È tempo di tornare a fare consegne in compagnia di Sam in Death stranding 2.
Death Stranding per Hideo Kojima è stato il suo inno all’indipendenza. Dopo la rottura turbolenta con Konami che si è ripercossa negativamente sullo sviluppo di Metal Gear Solid V e Silent Hill, con conseguente cancellazione del progetto legato a P.T., Death Stranding ha rappresentato la sua rinascita come autore libero di seguire i suoi ideali, svincolato da tutte quelle pressioni dell’attuale mercato videoludico, dove l’interesse economico viene prima dell’autorialità stessa. E l’ha potuto fare proprio in virtù del suo status di “maestro”, del sommo “dev influencer” la cui visione affascina praticamente tutti, e al quale è difficile resistere e non venire attratti dalla sua potentissima aura.
Il primo Death Stranding è stato quindi un titolo parecchio controverso, difficile sia da classificare che da comprendere. Non tanto nei singoli aspetti in sé, ma in una chiave di lettura più ampia. Kojima con Death Stranding sublima videogioco e cinema, andando oltre quello già sperimentato da altri nel corso degli anni, e lo fa con la sua cifra stilistica, con la sua visione, che a tratti può sembrare chiara solo a lui, e che condensa al suo interno tutto il suo vissuto. Ed ecco che in Death Stranding, il “gioco del corriere” in cui bisogna consegnare pacchi si filosofeggia sulle connessioni umane, sul concetto di vita e morte, sull’essere e l’estinzione. Il tutto zaino in spalla, persi nelle lande sconfinate di un America (e di un mondo intero) devastata da un evento catastrofico che ha cancellato gran parte dell’umanità, e i suoi resti vivono confinati ed isolati da tutto, aspettando di essere riconnessi da noi e di ritrovare la voglia, e la gioia, di vivere. Col senno di poi, Death Stranding colpisce ancora più duro di quanto non facesse al momento della sua uscita, soprattutto lo si analizza dopo gli eventi della pandemia da Covid-19, scoppiata solo pochi mesi dopo, i cui parallelismi tra il gioco e la realtà risultano oggi sorprendentemente inquietanti.
E se credevamo che con Death Stranding Kojima avesse chiuso un cerchio, pronto per concentrarsi sui suoi progetti futuri, come lo stuzzicante horror OD con protagoniste Sophia Lillis e Hunter Schafer, l’annuncio di un seguito rimette tutto in gioco, facendoci domandare a più riprese Kojima avesse in serbo per noi con Death Stranding 2: On the Beach.
Dopo aver riconnesso il Nord America, collegando le varie sedi della UCA alla rete chiriale Sam Porter e Lou, il suo B.B., sono scomparsi, lasciandosi alle spalle la Bridges, le CA e la vita da corriere. La pace per i due dura poco più di 6 mesi, quando Fragile riesce ad entrare nuovamente in contatto con Sam per proporgli una nuova ed ambiziosa missione, viaggiare per il Messico con il compito di attivare un geo-varco che possa collegare l’Australia alla rete chiriale ed espandere così le connessioni a livello mondiale. Suo malgrado Sam accetta, dando così inizio ad un nuovo ed epico viaggio, questa volta nel nuovo continente australiano. Il corso degli eventi però girerà subito in nostro sfavore, prima con la scomparsa di Lou, poi con il ritorno di Higgs, nostra nemesi nel primo gioco e ancora intenzionato a scatenare il Last Stranding, ovvero un evento catastrofico di proporzioni inaudite capace di cancellare definitivamente l’umanità.
Si riparte quindi, zaino in spalla, in giro fra il Messico e l’Australia per tornare a fare quello che ci riesce meglio, consegnare pacchi e speranze.

Con Death Stranding 2: On the Beach Kojima decide di esplorare le conseguenze delle connessioni del primo gioco, e di cosa possa significare ritrovare la normalità. Il dover trovare un pretesto per farci tornare in missione innesca tutta una serie di drammatici eventi fuori dal nostro controllo, ed è qua che il “maestro” torna ad avere il pieno controllo, dirigendo nuovamente un’opera dal forte impatto visivo ed idelogico. Ogni evento viene veicolato attraverso la potenza delle immagini, alcune sequenze sono da brividi per l’intensità con la quale vengono riversate a video e si infrangono sul giocatore, spesso perso nei deliri narrativi di Kojima, che ancora una volta si trova a creare una sua mitologia, con i suoi simbolismi e i suoi messaggi nascosti nei dettagli più impensabili.
La direzione dei suoi attori è chirurgica, così come lo è ogni singola inquadratura, che arriva allo stomaco ed incanta nella sua perfezione a tratti quasi reale. L’amore di Kojima per il cinema si percepisce in ogni scena e da questo punto di vista, in più di una situazione, riesce ad andare perfino oltre quanto visto nel primo Death Stranding. Anche quando decide di esagerare, buttando là sequenze di lotta a colpi di chitarra, o nei momenti più drammatici, magari per la scomparsa di uno di quei personaggi a cui eravamo fortemente collegati a livello empatico. Il racconto di Death Stranding 2 è sanguigno, smuove le emozioni e stimola continuamente il giocatore, che si troverà costantemente ad interrogarsi sul significato di quello che ha appena visto o sull’identità di alcuni personaggi, come il misterioso samurai cibernetico o Neil Vana, qua interpretato dal nostro Luca Marinelli, che incrocerà più di una volta le nostre faccende, con degli inserti giocabili onirici e surreali.


Una cosa va chiarita subito su Death Stranding 2, ed è abbastanza chiara fin da subito. A differenza di altri lavori di Hideo Kojima, questa volta non assistiamo a una rivoluzione, ma a un’evoluzione più misurata e meno dirompente rispetto, per esempio, al passaggio che ci fu da Metal Gear Solid a Sons of Liberty. Kojima in questo caso non reinventa la ruota, ma ne cura il design facendolo suo, migliorando tutto che abbiamo avuto modo di provare nel primo gioco. Un more of the same? Sicuramente, ma fatto estremamente bene.
Se avete odiato il primo capitolo, Death Stranding 2 non farà assolutamente nulla per cambiare la vostra idea, anzi alimenterà sempre più il vostro astio nei confronti di Kojima e del gioco. Al contrario se avete amato perdervi negli innumerevoli viaggi per connettere le UCA alla rete chiriale, qua troverete pane per i vostri denti. Gli ex Stati Uniti d’America cedono il passo ai panorami messicani e alle lande australiane, che offrono una maggiore diversificazione ambientale, con morfologie e biomi differenti, tutti da scoprire ed esplorare. Gran parte dell’esperienza di Death Stranding sta nel pianificare il viaggio in ogni suo minimo dettaglio, nello scegliere cosa portarsi di strumenti che possano aiutarci, come scale, chiodi da scalata e quant’altro, così come l’armamentario. Il vero protagonista del gioco non è Sam Porter, ma l’ambientazione. Tutto ruota intorno ad essa, ed esplorare è la chiave per godersi a pieno Death Stranding 2.

Percorrere kilometri virtuali, guadando fiumi, arrampicandosi su vette scoscese o affrontando il tutto a bordo di un pratico fuoristrada sono esperienze che formano il giocatore, e che lo stimolano nell’andare oltre la semplice tratta fra un punto A e il punto B, ma a perdersi per strada, prendersi i propri tempi (a meno che la consegna che state facendo non sia urgente) e godersi i ritmi rilassati, prima che un gruppo di soldati, o le spettrali CA rompano la nostra tranquillità e ci obblighino a combattere. Anche in questo caso i cambiamenti rispetto al passato sono pochi, ma troviamo diverse aggiunte in termini di armamentario per rendere ancora più avvincenti gli scontri. Ma per vivere a pieno Death Stranding 2 il consiglio è quello di dedicarsi al completamento degli ordini secondari e le richieste d’aiuto che vi arriveranno dai Prepper, gli abitanti dei rifugi che saremo chiamati a collegare. Questo ci permetterà di innalzare il loro livello di amicizia e sbloccare nuovi gadget e progetti avanzati di quelli già in nostro possesso, agevolando ulteriormente la nostra vita.
Ad esempio ad un certo punto otterremo un cecchino tranquillante, utile per affrontare gli avamposti mantenendosi a distanza. Maxando il livello del Prepper che ce l’ha fornito otterremo la sua versione silenziata, che ci consentirà di mantenere intatta la nostra copertura e non allertare tutto il campo. E di esempi così ce ne sono a bizzeffe, con fucili che guadagnano accessori come dei lancia granate, tute mimetiche avanzate ed esoscheletri potenziati da usare sia in combattimento che per agevolare i trasporti. Anche i mezzi si arricchiscono di nuove componenti, sia protettive che di utilità. Il già citato fuoristrada adesso può essere arricchito con un pratico gancio che raccoglie in autonomia i carichi persi dagli altri corrieri e i preziosi materiali, o addirittura delle torrette con le quali affrontare in corsa CA e soldati. Kojima vi mette in mano mille strumenti, e starà a voi coglierne l’uso migliore e come impiegarle nella vostra missione. Così come spetterà a voi contribuire alla ricostruzione dell’Australia, contribuendo con fondi e materiali per la creazione delle infrastrutture chiriali.


Come nel primo gioco, in una sorta di modalità multigiocatore asimmetrica, sarà possibile collaborare con gli altri corrieri, investendo tempo e risorse per espandere strade che collegano i vari avamposti e la mono-rotaia, riducendo di fatto la durata delle tratte. Ma non solo, ponti, tettoie e colonne di ricarica saranno indispensabili per aiutare a muoversi nelle selvagge terre australiane, così come lasciare scale e corde ben piazzate in punti strategici permetterà anche ad altri di seguire le nostre rotte dando di fatto una mano a tutta la comunità giocante. È possibile poi affidare il nostro carico ad altri, riducendo di fatto le ricompense, o condividere i mezzi usati lasciandoli in appositi spazi comuni e ancora stringere contratti con altri corrieri in mondo da rafforzare il nostro status a suon di like ricevuti.
Da questo punto di vista avremmo preferito una maggior presenza dei nostri contatti all’interno del gioco, preferendo trovare strutture dei nostri amici rispetto a quelle di perfetti sconosciuti, cosa che invece avviene in maniera abbastanza sporadica. Anche lato combattimento abbiamo un perfezionamento dell’impianto ludico del primo capitolo, dove tutti i nuovi gadget introdotti ampliano le possibilità tattiche e combattive. Che siate emuli di Solid Snake (non a caso) o preferiate un approccio più diretto alla Rambo il sistema di combattimento è la massima espressione di Kojima nel genere action, superando anche quanto fatto con The Phantom Pain, in termini di resa ed esecuzione, permettendo di imbastire qualsiasi strategia ci passi per la testa. Se i nemici umani mostrano ancora tanti limiti a livello di IA, con le stesse situazioni problematiche riscontrabili in tutti i giochi che affrontano dinamiche stealth dove i nemici appaiono più stupidi del previsto, la vera sfida arriva con le CA. Questi nemici spettrali che compariranno nei momenti meno opportuni saranno molto più agguerriti e sfidanti delle controparti umane, con la possibilità di mettere fuori gioco quelle più semplici mentre lo scontro sarà inevitabile con le vedette, che vi trascineranno nel catrame fino alla comparsa della CA predatrice. Qua, come nel caso dei possenti boss, la strategia dovrà andare oltre il semplice impiego della forza bruta, obbligando il giocatore a giocare sulla difensiva sfruttando tutte le possibilità del proprio arsenale.


In Death Stranding 2 viene introdotta anche la DHV Magellan, una base mobile della Drawbridge, la nuova organizzazione privata di Fragile, che ci seguirà durante i nostri viaggi nel continente australiano, fornendoci pieno supporto e la possibilità di sfruttarla come sistema di viaggio rapido fra una zona e l’altra, influendo però nella valutazione in caso di consegne effettuate sfruttandola. Resta però un elemento estremamente utile e molto più pratico di altri sistemi di spostamento rapido presenti nel gioco, come le sorgenti termali o i salti attraverso le spiagge, che limitano il trasportabile al solo corpo di Sam.
Anche a livello di missioni secondarie abbiamo trovato una maggiore varietà rispetto al passato, più che altro nello sviluppo narrativo di alcune di esse piuttosto che nel gameplay, che restano bene o male vincolate alla semplice consegna di qualche tipo di materiale più o meno fragile, che se danneggiato può costarvi il dover ripetere l’intera missione. Questa maggior varietà diu missioni si ripercuote sulla lunghezza generale del gioco, che è si completabile saltando praticamente tutto quello di secondario, ma che in generale si aggira sulle 40/50 ore, dedicando parte di questo tempo ad esplorare e migliorare le relazioni con i Prepper, per salire oltre le 100 in caso di completismo compulsivo.
Come abbiamo ripetuto più volte il salto evolutivo fra Death Stranding 2 e il suo predecessore non è sempre così evidente e a volte sembra mancare. Ma quello grafico è forse uno degli aspetti più lampanti del divario fra i due giochi. Tecnicamente Death Stranding 2 è uno dei titoli più avanzati disponibili su una console al momento e questo grazie all’ottimo impiego del Decima Engine, il motore sviluppato da Guerrilla Studio e in uso da Kojima Productions fin dal primo capitolo. Le sequenze iniziali del gioco sfiorano il fotorealismo, i modelli dei protagonisti sono più veri del reale, e la creazione del mondo è dettagliata in modo così esasperante che sembra quasi impossibile che il tutto riesca a girare ottimamente sul modello base di Playstation 5 senza pensare di sborsare soldi extra e passare al modello “Pro”. Nulla è fuori posto e a rendere tutto così magico ci pnesa un sistema di illuminazione che abbraccia il completo ciclo delle 24 ore e cambiando aspetto al mondo di gioco nel giro di una giornata. Gli ambienti sono estremamente curati e così ben inquadrati in una loro forma identitaria da diventare subito facilmente riconoscibili, agevolando la familiarità con il posto e l’orientamento grazie ai numerosi punti di interesse. Kojima poi si prende i suoi momenti creativi regalandoci sequenze assolutamente pazze, come il primo incontro con Neil in una città che si accende, letteralmente, in una pioggia di scintille e girandole infuocate, uno spettacolo visivo come mai si era visto prima d’ora, diventando subito un momento iconico ed indelebile. L’estrema qualità visiva poi trova il suo massimo sfogo durante le sequenze animate, in particolar modo durante i dialoghi o dove è previsto il coinvolgimento attoriale, che come nel primo capitolo è un altro aspetto dell’idea di Kojima di videogioco cinematografico.


Il tutto viene reso poi stupendamente dall’ottimo lavoro dei protagonisti, da Norman Reedus, Troy Baker e Lea Seydoux, che riprendono i loro vecchi ruoli accogliendo nel cast Elle Fanning e Luca Marinelli, incredibili e bravissimi entrambi nelle rispettive performace, andando ad alzare ulteriormente il livello quando si parla di videogiochi cinematografici. Non da meno il comparto audio, che da un lato ci regala una colonna sonora dal sapore spirituale, una playlist che sembra nata prorpio per valorizzare quei momenti di pace e solitudine che si prova durante una consegna, dall’altra ci strapazza con un sound design pazzesco, che da colore a quello che sta accadendo a video. Uno dei momenti più alti che abbiamo vissuto giocando è stato durante un improvvisa pioggia di fuoco che si abbatte lungo il percorso di una delle prime missioni e che ci ha immersi in un vero e proprio inferno fatto di esplosioni e crepitii causati dal fuoco, che ci abbracciavano a 360° in un immersione totale e straniante. Per quanto ottimo anche il doppiaggio italiano il consiglio è quello di abbandonarvi a quello originale, meno filtrato e più naturale, così da apprezzare in purezza uno degli aspetti migliori di tutta la produzione di Kojima.
Death Stranding 2 è, senza mezzi termini, il primo gioco sotto steroidi. E da un certo punto di vista, non potremmo esserne più felici. Questa volta Kojima non si rivoluziona come avvenuto in passato, ma si evolve, migliora, chiudendo il cerchio sulla storia e i protagonisti di Death Stranding e confezionando il miglior gameplay possibile. Di base vi ritroverete a fare le stesse cose che facevate in passato, in un ciclico more of the same di alto profilo, ma ogni singolo elemento è stato potenziato, reso più rifinito e ricco di possibilità, ampliando la formula già amata (e allo stesso tempo discussa) di Death Stranding. I livelli produttivi però sono così alti, specie lato tecnico, che è impossibile non provare qualcosa con il pad alla mano. Il livello produttivo è semplicemente fuori scala, soprattutto sul piano tecnico, e bastano pochi minuti con il pad alla mano per essere travolti da una doccia emozionale della potenza visiva che continua a veicolare il verbo di Kojima, ormai marchio inconfondibile della sua autorialità. Per quanto lo abbiamo amato, in una forma diversa rispetto al primo, non possiamo che sperare che il “maestro” posi ora il suo tocco su nuovi progetti, perché Death Stranding, con questo secondo atto, ci ha dato tutto. E forse anche qualcosa in più.