Il cinema secondo Wes Anderson. Il regista compie oggi 51 anni

Il cinema secondo Wes Anderson

Classe 1969, Wes Anderson nasce il 1 maggio a Huston, Texas. Fin da piccolo rimane affascinato dal mondo del cinema ed è con il super8 del padre che iniziano le sue prime sperimentazioni filmiche.

Laureato in filosofia all’Università del Texas di Austin, Anderson subito dopo inizia a dedicarsi a pieno alla professione cinematografica, realizzando diversi cortometraggi trasmessi sulla tv locale. Complici delle sue produzioni i fratelli Luke e Owen Wilson, con i quali il regista stringerà una forte amicizia, personale e professionale.

Il primo lungometraggio che lo farà notare agli occhi della critica è Bottle Rocket (1996), ispirato al suo omonimo corto che, presentato al Sundance Film Festival, gli fa avere un i primi finanziamenti. Martin Scorsese sarà tra i registi a notare con sorpresa le sue doti, tanto da definite Bottle Rocket “una rarità. Un delicato e commovente ritratto degli esseri umani”.

Nel 1998 Anderson darà vita al suo secondo film Rushmore, in cui l’adolescente Max, geniale quanto tormentato, tenterà di fare il suo ingresso nel mondo degli adulti. Le atmosfere ingessate, le uniformi dell’istituto dove la pellicola è ambientata, sono un chiaro riferimento alla St. John’s School, dove Anderson ha studiato e ha conseguito il diploma nel 1987. Rushmore è anche il primo film dove compare Bill Murray, uno dei tanti attori che il regista prenderà sotto la propria ala anche per i lavori successivi. Insieme a lui infatti altre grandi stelle del cinema come: Willem Dafoe, Edward Norton, Tilda Swinton, Ben Stiller, Adrien Brody, Gene Hackman, Anjelica Huston.

Questo metodo di lavoro, che riguarda il volersi circondarsi di attore fidati, coinvolgerà anche i tecnici, dai fonici ai direttori della fotografia eccetera. Come dichiarato più volte dallo stesso regista, il suo è un voler ricreare una sorta di nucleo familiare.

Mi piace vedere le stesse facce quando lavoro, se devo stare lontano da casa, voglio comunque sentirmi a mio agio.

Nel 2001 Wes Anderson torna al cinema con un altro gioiellino I Tenenbaum, con al centro le vicende di un’eccentrica famiglia newyorkese. Il ritratto che ne dà è sofferto e controverso e i rapporti affettivi qui rappresentati sono continuamente messi in discussione, causa una incolmabile incomunicabilità. Il tema della famiglia alla deriva è uno dei più ricorrenti nei suoi film, ciò dovuto sicuramente al divorzio dei suoi genitori avvenuto in tenera età; per questo molto spesso i bambini sono da lui rappresentati come esseri maturi, appartenenti a un universo tutto loro e totalmente estraneo a quello degli adulti. Un mondo infantile in cui si rimane piccoli per sempre e dove la sofferenza e la tristezza sono filtrate dagli occhi dell’innocenza.

Seguono poi Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2005), omaggio a Jacques-Yves Cousteau, esploratore, navigatore, oceanografo e regista; e Il treno per il Darjeeling (2007), presentato a Venezia, dove tre fratelli intraprendono un viaggio tra varie regioni dell’India per ritrovare loro stessi e il legame che un tempo li univa. Da segnalare anche il cortometraggio che completa il film, Hotel Chevalier, con Natalie Portman.

Nel 2009 Wes Anderson approda nel mondo dell’animazione stop-motion con Fantastic Mister Fox, tratto da un racconto di Roald Dahl, pur non mancando di dare alla narrazione la sua inconfondibile impronta stilistica.

Con Moonrise Kingdom (2012) arriviamo forse a quella che è la sua opera più onirica, una favola moderna in cui due ragazzini, Sam e Susie, decidono di fuggire per prendere le distanze dal mondo degli adulti, squallido e corrotto.

Grand Budapest Hotel (2014) è l’ultimo lungometraggio live-action del regista; ambientato negli anni ’30, si ispira alle opere di Stefan Zweig, ed è forse il film più brillante e completo di tutti i suoi lavori finora.

Troviamo infine L’isola dei cani (2018), altro suo lungometraggio in stop-motion, in cui il dodicenne Atari compie un intrepido viaggio alla ricerca del suo cane, finito in una discarica dove vengono esiliati tutti i cani della città di Megasaki, in Giappone.

Come tutti i grandi registi, a cui lo stesso Wes Anderson si ispira, da Fellini a Scorsese a Lynch, anche lui dal 2002 si è cimentato nella realizzazione di spot pubblicitari di grandi aziende. I più memorabili sono quelli realizzati insieme a Roman Coppola per Prada, per la promozione dell’eau de parfum Candy, in cui è forte il citazionismo alla Nouvelle Vague francese. Un perfetto bianco e nero fa da cornice a un corteggiamento che ci rimanda con la memoria inevitabilmente a Godard, con il suo Bande à parte.

Memorabile anche lo spot con Jason Schwartzman, Castello Cavalcanti, sempre per Prada, chiaro riferimento e omaggio a Fellini e in più in generale alla cinematografia italiana dell’epoca. Più volte infatti, Wes Anderson ha rivelato il suo amore per il regista italiano; non a caso nei suoi film si ritrovano elementi onirici e surreali, già introdotti da Fellini, in un gioco continuo tra evasione e ritorno alla realtà.

Ma il cinema di Anderson non si riduce a mero sfoggio estetico e simmetria maniacale, anzi ogni cosa è bilanciata perfettamente. L’ironia dei protagonisti non sostituisce il loro spessore emotivo ed è per questo che spesso ci appaiono in balìa della malinconia, schiacciati dal peso dell’esistenza.

Ogni film è un viaggio, una fuga, che non ha come scopo il raggiungimento di qualcosa bensì è nell’atto stesso di partire che risiede la rinascita, la riscoperta di se stessi.

Prendendo in prestito le parole di Antonioni, “l’atto di fare cinema e l’atto di guardare sono esattamente la stessa cosa”, così Wes Anderson ci dà la possibilità di gustare a pieno come lui riesce a vedere il mondo, dando vita a un cinema che è una pura riflessione sullo sguardo umano.