E’ la solita solfa da anni ormai: uno o più personaggi provenienti dal web provano ad approdare al cinema e il pubblico diventa subito malfidente. Come dargli torto, del resto? I precedenti, in questo ambito, non sono stati di certo incoraggianti, almeno finora. Basti pensare a Fuga di Cervelli, con Willwoosh e Frank Matano, a Game Therapy, fallimentare blockbuster italiano con protagonisti Federico Clapis e Favij, oppure ancora a The Pills- Sempre Meglio che Lavorare, tentativo da parte del trio romano formato da Luca Vecchi, Luigi Di Capua e Matteo Corradini di trasportare sul grande schermo l’omonima webserie che aveva divertito per anni centinaia di migliaia di persone su YouTube. Tutti fallimenti, alcuni più miserabili, altri meno. Qualcosa aveva iniziato a muoversi di recente con Cotto e Frllato Z- The Crystal Gear, film di Paolo Cellammare che fungeva da conclusione dellla celebre e omonima webserie con protagonista Maurizio Merluzzo, un gioiellino ben diretto ed estremamente citazionista che fondeva il linguaggio cinematografico puro con quello più proprio del format fruibile sul web, ma purtroppo distribuito attraverso una serie di eventi mirati in un numero limitato di sale.
All’appello mancavano solo loro, ormai, i The Jackal. Per chi non lo sapesse – anche se sono estremamente noti – si tratta di un collettivo di creativi che iniziarono anni fa su YouTube come intrattenitori, creando tra le altre cose anche la mini serie Lost In Google, caratterizzata da effetti speciali notevoli per quel tipo di prodotto, divenuti poi decisamente più attivi su Facebook con una serie di video più brevi e spesso caratterizzati dalla presenza di guest star di spicco, come ad esempio Malika Ayane o addirittura Roberto Saviano, comparso in Gli Effetti di Gomorra Sulla Gente. Ma nel frattempo si sono mossi molto bene nel settore pubblicitario, realizzando anche spot per la tv divenuti anche piuttosto virali. Insomma, artisti a 360°.
Addio Fottuti Musi Verdi, in uscita il 9 novembre, non è semplicemente il film dei The Jackal, come tutti lo stanno definendo: è l’ultima tappa di un viaggio durato anni, la naturale evoluzione di un gruppo di professionisti che hanno sempre saputo mantenere alto l’interesse del loro pubblico, con un umorismo variegato, mai eccessivamente volgare, sempre mirato in maniera spesso geniale sulle tendenze del momento e capaci di garantire una qualità notevole per tutto quello che concerne i propri prodotti audiovisivi. Se ne parlava da un paio di anni e, dopo alcuni ritardi, eccolo finalmente approdare nelle sale, prodotto dai The Jackal stessi in collaborazione con 01 Distribution e Cattleya. La diffidenza era fisiologica, ma personalmente ero davvero curioso di capire se fossero riusciti laddove avevano parzialmente fallito i The Pills: affrancarsi dal web e riuscire a realizzare un film che mantenesse le caratteristiche principali delle loro produzioni precedenti, ma con un linguaggio adattato al medium cinematografico. La risposta alla domanda è: sì, ci sono riusciti. Forse non totalmente, ma bisogna considerare che si sta parlando di un’opera prima e nemmeno una poco ambiziosa. Al di là della regia di Francesco Ebbasta (al secolo Francesco Capaldo), regista di tutti i corti finora prodotti dalla The Jackal, che si presenta fin da subito diversa rispetto a quella di tanti altri prodotti nostrani e profondamente in debito con quella di certi film di fantascienza anni ’90 e precedenti, tutto quello che concerne la pellicola, dal soggetto alla messa in scena, è estremamente coraggioso.
Innanzitutto la fantascienza è un genere che in Italia non è mai stato particolarmente amato, se non da una nicchia di appassionati, ed è generalmente stato sempre visto con diffidenza quando si trattava di prodotti esteri, figuriamoci se si parla di un film di questo genere girato in lingua italiana. Quasi chiunque, di fronte all’idea di un film fantascientifico ambientato nel nostro paese, risponderebbe che non è qualcosa che potrebbe funzionare. Come se la fantascienza, in un contesto italico, vada a perdere tutto il suo fascino. Ci avevano già provato con Sei Giorni Sulla Terra, ma il risultato era stato poco convincente e giusto un genio come Gabriele Salvatores era riuscito a proporre qualcosa di rimarchevole con Nirvana, ma si trattava di una mosca bianca. Ammetto che il ragionamento non è nemmeno troppo astruso e tutto sommato il rischio di generare un effetto molto cheap è sempre dietro l’angolo, in questi casi, ma Addio Fottuti Musi Verdi non è semplicemente un film di fantascienza: è anche e soprattutto una commedia. Quello che i The Jackal hanno fatto è stato proporre un’idea estremamente originale e folle, condita con il loro caratteristico umorismo e infarcita di citazioni che costituiscono un vero e proprio atto d’amore nei confronti della letteratura e del Cinema di genere , ma anche in generale. Si sprecano i riferimenti registici e narrativi alla saga di Alien, alla Cornetto Trilogy di Edgar Wright, ma anche a Independence Day o a Guida Galattica per Autostoppisti, passando anche per prodotti seriali di culto come Doctor Who e Star Trek. La storia è assurda e surreale, popolata da personaggi caretteristici e immediatamente riconoscibili da chi i The Jackal li conosce da tempo: in pole position, come protagonista, abbiamo Ciro Priello (nome d’arte di Ciro Capriello), che nel film interpreta se stesso in veste di grafico con grosse difficoltà a trovare lavoro nel suo campo, timido e impacciato, macchiettistico quanto basta. Non sempre le gag che gli sono state cucite addosso funzionano, anche per via di un difetto del film che si manifesta fin da subito, ovvero il fatto di non essere riusciti a chiarire subito allo spettatore di averlo catapultato in un universo assurdo e a tratti grottesco, dove la realtà viene spesso esasperata e portata ai suoi limiti estremi. Ma una volta compreso questo, ecco che il tipo di umorismo adottato inizia a diventare sempre più travolgente, fino ad arrivare ad apprezzare non poco le gesta di Ciro e dei suoi degni compari, interpretati rispettivamente da Fabio Balsamo, comic relief riuscito e mai troppo ingombrante, e Beatrice Arnero. Le interpretazioni sono di buon livello e spicca, tra tutte, quella di Roberto Zibetti, l’indimenticato Boris di Radiofreccia (quello presuntuoso e antipatico e con l’insopportabile ma efficacissimo tono monocorde, per intenderci): l’eccentrico capo alieno Brandon da lui interpretato è un personaggio in bilico tra Willy Wonka e Zaphod Beeblebrox dal già citato Guida Galattica per Autostoppisti, strambo ma quasi sempre calato in un contesto che gli è congeniale, probabilmente la prova attoriale più memorabile del film.
Non indifferenti sono anche i cameo di Simone Ruzzo, tra i membri fondatori del collettivo che qui, oltre ad aver co-sceneggiato il film si è anche ritagliato un piccolo ruolo che una certa importanza spirituale concernente il personaggio di Fabio, di Fortunato Cerlino nei panni di un truce e discutibile uomo di affari e di Salvatore Esposito, irresistibile bullo analfabeta e dall’eloquio discutibile. Gradita anche la presenza del grande Hal Yamanouchi, caratterista giapponese adottato dall’Italia in tempi non sospetti, Silver Samurai in Wolverine-L’Immortale, nonchè doppiatore in lingua italiana della quasi totalità degli attori asiatici popolari i cui personaggi richiedano un forte accento, come ad esempio Ken Watanabe. Il cameo più sconvolgente e divertente , però, preferisco non rivelarvelo, anche se magari ne avete sentito parlare, perchè in caso contrario costituisce una discreta sorpresa su diversi livelli, soprattutto su quello riguardante la presenza scenica del personaggio. I cameo, così come anche molte delle gag, funzionano grazie alla verve che il film presenta dall’inizio alla fine, mantenendo un ritmo tutto sommato costante e coerente con la struttura del film. Anche la critica sociale che sta alla base dell’idea non è da sottovalutare: è apprezzabile infatti il tentativo, riuscito, di estremizzare l’attuale e difficile condizione lavorativa nel nostro paese, mettendola alla berlina e utilizzandola come pretesto per dare vita ad un’epopea fantascientifica partenopea. L’uso frequente del vernacolo campano è stato dosato in modo da conferire una certa caratterizzazione ai personaggi, ma senza risultare ingombrante, e anche i riferimenti parodistici alla cultura tipica della zona di Napoli riescono a essere quasi sempre azzeccati e fonte di battute originali.
Al di là della storia particolare, a stupire sono senza ombra di dubbio gli effetti visivi e speciali, realizzati da cinque differenti società del settore: il risultato è sorprendente, portando Addio Fottuti Musi Verdi ad essere, a oggi, il film italiano con la CGI migliore che abbia mai visto. Ma anche gli effetti speciali, quelli tangibili e presenti in scena, sono notevoli, soprattutto se si pensa al robot segretaria, che oltre a essere convincente da un punto di vista visivo è anche ben sfruttato da un punto di vista narrativo. In questo è complice anche la regia di Ebbasta, che risulta sempre chiara e formidabile nei momenti action, con un insistente utilizzo dei campi lunghi che ho trovato molto efficace. Il già citato montaggio di Nicola Verre è stato fondamentale a rendere ancora più funzionale il ritmo del film, che viene letteralmente scandito dal suo utilizzo ipercinetico, in puro stile Raimi, anche se forse è più proposto nella sua variazione più contemporanea che è diventata il marchio di Fabbrica di Edgar Wright, di cui le scene di bevute al pub tra Ciro e Fabio sono un altisonante omaggio.
infine, sono davvero apprezzabili le autocitazioni a video del passato che sono state inserite, momenti che i fan dei The Jackal apprezzeranno, ma che faranno sorridere anche chi fa la conoscenza per la prima volta di certi personaggi o di certe situazioni.
Naturalmente non è tutto rose e fiori. Anche Addio Fottuti Musi Verdi ha i suoi discreti difetti, che sono molto evidenti. Il più ingombrante è la sua difficoltà a carburare: la prima parte può essere vista come disorientante, sia per l’incapacità della sceneggiatura di calare immediatamete lo spettatore nel giusto contesto, che va scoperto poco a poco e in maniera vagamente ostica, sia per il suo non far capire dove si stia andando a parare. Dalla seconda metà in poi il ritmo narrativo aumenta, fino ad arrivare al finale che è un vero e proprio uragano di gag ben funzionanti, con battute serrate e tempi comici a dir poco azzeccati. La parte centrale ha il suo quid, ma non sempre risulta appassionante, forse perchè i caratteri dei personaggi sono singolarmente ben definiti, ma faticano ad amalgamarsi quando si tratta di rapportarli tra di loro, sebbene questo sia un difetto che man mano viene diluito, soprattutto negli ultimi venti minuti. In sostanza, a livello supericiale il tutto funziona, ma inizia a scricchiolare quando si va in profondità, problema da ricondurre all’inesperienza in campo strettamente cinematografico di un gruppo di persone che per anni si sono mosse in un ambito dove mordi e fuggi era un mantra. I tempi al cinema sono ben diversi rispetto a quelli richiesti dal web e questo si fa sicuramente sentire, anche se non nella totalità del film e solo in parte. Soprattutto nei primi dieci minuti si avverte fortemente la provenienza dal mondo del web, ma non è una condizione che perdura per tutta quanta la durata della pellicola e il tiro si aggiusta in maniera notevole.
Non tutte le situazioni e le gag riescono a funzionare come si deve, una su tutte la risoluzione finale fin troppo telefonata, addirittura in dati momenti si spinge troppo l’acceleratore sul nonsense o sul surrealismo, andando a spostare da una sola parte il delicato equilibrio comico, ma complessivamente il film è in grado di divertire, spesso anche in maniera genuina. La cosa che ho personalmente apprezzato di più è stata la voglia di osare che traspare da ogni inquadratura: la pellicola è un atto d’amore verso la fantascienza ma, soprattutto, verso il Cinema. Si percepisce chiaramente la volontà di provare qualcosa di nuovo, di fare cinema come in Italia non si fa mai, di dimostrare che, se si vuole, le cose possono cambiare. Addio Fottuti Musi Verdi, il cui titolo è peraltro molto contestualizzato, in un modo che mi ha ricordato l’espediente metacinematografico usato da Federico Sfascia nel suo I Rec U, non è un capolavoro, su questo non ci sono dubbi. Ma è un film che vanta numerosi pregi, che sa intrattenere, divertire e che ci mette cuore, insieme a parecchia passione. Consigliato anche ai più scettici, che forse inizieranno a capire che il web sforna anche prodotti di qualità. E parodie sui neomelodici, quello soprattutto.