ARC Raiders rinnova il genere degli extraction shooter con un mondo retrofuturistico curato, combattimenti intensi e un equilibrio costante tra rischio e ricompensa. Progressione ben strutturata, IA credibile e un endgame vario lo rendono accessibile e avvincente, pur con qualche limite nella gestione dell’inventario.
Distinguersi nel panorama degli extraction shooter è indubbiamente un’impresa molto ardua: sono parecchie le produzioni che negli anni hanno tentato di imporsi, ma pochissime sono riuscite davvero a emergere. Il genere è dominato da titoli che puntano su scontri intensi tra giocatori e su una competitività serrata, ma un titolo ha fin da subito incuriosito il pubblico grazie a una natura un po’ diversa. Stiamo parlando di Arc Raiders, concepito inizialmente come un’esperienza unicamente cooperativa free-to-play, ma poi con lo sviluppo è stato immerso in una natura a pagamento che ha visto l’aggiunta del PvPvE. La formula definitiva ha dato vita a un’opera con un’imprevista energia unica e originale.
La beta di maggio aveva già lasciato intuire il potenziale del progetto, ma solo con la versione finale è stato possibile comprendere come i ragazzi di Embark Studios, già noti per The Finals, siano riusciti a far funzionare ogni componente del complesso ingranaggio. Il motivo è semplice: ARC Raiders riesce ad agganciare il giocatore fin dalle prime partite grazie a un’immediatezza rara nel genere e la progressione costante, sempre gratificante anche dopo sconfitte dolorose, spinge a tornare in partita più volte. Per questo motivo si può affermare con assoluta certezza che si tratta di uno dei titoli più brillanti del 2025.
Versione testata: PC
Un mondo retrofuturistico che conquista
Chi si avvicina per la prima volta agli extraction shooter deve accettare una regola fondamentale: si entra in una mappa, si raccolgono risorse e oggetti di valore, si affrontano nemici sia controllati dall’IA che da altri giocatori e si cerca un’estrazione sicura. ARC Raiders adotta questo schema in un mondo post-apocalittico dove l’umanità vive nel sottosuolo, esattamente nella città sotterranea chiamata Speranza, mentre le superfici, le Topside, sono territori ostili ma affascinanti.

Dopo un editor del personaggio poco vario dal punto di vista della scelta estetica, si parte all’avventura con armi di fortuna e obiettivi semplici, poi tocca al giocatore migliorarsi, trovare equipaggiamenti sempre più interessanti nonostante il limitato inventario e correre rischi sempre più grandi. Morire significa perdere ciò che si trasporta, e tutta l’esperienza ruota attorno a questo equilibrio continuo tra rischio e ricompensa. Una partita dura in media mezz’ora, prima che un attacco devastante cancelli tutto ciò che rimane in campo. Le uscite si chiudono progressivamente, spingendo i giocatori verso l’unica possibile via di fuga. Esistono passaggi più sicuri, ma richiedono chiavi rare e costose. Le mappe celano casse sigillate e aree nascoste che rendono ogni spedizione imprevedibile.
La prima impressione è quella di trovarsi davanti a un mondo costruito con un’attenzione fuori dal comune. Il retrofuturismo influenza ogni elemento, dagli edifici alle armature, dai robot ai giochi di luce che plasmano l’atmosfera. Le mappe cambiano radicalmente con il clima: una tempesta improvvisa, una coltre di nebbia o un cielo limpido trasformano la percezione degli spazi e il modo di affrontare i combattimenti.
Ogni mappa possiede un’identità precisa: una diga massiccia alterna paludi e strutture industriali, la base di lancio mostra corridoi stretti che si aprono su distese aride, la città inghiottita dalla sabbia è un connubio di scontri ravvicinati, le montagne ricordano paesaggi alpini e nascondono un vasto complesso sotterraneo. Ciò che colpisce e incuriosisce è che l’ambientazione ricorda una Campania e una Calabria immaginarie e questo lo rende per noi perfino più peculiare. Potrete, infatti, esplorare e nascondervi in pizzerie, chiese realmente esistenti e, perché no, visitare lo spazioporto di Acerra o la metropolitana di Napoli.
Leggerezza e immediatezza, ma attenti agli “amici”…
Il gioco può essere affrontato da soli oppure in gruppi fino a tre persone, ma non esiste ancora una modalità puramente PvE, richiesta a gran voce dalla community. Nel sistema di matchmaking, chi gioca in coppia finisce negli stessi server dei team da tre, mentre chi preferisce affrontare il mondo da solo viene abbinato esclusivamente ad altri solitari. È una scelta che evita squilibri troppo marcati e che permette a ciascuna modalità di esprimere un carattere unico. Affrontare ARC Raiders da solo, in duo o in trio significa vivere tre esperienze quasi opposte.

In tre si ha la forza del numero, ma anche l’obbligo di spartire ogni singolo pezzo di bottino. In due serve prudenza estrema, perché basta un errore per essere sopraffatti. In solitaria, invece, il gioco cambia volto: le mappe diventano più silenziose, le minacce più inquietanti e l’atmosfera assume toni che sanno di vera sopravvivenza. Una sensazione che vale la pena provare almeno una volta.
Per collaborare con altri Raider è fondamentale comunicare, sia con la voce sia con le emote. In tutta onestà, uno degli aspetti più curiosi e anche inaspettati per un titolo del genere, è il fatto di incontrare tanti giocatori amichevoli con cui si condividono missioni, obiettivi specifici o la necessità di abbattere robot particolarmente pericolosi. Giocare con gli amici è assolutamente consigliato e indubbiamente è un approccio divertente e più organizzato, ma lungo la strada non è difficile fare nuove conoscenze. Naturalmente serve anche un po’ di fortuna: non tutti sono pronti a collaborare, e molti preferiscono aprire il fuoco a vista.
…e all’equipaggiamento e all’inventario
ARC Raiders non punta al realismo estremo: non ci sono indicatori di fame o sete da monitorare, né complessi sistemi di usura dell’arsenale. Il gioco preferisce un approccio diretto, pur mantenendo alcune scelte tattiche legate al peso dell’equipaggiamento. Ogni arma, scudo o gadget contribuisce infatti al carico complessivo e un inventario troppo pesante riduce la velocità di recupero della stamina, limita gli scatti e rende più impacciati i movimenti.
È una regola semplice, niente di rivoluzionario, ma che mette continuamente davanti a un dilemma: portarsi dietro più oggetti o restare leggeri per reagire più in fretta? In un ambiente dove basta un attimo per cadere in trappola e una schivata ben calibrata può salvare la pelle, scegliere tra accumulare risorse e mantenere l’agilità può determinare l’esito di un’intera spedizione. Gli zaini lasciano spazio a dispositivi tecnologici che influenzano la capacità dell’inventario, la robustezza degli scudi e alcune abilità passive.

La sconfitta non è devastante, perché l’equipaggiamento base è economico e c’è sempre un punto sicuro in cui proteggere almeno un oggetto di valore. Tuttavia niente è privo di importanza: ogni pezzo può essere smontato per ricavarne materiali o conservato nel deposito personale insieme ad armi, munizioni, scudi e strumenti di cura. Il vero ostacolo è lo spazio limitato. La gestione del magazzino diventa presto una sfida a sé, spesso più insidiosa dei nemici che si incontrano in superficie.
La capienza può essere ampliata, ma serve tempo per imparare a distinguere ciò che vale la pena tenere da ciò che occupa soltanto posto. Non di rado capita anche di accumulare una certa risorsa pensando di averne finalmente abbastanza, salvo poi esaurirla in un paio di missioni. Inutile dire che, logicamente, farne scorta in anticipo significherebbe saturare il magazzino in un attimo. L’arsenale di base potrebbe essere più vario, ma con il tempo emergono armi davvero potenti e gadget utili e divertenti come fumogeni colorati, zipline portatili, mine, sensori di prossimità, dispositivi di invisibilità o anche un flauto con il quale avvisare di essere pacifici o far spaventare gli amici.
Ovviamente dove il bottino è più prezioso si trovano anche i nemici più pericolosi. A questo punto nasce il vero dilemma: scegliere di portare con sé gli equipaggiamenti migliori, rischiando di perderli e doverli ricomprare a caro prezzo dai mercanti o perdere prezioso tempo nel fabbricarli, o custodirli gelosamente? L’opzione che permette di entrare in partita con equipaggiamento totalmente casuale è un modo perfetto per sperimentare senza rischiare nulla, tuttavia tutto si muove in un equilibrio instabile e forse è proprio la gestione degli oggetti il punto debole del titolo e meriterebbe una maggiore razionalizzazione prima di ampliare materiali e funzioni.
Nemici intelligenti e battaglie feroci
I robot sono il vero cuore del gioco. Anche i più innocui droni possono trasformarsi in un incubo se riescono a richiamare rinforzi. Le IA sono credibili: aggirano, accerchiano, colpiscono da punti ciechi e non si arrendono facilmente. Alcuni robot si rigenerano, altri resistono a cadute incredibili. Gli avversari più grandi richiedono strategie precise e colpi mirati ai punti deboli, come per esempio la grandissima Queen composta da sei agili zampe d’acciaio e un’altezza simile a quella di un palazzo di medie dimensioni, da affrontare solo ben equipaggiati o unendo le forze con altri gruppi di Raider. L’aspetto più curioso è che gli ARC non sono semplici frutti di programmazione attenta, bensì di un lungo processo di modellamento dell’intelligenza artificiale che controlla ogni loro gesto.
Questo permette loro di reagire in modo sorprendente ai danni subiti, ad esempio rimodulando l’equilibrio quando perdono un supporto o continuando a funzionare nonostante un modulo esploso. Il bestiario, insomma, è ricco e affascinante, con creature meccaniche di ogni tipo. L’enciclopedia interna racconta origine e funzioni di ogni unità, contribuendo a un worldbuilding sorprendentemente profondo.

Uscire da Speranza è sempre un piccolo shock perché bastano pochi passi sulla superficie per capire perché ARC Raiders abbia catturato così tante persone: ogni spedizione è una miscela di tensione e meraviglia, un susseguirsi di momenti in cui l’adrenalina non si placa mai davvero. Il fruscio dell’erba secca, il rimbombo distante di uno scontro, il ronzio metallico di un drone in avvicinamento fanno capire che il comparto audio non si limita ad arricchire l’atmosfera: è uno strumento di sopravvivenza. Da un singolo passo si può capire se qualcuno sta venendo verso di noi, dalla direzione di un colpo si può capire se cambiare rotta o tendere un’imboscata. A volte, con un po’ di sangue freddo, si riesce persino a ingannare i nemici sfruttando il rumore a nostro vantaggio.
Inoltre, se con i nemici controllati dall’IA si può provare a imparare a prevedere i comportamenti, il panorama cambia radicalmente quando si incontrano altri giocatori. Loro non seguono schemi: osservano, aspettano il momento giusto e colpiscono quando si abbassa la guardia. La visuale in terza persona aggiunge un fascino cinematografico alle battaglie e rende molto più intuitivo capire dove muoversi e quando esporsi. Le mappe, ricche di dislivelli e coperture, diventano veri campi da guerriglia, dove ogni scalino o sporgenza può essere la differenza tra restare in vita o finire al tappeto.
Infine arrivano le estrazioni, il momento in cui il gioco diventa un atto di pura sopravvivenza: una volta attivato il punto di recupero, tutto il mondo di gioco lo sa. Gli ultimi secondi diventano un delirio di spari, corse, accordi improvvisati con degli sconosciuti e tradimenti fulminei anche da parte degli amici più cinici. In questa follia aleggia un timer che avanza inesorabile verso la chiusura della mappa: allo scadere, chi resta fuori muore. È questo che rende ARC Raiders così magnetico: non si sa mai davvero come andrà a finire, e ogni tentativo può trasformarsi in una storia da ricordare.
Una progressione ben congegnata
La crescita del personaggio è strutturata con cura. Si costruiscono nuove postazioni, si accumulano risorse, si sbloccano progetti e si ricevono consigli dal fedele compagno meccanico Scrappy. Dopo aver superato delle missioni date dai mercanti che fungono da ministoria e soprattutto da tutorial, al livello 15 si accede alle Sfide settimanali, una serie di classifiche che premiano capacità e costanza. Le prestazioni più brillanti permettono di ottenere casse ricompensa e di avanzare attraverso una scala di quattordici titoli, dal livello iniziale fino allo sfavillante grado di “Leggenda della Cantina”, ciascuno accompagnato da elementi estetici sempre più ricercati.
Poi ci sono le Spedizioni, accessibili solo dopo aver raggiunto il livello 20, che funzionano come una sorta di percorso di prestigio. Chi decide di intraprenderle accetta una vera e propria rinascita: sei fasi preparatorie e un’attesa di sessanta giorni portano a un azzeramento totale dei progressi, ricompensato però con vantaggi permanenti e risorse particolarmente preziose. Se le Sfide rappresentano una crescita immediata e competitiva, le Spedizioni premiano chi ha pazienza e vuole investire sul lungo periodo. L’endgame risulta così diviso tra l’adrenalina degli obiettivi settimanali e il piacere di ripartire da zero con un personaggio più potente, un equilibrio pensato per mantenere vivo l’interesse di giocatori con approcci molto diversi.

Il gioco, poi, affianca all’equipaggiamento un percorso di crescita basato su tre linee di talento dedicate alla resistenza fisica, alla mobilità e alla capacità di cavarsela nelle situazioni più difficili (Condizionamento, Mobilità, Sopravvivenza). Procedendo si ottengono bonus e abilità passive che possono cambiare in modo netto il modo di affrontare una spedizione. Nulla è inciso nella pietra: si può riassegnare tutto per adattarsi alla missione del momento o alla composizione della squadra, che può essere formata tramite matchmaking fino a tre giocatori, oppure sostituita dalla scelta di esplorare in solitaria. In quel caso il sistema metterà il giocatore contro altri giocatori solitari, mantenendo un certo equilibrio negli scontri.
La morte non cancella i progressi: si perdono gli oggetti portati con sé o raccolti, a meno che non siano stati messi negli slot sicuri, ma la crescita del personaggio resta intatta insieme alle abilità apprese. È una struttura che bilancia bene rischio immediato e continuità a lungo termine, capace di far salire la tensione senza trasformare ogni fallimento in una punizione insopportabile. La spedizione finale consente di “mettere in pausa” temporaneamente il proprio personaggio, ricevere bonus permanenti e ricominciare con nuove possibilità estetiche e funzionali.
Un modello di servizio che funziona
Embark Studios sembra avere una direzione chiara. Le nuove mappe arriveranno a ritmo costante, insieme a condizioni climatiche inedite e a capitoli narrativi aggiuntivi. La monetizzazione è discreta e non invadente e inoltre, in più di un’occasione, dopo problemi tecnici, lo studio ha perfino offerto ricompense in valuta premium. Un paio di volte mi sono imbattuto in cheater ed entrambe le volte mi è arrivato un messaggio di scuse con la restituzione completa di ogni oggetto perduto. Una cura per la community rara da vedere.

Sul fronte tecnico, ARC Raiders non si limita a funzionare bene: brilla. L’Unreal Engine 5 viene sfruttato con notevole perizia per scolpire scenari che non solo appaiono credibili, ma trasmettono una loro identità precisa. Le mappe disponibili non sono ancora numerose, varianti notturne e meteo incluse, ma ognuna si presenta come un piccolo diorama post-catastrofe.
Le superfici metalliche catturano la luce come lamine vive, la vegetazione e i detriti reagiscono al passaggio delle squadre, la nebbia si muove in strati irregolari e conferisce tridimensionalità a ogni apertura nella mappa. Ci sono angoli bui che promettono ricchezze e insidie con la stessa naturalezza, e strutture massicce che sembrano ancora trattenere l’eco del mondo che fu. L’illuminazione, morbida o brutale a seconda delle condizioni, insieme agli effetti particellari, dona alle ambientazioni una materialità quasi tattile.
Conclusioni
Arc Raiders è stato una sorpresa. Riesce a rendere il genere più accessibile senza svuotarlo della sua intensità, costruisce un mondo audiovisivo di grande impatto e offre un’esperienza divertente anche per chi non ama gli extraction più punitivi. Il gioco conserva una sua personalità precisa nonostante la somiglianza con altri titoli del genere. Non tutto è perfetto, soprattutto per quanto riguarda la varietà delle armi, la chiarezza di alcuni oggetti e la gestione del magazzino e dell’inventario, ma il risultato complessivo è estremamente solido. Spero di incontrarvi presto sul campo, tra una tempesta improvvisa e un branco di robot ostili. E magari, con un po’ di fortuna, riusciremo davvero a suonarci il “flauto della pace” tra emoticon e chat vocali di prossimità.


