Last night in Soho: la recensione del nuovo film di Edgar Wright

Horror, pop e dalle vibes anni ’60 l’ultimo progetto del regista di Baby Driver è peculiare e inaspettato, nulla è come sembra 

Last night in Soho: la recensione del nuovo film di Edgar Wright

Dopo l’anteprima veneziana Last night in Soho dal 4 novembre 2021 è disponibile nelle sale italiane. Il nuovo progetto horror di Edgar Wright conserva l’animo pop che contraddistingue il regista. Colonna sonora e costumi in pieno stile anni ’60. Passato e presente, visioni e realtà si fondono perfettamente. Il rosso è il colore predominate, affiancato da un blu molto intenso. La fotografica è a tratti psichedelica. I colpi di scena e le rivelazioni sono inaspettate ma convincenti, nulla è come sembra. Il film è fruibile anche da un pubblico che mal digerisce gli horror, crea la giusta atmosfera ma non è inquietante o eccessivamente spaventoso. 

Ecco il trailer di Last night in Soho:

La storia ed i personaggi di Last night in Soho

Londra può essere troppo. Troppo rumorosa, troppo eccessiva o troppo spietata. Eloise, interpretata da una convincente Thomasin McKenzie, lo comprende quasi subito. Elly sogna da sempre di diventare fashion designer a Londra, la città che ha solo e sempre visto in fotografia. Immagina di vivere una vita spensierata e interamente dedicata alla sua passione. Purtroppo il suo sogno idilliaco viene quasi subito infranto. Elly è una ragazza fragile, solitaria e dall’animo vintage che difficilmente si abbina alle caratteriste ed ai gusti delle sue nuove compagne di corso, ragazze snob ed invidiose del talento altrui. 

La giovane Elly è cresciuta con la nonna dopo il suicidio della madre. La ragazza ha un dono speciale: percepisce i fantasmi. Da tempo vede riflesso nelle specchio della sua cameretta in Cornovaglia l’immagine della madre. La vede soltanto, non è in grado di comunicare a parole con lei. La nonna conosce le abilità della nipote e teme che Londra possa risvegliare nella ragazza tormenti e strazi passati. Purtroppo per Elly i timori della nonna materna trovano concretezza. 

Eloise appena arrivata a Londra decide di abbandonare il dormitorio e di andare a vivere in un solitario monolocale gestito da una tranquilla signora anziana. La nuova camera di Elly è in perfetto stile anni ’60: giradischi d’epoca, mobili vintage e una comoda toeletta. La camera all’apparenza percepita come il nuovo spazio tranquillo in cui Elly può evadere dai problemi quotidiani si trasforma ben presto in una prigione. Fin dalla prima notte Elly nel sonno raggiunge un’altra dimensione: si ritrova nella Londra anni ’60 nei panni della seducente ed ambiziosa Sandie, interpretata da una sempre bravissima Anya Taylor-Joy. Di giorno Elly conduce la vita della studentessa di design mentre di notte vive le avventure di Sandy. La sua doppia vita, in principio affascinate e intrigante, finisce per sopraffarla. Le visioni si fanno sempre più inquinanti, crude e violente. La notte diventa un incubo per Eloise che cerca qualsiasi intrattenimento pur di non tornare a dormire nella sua nuova camera. Matt Smith (The Crown) interpreta Jack, manager delle cantanti di tanti locali della Londra notturna negli anni ’60. Affascinante, ribelle e tenebroso incanta Elly e Sandie. Sfortunatamente non è il gentiluomo che finge di essere. 

Thomasin McKenzie è sorprendentemente convincete. L’attrice, per la prima volta protagonista di un film dal grande richiamo, mostra al meglio tutte le sfumature del suo personaggio: fragile, solitaria ma anche determinata a fare giustizia. Anya Taylor-Joy riempie di colori la sua Sandie, seducente, sempre raffinata e all’apparenza irraggiungibile. Anya balla e canta divinamente, non ha nulla da invidiare alle star dei musical di Broadway.

Temi e aspetti tecnici: è davvero tutto come sembra?

Il film fonde in maniera sapiente le visioni passate con il tempo presente e mostra gradualmente la paura crescente in Elly. Edgar Wright conserva anche in Last night in Soho l’animo pop che lo contraddistingue. La scelta dei colori, i costumi e la colonna sonora rappresentano al meglio la visione dell’artista. Le immagini urlano anni ’60 da ogni pixel. 

La storia segue una narrazione non lineare e pian piano svela i misteri che si celano dietro la figura misteriosa di Sandy. Nulla è come sembra. Fino alla fine il film porta lo spettatore a pensare di aver ben individuato vittima e carnefice, il regista ha invece in serbo diverse sorprese. La trama è solida e convincete, forse sul finale ha qualche imperfezione causata dalla mancata coerenza tra visioni e realtà dei fatti. La scena del regista è comprensibile, il plot twist finale non sarebbe esistito altrimenti. Forse a volte siamo talmente convinti delle nostre idee e ci immedesimo così tanto nei panni altrui che siamo portati a distorce la realtà, spiegazione che supporterebbe la scelta del regista. In realtà forse Wright era talmente affezionato alle due strade percorribili che ha deciso di seguirle entrambe creando un finale che non conduce ad una netta distinzione dei ruoli. 

I temi principali vertono attorno alla violenza di genere, all’autodeterminazione ed alla libertà di essere se stessi. La figura della donna sia nell’epoca contemporanea che nel passato viene approfondita dagli sceneggiatori (Edgar Wright e Krysty Wilson-Cairns) che decidono di mettere in risalto pregiudizi, preconcetti e stereotipi del mondo femminile ribaltandoli e capovolgendo, in parte, la medaglia. La donna debole ed indifesa e l’uomo predatore. Il desiderio di giustizia. Il bisogno di conquistare il proprio posto nel mondo a qualunque costo. I desideri ed i sogni a volte possono costare davvero caro. Fino a che punto siamo disposti a sacrificare noi stessi pur di raggiungere i nostri obbiettivi?

La pellicola non è spaventosa quanto potrebbe sembrare, infatti è perfettamente fruibile anche da un pubblico che mal digerisce gli horror. Sono presenti alcune scene splatter ma non creano eccessivo turbamento visivo come il genere horror solitamente provoca. La fotografia è contraddistinta dal colore rosso, ogni tanto sostituito dal blu acceso. I colori sono sgargianti e a tratti volutamente invasivi. Se le luci stroboscopiche della discoteca vi provocano disturbo agli occhi, preparatevi. Last night in Soho ricrea volutamente in diverse scene l’effetto tipico del disturbo ottico provocato dalle luci troppo intense. 

Last night in Soho è peculiare e inaspettato, sconvolge e conquista. Il finale potrebbe non soddisfare tutti ma il viaggio merita la visione. 

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