, ma in particolar modo dialoghi pesanti e dal linguaggio molto aperto. Questo, infatti, si arricchisce di un vocabolario colorito e da visioni un po’ troppo retoriche, ma che seguono appieno le espressioni populiste degli ultimi tempi. Queste ci permettono di immedesimarci maggiormente nell’ambiente, ma appesantiscono la lettura e la sua fluidità anche a causa di riferimenti sessantottini, politici, culturali, razziali e sessuali. In ogni caso la struttura narrativa è nel complesso solida e rafforzata da un intreccio non solo narrativo, ma anche visivo che mostra le paure e i misteri dei protagonisti, ma li sveste anche della classica distinzione tra buoni e cattivi mostrandone ogni faccia della stessa medaglia.
Il realismo visivo e l’uguaglianza monocromatica
Stagione di Caccia è un’opera che, come già accennato poco sopra, riesce a rafforzare le tematiche trattate anche grazie ad un uso sapiente dei colori e di disegni a matita molto realistici. Dopotutto la vicenda è verosimile nella sua interezza, anche nella crudeltà e la scelta di un approccio monocromatico basato unicamente su una scala di grigi conferma la volontà degli autori di non porre nessun personaggio su una scala di importanza, ma di trattare ognuno allo stesso modo poiché ogni personaggio ha a sua volta diverse sfaccettature caratteriali e alcuni segreti da nascondere, come d’altronde accade nella realtà. Ecco che qui compare un’altra similitudine con la natura e il cinghiale: ogni persona ha la stessa radice evolutiva e pertanto è passato da animale primitivo ad uomo nascondendo la sua vera natura dietro il bosco della ragione e della coscienza. Può nascondere questa sua natura quanto vuole, ma prima o poi verrà a galla devastando tutto ciò che ha intorno, suoi simili compresi.
Commento conclusivo
In conclusione Stagione di Caccia è un’opera breve, ma intensa e ricca di colpi di scena inaspettati. La morale che ne traspare alla fine è intelligente e d’impatto così come le varie metafore dell’uomo e del cinghiale che non fanno che rafforzare il messaggio finale. I disegni mostrano tutto il realismo e la forza della narrazione maggiormente e si completano con dei dialoghi pesanti e coloriti, ma che riescono a rappresentare al meglio il racconto. L’unico punto debole, forse, sono proprio i dialoghi che tendono a divenire ripetitivi usando formule fin troppo retoriche come “la natura va rispettata” e “l’animale più pericoloso è l’uomo”, ma nel complesso siamo d’innanzi ad un’altra ottima opera di Emilio Pagani e Bruno Cannucciari che, dopo Kraken, si riconfermano due maestri del genere.