Syd Barrett è stato uno dei fondatori dei Pink Floyd, ma la sua vita travagliata e i suoi eccessi lo hanno allontanato troppo presto dai riflettori. Jugband Blues racconta la vera vita di questo artista tanto geniale quanto tormentato.
Sono passati 53 anni da quando un giovane Roger Keith Syd Barrett decise di unirsi agli Spectrum Five poi divenuti The Tea Set, un gruppo apparentemente anonimo in cui figuravano persone come Nick Mason, Richard Wrtight e Roger Waters. Già questi nomi potrebbero far suonare un campanellino a molti di voi perché stiamo parlando dei Pink Floyd, il cui vero nome iniziale fu The Pink Floyd Sound che fu scelto a causa di problemi di omonimia con un altro gruppo. La fama raggiunta dai Pink Floyd è pressoché leggendaria poiché divennero fin da subito protagonisti del panorama underground londinese e portarono il loro successo in giro per il mondo e duraturo nel tempo. Sicuramente non immaginavano nemmeno loro che con il carisma, l’accentuata creatività e il fervente eclettismo potessero davvero cambiare la storia della musica e non solo. I Pink Floyd furono causa e testimonianza di cambiamenti anche in ambito socio-politico di cui proprio Syd Barrett fu un esponente mostrando su se stesso i pregi e gli enormi difetti degli eccessi liberali famosi degli anni sessanta.
A distanza di più di cinquant’anni, non c’è una sola persona che non conosca, anche per sentito dire, i Pink Floyd e nel tempo sono state realizzate tante opere artistiche in memoria di questo storico gruppo musicale. Oggi vi parlo di Jugband Blues, un graphic novel edito da Nicola Pesce Editore e realizzato da Matteo Regattin e Simone Perazzone, che cerca di far emergere la voce e il punto di vista proprio di Syd Barrett, personaggio sempre molto discusso e per certi versi sfruttato da Waters e compagni.
Il racconto, infatti, avviene in prima persona e la prima domanda a cui il lettore deve rispondere è certamente la più importante: chi era davvero Syd Barrett? E da qui inizia il nostro viaggio ambientato in una Cambridge del 2013. A poco a poco, però, ci troviamo immersi sia nei luoghi simbolo della vita di Barrett che nei meandri della sua testa e la narrazione ci porta indietro progressivamente fino a quando tutto ebbe inizio. Il viaggio è rapido, ma mai confusionario e riprende sia le parti più razionali e calme della vita dell’artista sia le parti dove le droghe e i problemi psichici prendono il sopravvento. Nelle prime la storia scorre in maniera lineare, nelle seconde riviviamo anche noi il trip mentale dell’artista. In questo excursus possiamo seriamente comprendere il mutamento psicologico di Barrett che o per la malattia, o per il suo estro artistico o per l’uso intenso di LSD, è passato da essere un giovane artista unitosi quasi per scherzo ad un gruppo di coetanei con l’idea di formare una band, ad un eccentrico visionario con problemi psichici gravi. Questo, insieme ad una sorta di sfruttamento da parte degli altri membri del gruppo, ha portato Barrett prima ad essere isolato e poi a comportarsi in modo bizzarro e preoccupante con dimostrazioni artistiche difficilmente comprensibili.
Una sorta di artista maledetto che ha cercato in tutti i modi di raccontare la propria inquietudine partendo dai giochi di luce da abbinare agli spettacoli live della band, alla sperimentazione musicale simbolo dei Pink Floyd, sebbene modificata per renderla quantomeno orecchiabile, per arrivare alla pittura. La parte più triste si può rivivere quando David Gilmoure lo sostituì a causa della sua inaffidabilità. Qui si assiste alla parte più desolante dell’artista e dell’opera Jungband Blues poiché nella realtà Syd Barrett non si presentava ai concerti o lo faceva in stati pietosi finendo per arrivare ad una sorta di depressione totale, nell’opera realizzata da Regattin e Perazzone osserviamo un Barrett totalmente incanalato nel suo mondo in cui nemmeno la musica può più salvarlo. La mazzata definitiva arriva poi nel 1968 ad appena tre anni dall’inizio di tutto. Da quel momento si dedicò alla pittura e al giardinaggio, disinteressandosi della popolarità e facendosi vedere in pubblico sempre più raramente.
Jugband Blues, il titolo del graphic novel, non è altro che un brano musicale incluso nell’album dei Pink Floyd A Saucerful of Secrets, pubblicato nel 1968. Già lo stesso nome è simbolo di tutto ciò che possiamo trovare nel romanzo grafico poiché la canzone è vista da molti fan come un triste addio, da parte di Barrett, ai Pink Floyd. Infatti, quando iniziarono le sessioni di registrazione di A Saucerful of Secrets, Syd non riuscì a parteciparvi compiutamente, per colpa del suo stato mentale. Ciò si denota perfettamente nei disegni: tetri, cupi, per certi versi tristi, ma fantasiosi e psichedelici. I disegni sono il fulcro di quest’opera poiché sono in grado di rievocare alla mente le illustrazioni che hanno accompagnato per anni molte delle fatiche dei Pink Floyd e sono inseriti perfettamente nel contesto e nelle situazioni che devono rappresentare. Bellissima l’idea di inserire i disegni in una narrazione semplice, ma ben studiata con dei riquadri a pagina intera mostrando grande abilità per quanto concerne le distorsioni delle immagini o gli effetti di luce astratta. Impossibile, poi, non complimentarsi per aver rappresentato tutto questo senza uso di colori, ma solo sfruttando la tecnica del chiaroscuro e la base di due colori: bianco e nero. Devo, purtroppo, elencare due difetti riguardo a due scelte che cozzano con l’armonia dell’opera: il primo si riferisce ai testi e il secondo al tipo di carta usata per il romanzo. I testi, in particolare quelli presenti all’interno delle nuvolette, sembrano totalmente estranei al contesto generale soprattutto per il font usato. Dà quella brutta sensazione di essere stato appiccicato sul disegno in un secondo momento usando degli spazi predefiniti e in certi casi è proprio un colpo d’occhio sgradevole. Per quanto riguarda invece il secondo difetto, personalmente avrei gradito l’uso di una carta ruvida, piuttosto che la classica carta liscia. In questo modo, oltre ad essere estremamente gradevole al tatto, avrebbe dato quella sensazione di possedere realmente delle tavole disegnate.
Giudizio conclusivo
In conclusione Jugband Blues è un’opera visivamente meravigliosa. Alcune pagine sono da guardare e riguardare più volte riscoprendo ogni volta dei particolari interessanti. Si tratta di un’opera che cerca di dare il giusto merito e forza ad un artista combattuto come Syd Barrett e per certi versi riesce a dar voce a quel senso di malinconia e chiusura che provava l’artista. Un artista quasi sempre tenuto nascosto dal gruppo che avrebbe certamente meritato più fortuna invece di essere allontanato tanto facilmente. Di certo non si tratta solo di una celebrazione dell’artista, ma se siete fan del gruppo, indipendentemente da Barrett, potrete assolutamente apprezzare alcuni rimandi a brani celebri della band già a partire da una citazione all’inizio del graphic novel che riguarda Wish You Were Here. Personalmente avrei gradito più cura realizzativa per quanto riguarda le vignette e stampa, ma l’opera è egualmente apprezzabile e ringrazio Nicola Pesce Editore per avermela fatta conoscere. Vi lascio il link dove poterla acquistare.