L’amore non è un gioco in Sorry We’re Closed!
Fra i vari publisher indipendenti, Akupara Games è uno di quelli che negli ultimi anni sta sempre più emergendo fra la massa, proponendo nel suo catalogo alcuni dei giochi più interessanti nel panorama attuale degli indie. E non è un caso che il team di à la mode games sia finto sotto la loro ala protettiva, con un’avventura abbastanza insolita che potremmo definire un survival horror queer, dove un’amore tossico e maledetto è al centro della storia di Sorry We’re Closed.
In una Londra cupa e fatiscente, Michelle vive la sua quotidianità tormentata dal ricordo della sua relazione con la sua ex, capitolata ormai 3 anni prima, ma che ancora oggi continua a perseguitarla dopo che quest’ultima è diventata un’attrice famosa e di successo.
Una sera come tante, dopo aver staccato dal lavoro ed essere tornata a casa stanca morta, Michelle vive un incubo ad occhi aperti, nel quale un demone dell’inferno, la Duchessa, la maledice, obbligandola ad amarla entro 3 giorni o per lei sarà la fine di tutto. Come ben potete immaginare i rapporti umani non sono il punto forte di Michelle che si troverà quindi a passare gli ultimi 3 giorni della sua vita nel cercare un modo per rompere la maledizione della Duchessa, e perché no fare i conti con il suo passato amoroso.

Quello di à la mode games è un titolo piuttosto particolare sotto tutti i punti di vista, a partire da un racconto decisamente eccentrico, fatto di metafore e simbolismi, la cui narrativa sfocia nelle tematiche queer senza che queste ne sovrastino la storia. Questa è il punto centrale del gioco e a sostenerlo troviamo una moltitudine di personaggi sopra le righe, spesso figure demoniache sotto mentite spoglie, che ci permetteranno un po’ per volta di comprendere un po’ di più il racconto e l’enigmatica figura della Duchessa, questa villain ossessionata da noi e dal nostro “amore” non corrisposto. Gran parte della potenza del racconto passa anche attraverso la sua estetica, forte e pungente, e dall’alta carica erotica dei suoi protagonisti, personaggi magnetici, che riescono a catalizzare tutta l’attenzione su di loro, anche nella loro controparte poligonale, dove il gioco compie un viaggio nel tempo, riportandoci a quell’era che comunemente bolliamo come “da PS1” e che ben identifica quel mood grafico fatto di poligoni taglienti e texture sgranate.
Un’estetica volutamente spigolosa, imperfetta, quasi ruvida, che non cerca il realismo ma l’impatto emotivo, il simbolismo e il fascino del non-detto.


La lotta alla sopravvivenza di Michelle contro la Duchessa ci porterà a scendere negli inferi di una Londra nascosta, invisibile agli sguardi delle persone normali, e ci ritroveremo ad affrontare creature demoniache pur di venire a capo di questa scomoda situazione. Fortunatamente però potremmo fare affidamento su un potere speciale che ci verrà donato proprio per combattere la Duchessa, il Terzo Occhio.
Grazie a questo potere potremo accedere ad un piano della realtà alternativo, vedere cose altrimenti invisibili. Il potere del Terzo Occhio ha un raggio d’azione limitato, ma è sufficiente al nostro scopo per permetterci ad esempio di scorgere la vera natura delle cose e delle persone, o di poter combattere alcune creature demoniache che tenteranno di farci la pelle alla prima occasione.
E qua il citazionismo torna a pescare a piene mani in quell’immaginario di fine anni ’90, ispirandosi ai classici più classici del survival horror dell’epoca come Silent Hill, Resident Evil o scavando ancora più indietro nel tempo con Alone in the Dark. Nel costruire Sorry We’re Closed, il team di à la mode games è dovuto venire a patti con i propri limiti produttivi ma nel farlo ha saputo ben scegliere come strutturare l’avventura per renderla intrigante, non solo visivamente ma anche a livello di gameplay. Ed ecco che la soluzione di puntare ad una struttura con camera fissa , proprio come i titoli citati qualche riga più in alto, diventa un espediente sia nostalgico che funzionale al concetto di survival horror in sé, creando situazioni dove la telecamera virtuale gioca con l’inquadratura, aggiungendo maggior fascino e mistero a tutto l’impianto grafico del gioco. Come se non bastasse, ad accentuare questa forte connessione con il passato, spulciando fra le opzioni è possibile attivare anche i comandi tank, per un’esperienza quanto mai retrò.

Ma in Sorry We’re Closed il passato si scontra con la modernità, e questo lo ritroviamo nel sistema di combattimento, che una volta attivato passerà il punto di vista dell’azione in prima persona, permettendoci di mirare con precisione al nemico. Qua torna prepotentemente in gioco il Terzo Occhio, grazie al quale potremo individuare il punto debole del nemico per farlo fuori velocemente risparmiando colpi preziosi, a patto che questo sia nel raggio del nostro potere visivo. In caso contrario abbatterlo richiederà una quantità sconsiderata di munizioni, che a conti fatti non sono mai troppe, con il rischio di rendere il gioco più difficile del dovuto. Questa meccanica sarà ancora più approfondita durante le fasi con i boss, dove alla stregua di un mini gioco, dovremo attivare il terzo occhio per respingere i suo attacchi colpendo i punti del nostro avversario con la giusta precisione e tempismo.
Per quanto riguarda l’avventura in sé si lascia giocare con piacere, sebbene l’aspetto survival non sia così incisivo. Non ci sono mai picchi di difficoltà eccessivi, e nonostante capiti di morire c’è una buona distribuzione fra checkpoint e salvataggi manuali. Anche a livello di enigmi non saremo mai messi troppo alla prova, e spesso si tratterà di trovare determinati oggetti o di attivare l’interruttore di turno, nulla che non sia stato già visto o fatto. In generale però, la presenza di più finali e una durata abbastanza abbordabile dell’avventura, rendono Sorry We’re Closed abbastanza rigiocabile, cosa che consigliamo nel caso si voglia comprendere nella sua interezza la storia del gioco e i suoi intenti.


Anche musicalmente Sorry We’re Closed rispecchia quanto raccontato fino ad ora, proponendo un accompagnamento ambientale quanto mai originale, che fonde musica elettronica ed industrial con incursioni di trip-hop, creando un mix martellante, oscuro e disturbante, che proietta sul giocatore, in maniera abbastanza chirurgica, l’emotività del racconto.
Una pecca invece la segnaliamo nel mancato adattamento italiano, cosa che per alcuni limita un racconto che va compreso in ogni sua singola espressione, e che senza una buona padronanza della lingua, rischia di far perdere al giocatore il giusto senso delle cose.
Sorry, We’re Closed è una di quelle sorprese che capitano raramente. Nonostante i membri di à la mode games siano giusto un paio di persone o poco più, sono riusciti a creare un’avventura abbastanza unica, sia nelle tematiche queer che ne nella sua costruzione. L’ispirazione ad un certo filone ludico di fine anni ’90 rende Sorry, We’re Closed ancora più interessante, una prova di stile che fonde insieme dell’ottima narrativa, un gameplay funzionale con qualche slancio di idee e una gran colonna sonora. Se siete alla ricerca di un titolo fuori dagli schemi, Sorry, We’re Closed è quello che fa per voi.