Bones and All, l’amore che letteralmente divora corpo e anima
Ecco finalmente Bones and All. Il film di Luca Guadagnino (Chiamami col tuo nome) è approdato al Lido come film a concorso per la settantanovesima edizione del festival del cinema di Venezia. Ieri ho visto la pellicola e posso finalmente parlarvene senza restrizioni. Bones and All è un lungometraggio che per temi e toni si discosta completamente da Chiamami col tuo nome, se vi è piaciuto il film che ha lanciato la carriera di Timothée Chalamet potreste non apprezzare il nuovo lavoro del regista italiano.
Bones and All è cruento, non risparmia scene splatter e violente. Per il mio personalissimo gusto è forse troppo spinto verso il genere horror. Non è un film adatto ad un pubblico facilmente impressionabile. La pellicola utilizza il cannibalismo come metafora dell’amore estremo, della diversità e delle malattie genetiche. Un film che, nonostante la fusione di generi, conserva la poesia di Guadagnino. Timothée Chalamet perfetto, Taylor Russell una piacevole scoperta. Ecco la recensione di Bones and All.
“Maybe love will set you free”
Partiamo dal rispondere alla domanda che voi tutti vi starete facendo: mi è piaciuto Bones and All? Ecco, la risposta non sarà secca. Durante la visione e appena uscita dalla sala avevo un’idea ben precisa. Tuttavia questo film ha bisogno di essere elaborato, vissuto e ripensato per poter ricevere un giudizio completo. Parto col dirvi che è un film con tante ma davvero tante scene horror, splatter e crude. La pellicola ha una forte anima gore che è difficile trascurare e, per chi (come me) ha lo stomaco debole, difficile da digerire. La storia scelta da Guadagnino per la sua nuova opera è incentrata sul cannibalismo, utilizzato poi come metafora dell’amore estremo, della diversità e della mattate genetiche; resta però che di cannibalismo si parla.
Maren Yearly (Taylor Russell) è una giovane ragazza di 18 anni che fin da piccina ha problemi a contenere la sua fame. Maren ha quella che può tranquillamente essere definita come dipendenza da carne umana. Il padre dopo l’ennesimo episodio sceglie di abbandonarla pur di non consegnare la figlia alla polizia. La ragazza inizia così un vero e letterale viaggio on the road nell’America degli anni ’80 alla scoperta del suo passato, della sua identità e dei suoi disturbi.
Non posso proseguire ad illustrarvi altro in merito alla trama perché tutto quello che andrei a citarvi sarebbe considerato spoiler e non vorrei rovinarvi l’esperienza in sala.
La poesia di Luca Guadagnino
La storia è una vera e propria avventura tra i generi: Guadagnino spazia dal road movie all’horror per arrivare al film d’amore e di crescita personale. Bones and All è tutto questo e forse anche di più, è impossibile incasellarlo. Ho trovato estremamente affasciante il fatto che nonostante il miscuglio incredibile di generi diversi il lungometraggio riesce a mantenere un’identità dall’inizio alla fine. La storia non risulta frammentata né disomogenea. Grande merito per l’impresa è da attribuire al regista. Luca Guadagnino trasmette la sua poetica in ogni frame di Bones and All. L’artista è riuscito a rendere poetico ed emozionante un film che utilizza per quasi tutta la sua durata il cannibalismo come espediente per trasmettere messaggi che con esso non hanno nulla a che fare.
Come vi anticipavo all’inizio Bones and All propone il cannibalismo come copertina da esibire in bella mostra e strumento per rappresentare sotto una luce diversa tematiche ricorrenti. Bones and All racconta dell’emarginazione dovuta alla diversità, della solitudine e della possibilità di cambiare il destino che sembra già segnato.
Il cannibalismo nella pellicola del regista siciliano è considerata sia una dipendenza da cui sembra difficile trovare un rimedio, che una malattia genetica. Nessuna della due versioni viene scelta come la soluzione effettiva ma entrambe le vie vengono esplorate nel corso delle oltre 2 ore.
Non posso però trascurare di segnalarvi che la presenza di scene horror è molto importante. Ci sono tante, a mio avviso troppe, scene cruente, volutamente inserite. L’obbiettivo? Stupire e scioccare. Il risultato? Un iniziale disorientamento, la situazione migliora con la prosecuzione della storia.
“Maybe love will set you free”, forse l’amore è la vera chiave di lettura del film. L’amore come possibilità di riscatto, di salvezza e via di fuga. L’amore come cura alla fame cannibale, l’amore come simbolo di speranza che sembra aprire nuove strade sul finale.
Prescindendo dai miei gusti personali (che alla fine vi andrò ad esporre) Bones and All è un film che merita di essere visto per la sua innovazione e la volontà di sperimentazione.
Menzione speciale alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross ed alla fotografia seppiata e vintage in perfetto stile anni ’80.
Timothée Chalamet si conferma all’altezza delle aspettative. Il suo personaggio, Lee, è forte e fragile allo stesso tempo. Chalamet riesce a far emozionare il suo pubblico, la sua attitudine si sposa a meraviglia con lo stile di Guadagnino e il suo fisic du role è perfetto per la storia. Come sempre Chalamet è una certezza. Taylor Russell, invece, è una piacevole scoperta. L’attrice sa essere delicata e tenera e in un secondo si trasforma in un’assassina senza sensi di colpa. Sentiremo ancora parlare molto bene di lei.
Concludo la recensione con il mio parere personale. Trovo che Bones and All sia un film che merita di essere visto per la volta di sperimentazione e la capacità di fondere innovazione e tradizione tecnica, tuttavia non vi nego che il modo in cui il regista ha scelto di rappresentare il tema principale (il cannibalismo seppur utilizzato come metafora) risulta troppo forte ai miei deboli occhi. La pellicola non appartiene al mio genere comfort, ho cercato si separare il più possibile i gusti personali da qualità oggettiva, spero di esserci riuscita al meglio.