ARRIVAL – Recensione (NO SPOILER)

[ads]’Arrival‘, l’ultima fatica di Denis Villeneuve, mi ha colpito e, in tutta sincerità, anche sorpreso.

Non mi ha stupito tanto l’evidente talento del regista, già dimostrato in pellicole quali ‘Sicario‘ o ‘Enemy‘, quanto la sua capacità di dimostrare sempre maggiore esperienza di film in film.

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Si prenda, per l’appunto, ‘Sicario’. Il penultimo lavoro, ad oggi, dell’autore canadese è indubbiamente di eccelsa qualità, un film in grado di trattare senza alcun odore di ridondanza la ribollita materia del narcotraffico. Su di esso, però, ho un appunto puramente personale, che nulla va a togliere alla immanente qualità della pellicola: la prima metà mi ha stregato, la seconda mi ha francamente solo trascinato fino alla conclusione. Con questo intendo dire che, mentre la prima parte è un continuo movimento di macchina illuminante ed al servizio di una narrazione più che interessante, la seconda molla le briglie, mantenendo uno stile invidiabile, ma raccontando una trama personale della quale non poteva fregarmi di meno.

Il punto debole, per me, era tutto su piano della sceneggiatura. Questo nuovo ‘Arrival’, invece, non molla mai se non negli ultimissimi minuti in cui si dilunga in una spiegazione magari superflua. Questa volta Villeneuve mi ha attratto verso lo schermo dall’inizio alla fine. Mi ha fatto provare sensazioni sincere, mai artificiose o forzate.

Anche in questo caso il regista ha dovuto introdurre una componente narrativa che superasse le semplici basi di partenza della storia, ma a questo giro le vicende dei personaggi in scena si legano in modo eccellente al contesto ben più interessante del film, senza mai prevaricarlo.

La trama, come da trailer, non sembra nulla di particolarmente originale: alcuni velivoli alieni si presentano agli occhi del mondo senza alcuna ragione apparente e senza compiere azioni di alcun tipo. Sarà compito della brillante protagonista (Amy Adams, straordinaria come sempre), in qualità di esperta linguista, tentare un primo approccio con gli stranieri.

A chiudere gli occhi le prime due pellicole affini che mi vengono in mente sono ‘District 9‘ di Neill Blomkamp e ‘Indipendence day‘ di Roland Emmerich. Tutti e tre film diversi nel genere e nella realizzazione, uno punta il fuoco sulla componente d’azione, mentre l’altro sul rapporto sociale derivato da una forzata convivenza. Il terzo, ‘Arrival’ appunto, mostra finalmente ciò che desideravo vedere da sempre: l’impegno civile e razionale volto a generare un contatto proficuo con l’incomprensibile ed imprevedibile straniero.

La scelta di volgere l’attenzione verso il dramma dell’impossibilità comunicativa la trovo superba. Non solo questo, perchè le vicende che seguiamo coinvolgono la compagine statunitense, mentre sullo sfondo riceviamo costanti aggiornamenti di come le altre grandi nazioni stiano tentando di instaurare un colloquio con i nuovi ospiti. La domanda di partenza è: come e con quali mezzi possiamo farci intendere da qualcosa che potrebbe nemmeno conoscere il concetto stesso di ‘frase’?

Le domande alle quali Villeneuve ha voluto rispondere sono molte altre, qui ne porrò alcune, così che sappiate a grandi linee che genere di film vi troverete di fronte, dopodiché mi concederò una sezione più spoilerosa, dove potremmo approfondire le risposte.

Cosa proverebbe una persona qualunque se improvvisamente avesse la consapevolezza di stare per incontrare una razza aliena?

Come reagirebbe ogni singola grande potenza di fronte ad uno sconvolgimento simile dello status quo?

Che fisionomia dare agli extra-terrestri, senza scadere nel banale omino verde o in una forma già utilizzata in passato?

Di quanta lucidità potrebbe disporre ogni uomo sulla terra, di qualsiasi estrazione sociale o dalla qualunque formazione culturale, se da un giorno all’altro si trovasse di fronte una novità al contempo potenzialmente pericolosa e fonte di infinita evoluzione scientifica?

Quanto distanti potrebbero essere le idee di un umano con quelle di un alieno?

Come comunicano questi alieni?

Di queste e di altre domande cercherò di riportare le risposte date dal film nella parte SPOILER.

—————— SPOILER! ——————

La magia narrativa di questo film non risiede esclusivamente nelle immagini, nei suoni o nei dialoghi. Villeneuve è riuscito straordinariamente ad usare il tempo, la durata delle riprese quali efficacissimi comunicatori di emozioni.

Prendiamo il momento della prima ascesa verso il centro del ‘guscio‘. È una scena lunghissima, i tempi sono estremamente dilatati, ma non per questo risulta minimamente noiosa. Immaginate di essere voi stessi in procinto di incontrare una razza aliena. Sareste travolti da decine di sensazioni: terrore, curiosità, eccitazione ma soprattutto impazienza. L’impazienza che si prova prima della notte di natale, quella frenesia che tende soltanto a dilungare fino allo snervo le ore che precedono l’apertura dei pacchi.

In questa maniera, quindi, rispondiamo alla prima delle domande. La protagonista, come ognuno di noi, prova le emozioni che abbiamo elencato e noi spettatori le subiamo di riflesso, le possiamo quasi toccare.

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La visione politica del regista non resta fuori dalla pellicola, come normale che sia. Ogni film è uno specchio più o meno lucido di fronte all’artista che l’ha creato. Qui Villeneuve non rinuncia all’inserire qualche critica più o meno velata all’utilizzo spasmodico delle armi, a chi ne vanta il possesso ed incita ad ingiustificate dimostrazioni di forza. Russia e Cina fan sempre la parte di quelli con le pessime idee, ma grazie al cielo stavolta sono proprio gli americani a fare il primo grosso errore.

Gli Eptapodi. Mamma mia quanto son belli gli Eptapodi. Sono praticamente il dorso di una grossa mano montato sotto ad un Barbapapà, ma sono stupendi. Mentre in prima battuta sembra ovviamente superflua l’entrata in scena trionfale con tanto di macchina del fumo e musica vibrante, scopriamo in breve che la nebbia debba essere la condizione atmosferica ideale per la loro sopravvivenza. Ciò che più affascina di questa razza aliena è sicuramente il modo di comunicare.

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Gli Eptapodi non costruiscono vere e proprie frasi di senso compiuto, i segno circolari che rilasciano in sospensione (quasi come i nostri amati svapatori di sigarette elettroniche) sono puri concetti. Sono l’idea che si vuole trasmettere tutta d’un colpo al dialogante. E questo è stupendo non soltanto per l’idea di base, quanto per il legame strettissimo che questa forma di comunicazione trova con l’intera trama del film.

Durante la visione del film, il personaggio di Jeremy Renner chiede alla nostra protagonista di spiegarli meglio la teoria di un celebre linguista. La teoria in questione vuole che lo stesso modo di pensare di una specie sia determinato dalla sua lingua. In altre parole, ciò che la mente comunica al corpo non può che essere veicolato tramite la lingua che il soggetto parla. Dunque ogni azione, ogni pensiero sarà plausibilmente diverso nel risultato se ad elaborarlo dovesse essere un anglofono o un cinese. Detto ciò, la teoria sembra collegarsi magistralmente con la trama narrata in ‘Arrival’. Gli Eptapodi comunicano tramite un idioma dalla forma scritta prettamente circolare. Gli umani, invece, che scrivano in verticale o in orizzontale, da sinistra verso destra o viceversa, sempre in linee rette scrivono.

Da qui, l’idea del tempo. È inaggirabile che l’umano si ritrovi a concepire il tempo come una linea fatta di un continuo susseguirsi di eventi, proprio come una frase è una retta di parole che formano una proposizione. Per gli alieni del film, i concetti si comunicano istantaneamente e completi, senza bisogno di struttura grammaticale, ma solo di un simbolo circolare. Viene immediato, allora, immaginare che questi esseri debbano concepire il tempo non come una semplice retta, quanto più come una circonferenza, o una sfera. Il loro tempo non segue le regole del nostro, una moneta che acchiappo al volo oggi potrei averla lanciata domani.

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Da questa più o meno semplice intuizione, discende l’intera sceneggiatura del film. Ciò che la protagonista conosce ora, potrebbe averlo imparato tra diversi mesi o anni, e la domanda finale quindi è: possiamo accettare un dono del genere?

Possiamo continuare a vivere nella nostra serena mediocrità, o dovremmo accettare una rivoluzione epocale, per quanto dopo di essa non potremo più evitare di conoscere in anticipo risvolti che speriamo la nostra vita non debba prendere mai?

È meglio una vita limitata e serena, o una elevata ma condannata?

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