Julien Blondel è un importante autore francese di giochi di ruolo e di serious game, oltre che giornalista e sceneggiatore di fumetti. Ha pubblicato numerose opere e serie a fumetti con Glénat, Delcourt, Soleil e Les Humanoïdes Associés, ma tra le più fortunate e apprezzate si può annoverare il suo adattamento della mitica saga di Elric pubblicato dal 2013 da Glénat e arrivato in Italia in due edizioni (nel 2014 e nel 2024) grazie a Mondadori. Questo adattamento è stato tradotto in oltre dodici lingue e considerato da Alan Moore, Neil Gaiman e dallo stesso Michael Moorcock come il miglior adattamento dell’opera.
Recentemente Blondel è tornato alla ribalta grazie alla collaborazione con il disegnatore Shonen nella realizzazione della serie manga Dark Souls. Redemption che in Italia è edita da J-POP. Grazie a quest’ultimo abbiamo avuto la fortuna di partecipare a un Press Cafè con un gentilissimo e disponibilissimo Julien al Lucca Comics & Games 2025 ed ecco alcune intriganti curiosità emerse nel corso dell’intervista riservata.

In che modo ci si approccia a scrivere una storia tratta da un videogioco?
È difficile trasporre un gioco in un fumetto. Abbiamo cercato di ricreare le sensazioni e le emozioni di Dark Souls in una sorta di videogioco da sfogliare. Tuttavia si è scelto di non adattare esattamente il videogioco sottoforma di manga perché chi ci ha giocato conosce già la loro e le emozioni, dall’altra parte chi non ha giocato vuole vivere le stesse sensazioni di umanità, vita e morte che si provano nel gioco. Quindi niente indizi all’inizio, tanti segreti da scoprire e una narrazione radicata nella lore originale.
Stiamo parlando di due opere nettamente diverse come produzioni, quali sono state le maggiori difficoltà?
Sicuramente la scelta dei personaggi, del loro aspetto fisico e la scrittura dei dialoghi. Nei giochi i protagonisti sono generalmente figure maschili molto fisiche e con poca o nulla espressività. L’ambientazione resta molto cupa e triste, ma si è scelto di cambiare il protagonista maschile con uno femminile alla ricerca di un figlio perduto. C’è molta espressività ed è stato necessario aggiungere dialoghi, non molti, ma in linea con lo stile del videogioco. In questo modo è stato possibile creare un legame anche con il pubblico femminile.
Sei soddisfatto del risultato finale e hai preso spunto da qualcos’altro per realizzare l’opera?
Sono molto soddisfatto del risultato. Il lavoro con Shonen è stato straordinario: da solo non avrei potuto raggiungere un traguardo simile. Mi sono sempre formato con letture depressive e tristi e ho sempre trattato temi affini, anche post-apocalittici, formandomi su letture classiche come Shakespeare, Sofocle e la tragedia greca. In un mondo di guerra è più facile adattare una storia di coraggio con personaggi che trascendono la propria umanità. In universi tristi e oscuri è più facile far emergere storie umane autentiche, commoventi e belle. Più il mondo è cupo, più i personaggi in difficoltà risaltano. In un mondo diverso dove tutto va bene, è difficile creare una storia simile e un protagonista efficace.
C’è un aspetto in Dark Souls che lo rende adattabile in qualsiasi medium rendendo ogni storia credibile?
La speranza è l’elemento transmediale che da sempre coinvolge ogni storia del passato e del presente. In questo caso particolare il rapporto tra madre e figlio. Questa luce di speranza si tramanda fin dall’antica Grecia. Si dice che esistano soltanto dieci tipi di storie universali tra cui avventura, tradimento, famiglia, amore e che si adattano a ogni universo narrativo. Quando una storia solida si fonde con un mondo coerente, il risultato è efficace. Dark Souls non è un caso isolato: basti pensare a Game of Thrones o al Signore degli Anelli. Qui, però, il punto di partenza non è la trama ma il gameplay, che diventa narrazione.
Che rapporto c’è stato con il disegnatore? Ha contribuito anche lui dando idee alla storia e tu alle scene?
Di solito Shonen è abituato a lavorare da solo. Io invece sono abituato a lavorare in squadra. Per cui in generale sono interessato ad avere una squadra di persone che portano delle idee. Nel caso di Shonen è stato un po’ particolare perché ha voluto concentrarsi unicamente sui disegni con una sceneggiatura già ben definita. Insieme, però, collaboravamo affinché seguissimo le nostre inclinazioni arricchendo la direzione artistica del progetto con suggerimenti legati all’aggiunta di mostri e ambientazioni particolari. Shonen, quindi, si è concentrato sull’aspetto visivo più che sulla sceneggiatura, ma il confronto è stato stimolante.
Dark Souls è un gioco silenzioso, dove gli indizi sono disseminati ovunque. In che modo questo è stato possibile trasporlo in un manga e come si evolverà la storia?
Senza fare spoiler, si può dire che la storia finisce male. In ogni caso la cosa più difficile da trasporre è la lore. La lore della serie è estremamente densa, il piacere del gioco nasce dall’esplorazione e dalla ricerca di informazioni. In accordo con FromSoftware e Bandai Namco, nel nostro caso è tutto nuovo e non si è voluto riutilizzare gli stessi elementi: lo scopo era ricreare l’emozione del gioco attraverso nuovi personaggi e una storia inedita. Semplicemente perché nei videogiochi è fatta già molto bene e non aveva senso riproporla col rischio di rovinarla. Creare una buona storia è come cucinare: bisogna mescolare gli ingredienti giusti. Morte e rinascita, perdita dell’umanità, messaggi nascosti, il fuoco e persino i “muri invisibili” restano elementi centrali e contribuiscono a mantenere intatto il sapore di Dark Souls. Come già detto, nel nostro caso, ciò che vogliamo ricreare è l’emozione.
Hai autori di riferimento o a cui ti sei ispirato, anche di epoche diverse?
La mia passione per la scrittura è nata giocando di ruolo. Un po’ come in Stranger Things, mia madre mi chiedeva sempre di smetterla, ma Dungeons & Dragons era il mio modo per inventare storie, per dare forma a mondi che non esistevano ancora. Le mie influenze principali sono Stephen King, Michael Moorcock, ma anche Sofocle e Shakespeare. Sono cresciuto come il classico nerd con gli occhiali, immerso tra tragedie antiche e narrativa fantastica, e credo che tutto questo abbia modellato profondamente il mio modo di scrivere. Un’altra fonte di ispirazione fondamentale l’ho trovata nel manga, in particolare in Katsuhiro Ōtomo. Ho sempre ammirato la sua capacità di raccontare tantissimo con appena due o tre vignette per pagina. Mi ci sono voluti trent’anni per imparare a raggiungere una sintesi narrativa anche solo lontanamente simile, e per questo gli sono sinceramente grato.
Hai giocato ad altri titoli FromSoftware? Ci sono videogiochi che vorresti adattare in futuro?
Ho giocato molto al primo Dark Souls, anche se il lavoro mi lascia poco tempo per giocare. Mi tengo comunque aggiornato guardando video e gameplay. Se giocassi troppo scomparirei per settimane. Mi hanno già proposto altri adattamenti in manga, ma preferirei non lavorare più su altri titoli di FromSoftware. Per esempio mi piacerebbe adattare Ico di Fumito Ueda, una vera pièce teatrale in forma videoludica o Metal Gear, ma con un tono più ironico.
Dark Souls segue il classico viaggio dell’eroe in cui i nemici rappresentano importanti ostacoli da superare per raggiungere l’obiettivo finale. I boss e i mostri in generale sono ormai facilmente identificabili anche da chi non ha mai giocato un Dark Souls, pertanto i personaggi e i boss del fumetto sono originali o frutto di direttive di FromSoftware e Bandai Namco?
Abbiamo ricevuto molta libertà creativa da From Software. Carta bianca senza alcuna obiezione, cosa che ha dato grande impulso al progetto. Per quanto riguarda l’aspetto visivo tutto è legato alle emozioni, alla scena e insieme a Shonen abbiamo cercato di comprendere cosa inserire, quando e come usare i vari personaggi e anche come posizionarli in base alla vignetta e all’esigenza narrativa. Il lavoro si basa su ricerche dettagliate e reference visive, con un’ispirazione forte a Berserk di Kentaro Miura e ai materiali forniti da FromSoftware. In tutto questo comunque Shonen si aggiorna continuamente per portare produzioni sempre migliori.
Con il tuo background nella letteratura greca, quale immagine mitologica ti colpisce di più e quanto ti ha influenzato?
Dark Souls attinge già profondamente alle mitologie antiche, da quella norrena a quella mesopotamica e assira, con i loro linguaggi simbolici e i messaggi codificati. Nel terzo volume, per esempio, ho inserito un riferimento a Giano Bifronte, che in questo caso rappresento non con due, ma con tre maschere. In futuro mi piacerebbe introdurre anche una figura come Antigone, la figlia di Edipo: una giovane donna che sfida l’autorità pur di dare sepoltura al fratello. Credo che i lettori più giovani potrebbero trovarla estremamente affascinante, soprattutto in una reinterpretazione in chiave manga, simile per intensità e determinazione a Ira (la protagonista del manga) di Dark Souls.
Il fumetto è pensato per chi conosce già l’universo videoludico o anche per chi non ha mai giocato?
Il manga è pensato per entrambi: sia per i lettori più esperti sia per chi non ha mai preso in mano un controller, ma si lascia catturare dalla storia e dalle illustrazioni. Per questi ultimi (scherza) questo sarà probabilmente l’unico Dark Souls che riusciranno a “completare”, perché in questo caso basta solo leggerlo.
Come è stato reinterpretare un’opera dal sapore occidentale, ma ideata in oriente?
Negli ultimi anni si è creata una connessione profonda tra la Francia e il Giappone. Pensiamo a Moebius e Miyazaki: si sono influenzati a vicenda, soprattutto nella fantascienza. Le due culture si rispettano, si osservano e si contaminano continuamente, tanto nel fumetto quanto nell’animazione. Anche Goldrake è stato reinterpretato in chiave francese. La mia generazione è cresciuta a pane e cartoni giapponesi e oggi molti autori rendono omaggio ai miti della propria infanzia, a volte deformandoli un po’, giocandoci sopra. Ma la cosa sorprendente è che gli autori originali spesso apprezzano: queste nuove letture ridanno vita ai loro personaggi, forse persino con una forza rinnovata.

