Un’opera che rappresenta un viaggio nella mente di Kojima: tra ricordi, visioni impossibili e il potere segreto dei meme culturali.
Fin dal 1986, Hideo Kojima è diventato una sorta di divinità tutelare del videogioco. Mezzo autore e mezzo mito, le sue saghe, da Metal Gear a Death Stranding, sono state analizzate come fossero testi sacri da una comunità di critici e fan che, probabilmente, conoscono la sua vita e le sue opere meglio di come ricordano la propria password di accesso alla mail. Eppure, nel 2013, Media Factory pubblicò I meme che amo – Ciò di cui abbiamo bisogno ora sono storie che diano energia agli esseri umani, un libro che mostrava un Kojima diverso, più intimo e sorprendente, quasi un diario onirico più che una semplice autobiografia.
Oggi quella stessa opera torna in una nuova veste grazie a J-POP Manga ed Edizioni BD, con il titolo Il gene del talento e i miei adorabili meme. Non si tratta di una ristampa fotocopiata: mancano la prefazione e i capitoli 3 e 4, ma arrivano in compenso una nuova introduzione, una conclusione inedita e un dialogo-intervista con Gen Hoshino. Una piccola mutazione genetica del volume originale, perfettamente in linea col titolo.
Non una semplice autobiografia
Il libro non segue i binari tradizionali dell’autobiografia. Kojima, coerente con se stesso, preferisce costruire un mosaico di percezioni, ricordi, film, canzoni, libri e immagini che hanno alimentato la sua sensibilità. È un racconto interiore dove il sogno e la logica convivono pacificamente, un po’ come succede nelle sue cutscene quando si pensa di aver capito tutto, e invece si è perso qualche dettaglio fondamentale.
Il termine “meme” qui non ha nulla a che vedere con gattini, reaction pic o “press F to pay respects”. Kojima recupera la definizione di Richard Dawkins: i meme intesi come unità culturali che migrano da una mente all’altra, costruendo ponti invisibili tra individui e generazioni. E così scopriamo, per esempio, che il suo amato 2001: Odissea nello spazio non è solo un film preferito, ma la scintilla che gli ha trasmesso l’amore per il fantascientifico e che il senso di mistero e scoperta presente in Death Stranding in realtà prendono spunto da un’altra opera sci-fi dal titolo Lo scheletro impossibile letta quando ancora del videogioco non c’era nemmeno l’idea.
Questa nuova edizione arriva in un momento in cui la cultura pop è ovunque, e Kojima stesso lo è ancora di più, complice la sua presenza monumentale all’ultimo Lucca Comics & Games. Il volume, tra prosa limpida e riflessioni che arrivano in profondità con una semplicità disarmante, ci permette di capire cosa alimenta davvero la creatività dell’autore. Nulla è banale: un film visto da ragazzino, un libro trovato per caso, una canzone ascoltata in un momento qualsiasi possono trasformarsi in materiale genetico dell’immaginario.
Ogni pagina, però, è segnata anche da una certa malinconia. Kojima descrive un’infanzia solitaria, spesso trascorsa da solo con la TV accesa come unica compagnia. Da quella solitudine nasce il suo modo di osservare il mondo, e soprattutto l’ossessione, anzi, il bisogno, di creare legami. Quest’ultimo aspetto ricorda ancora una volta Death Stranding, ma per l’autore è sempre stato un concetto centrale e ha sempre avuto la volontà di tradurlo in gameplay.
La sua passione per la scrittura emerge nelle collaborazioni con le riviste giapponesi Papyrus e DaVinci, dove le sue recensioni diventavano veri ragionamenti sul rapporto tra storie e pubblico, su come ogni narrazione cambi forma nella mente di chi la accoglie. I suoi meme si accumulano così: con disciplina quasi scientifica, ma anche con quella curiosità bambina che lo caratterizza da sempre.
Nessun trucco per eccellere, bensì consigli per scoprire il proprio essere
Il libro non svela trucchi del mestiere né ricette segrete per costruire saghe epiche. E, in fondo, è meglio così. Ci mostra piuttosto come Kojima guarda il mondo: come un romanzo di fantascienza letto anni prima possa riemergere improvvisamente durante una boss fight, o come una canzone amata diventi un dialogo interiore che si insinua nella sceneggiatura.
Il messaggio centrale del volume è chiaro: la cultura non è un archivio polveroso, ma un organismo vivente che cambia forma ogni volta che viene condiviso. I nostri “meme personali” sono i frammenti che lasciamo negli altri, proprio come gli altri lasciano qualcosa in noi. È una visione quasi poetica che Kojima abbraccia sin da giovane e che continua a guidarlo.
La scrittura dell’autore è sempre misurata, mai tronfia: analitica, ma non pedante, semplice, ma mai banalizzante. Nei racconti affiorano piccoli frammenti di vita quotidiana giapponese che danno profondità e calore ai suoi pensieri. E, sullo sfondo, si percepisce un’inquietudine sottile, come quella di chi si sente sempre un po’ fuori posto mentre osserva tutto con lucidità chirurgica.
L’emozionante dialogo-intervista
Tra le aggiunte più preziose di questa nuova edizione spicca l’intervista sottoforma di dialogo amichevole con il musicista, attore e scrittore Gen Hoshino, un momento che illumina il libro con una sincerità sorprendente. Non è la classica conversazione filtrata dall’ufficialità, ma uno scambio caldo e autentico tra due artisti che condividono sensibilità, curiosità e un rispetto professionale evidente.

La loro amicizia affiora in piccoli aneddoti, battute spontanee e riflessioni che sembrano nascere sul momento, come se stessero parlando al tavolino di un café invece che tra le pagine di un libro. Hoshino riesce a far emergere da Kojima pensieri inediti sul processo creativo, mentre Kojima risponde con quella sua timida ironia che appare solo quando si sente tra “amici veri”. Una sezione ricca di curiosità, alcune così umane e inaspettate da strappare un sorriso anche al lettore più serio.
Conclusioni
Il gene del talento e i miei adorabili meme non costruisce il mito di Kojima, anzi lo smonta pezzo per pezzo, mostrando l’uomo dietro l’icona. Le sue inquietudini, le sue radici, i suoi limiti, la sua fame di significato. È come entrare nel laboratorio mentale dell’autore e vedere come emozioni, idee e ricordi si combinano per dar vita a opere capaci di confondere, stupire ed emozionare.
Alla fine, al lettore resta una sensazione precisa: quella di aver viaggiato dentro la mente di un autore che ha trasformato il suo mondo interiore in una forma nuova di linguaggio. Il libro, nella sua interezza, conferma ancora una volta la statura di Hideo Kojima: non soltanto un innovatore nell’ambito videoludico, ma un autore capace di leggere il presente con una sensibilità rara.
L’invito implicito, poi, è potente: anche noi possiamo ritrovare i nostri meme, i frammenti culturali che ci abitano, e usarli per costruire un modo personale di guardare e raccontare il mondo. Del resto, se perfino un dettaglio marginale può diventare il seme di un’idea… forse vale la pena prestare più attenzione a ciò che ci attraversa ogni giorno. Magari, il prossimo capolavoro, o almeno un buon pensiero, sta già lì, in attesa.


