Passo dopo passo, per rimettere insieme la vostra vita in Baby Steps!
Gli anni 2000 sono stati caratterizzati da una tipologia di giochi che ha raccolto grande successo, soprattutto sulle piattaforme di streaming come YouTube e Twitch. Stiamo parlando dei “rage game“, giochi in cui la frustrazione del giocatore e la rabbia che ne scaturisce generano nello spettatore un effetto comico e virale che si diffonde rapidamente in tutta la community e oltre. QWOP, Getting Over It, Only Up! e, in forme più raffinate, Super Meat Boy sono alcuni dei titoli più rappresentativi di questo genere. Tanti giochi diversi ma tutti legati da un unico minimo comune denominatore, il fastidio di non riuscire ad avere un controllo totale sul proprio personaggio e di fallire innumerevoli volte nel tentativo di superare un determinato passaggio. Baby Steps, il gioco di cui vi parliamo oggi, parte proprio da questo concetto ma lo affronta in una forma più filosofica e metaforica.
Nella vita di ognuno di noi arriva quel momento in cui si affronta la realtà e si analizza il nostro vissuto, scoprendo una vita fatta di insuccessi e insoddisfazioni. Nate, il protagonista del gioco, rappresenta un po’ ognuno di noi. 35 anni, pigro, disoccupato, una vita “sprecata” e senza obiettivi passata nello scantinato dei suoi, fra programmi televisivi, cibo spazzatura e videogiochi. Un giorno come tanti però, si ritrova catapultato piedi di una montagna scoprendo un potere che non ha mai avuto, quello di camminare, di compiere un passo davanti ad un altro e di spingersi fin dove può vedere.
Dietro al lato comico della storia, che vi vedrà incontrare lungo il vostro cammino dei curiosi escursionisti e bizzarri uomini asino nudisti, si nasconde una grande metafora sulla vita e sulla riscoperta di sé stessi, sulle seconde occasioni e sul mai darsi per vinti. Il tutto dietro un nonsense incredibilmente pazzo e senza logica, il cui unico scopo è quello di spronarvi a trovare un obiettivo e seguirlo, anche se questo è semplicemente quello di trovare un bagno per fare pipì.

Raggiungere l’obiettivo però non sarà così semplice ed è qua che Baby Steps esplode di vera cattiveria, come ogni buon “rage game” sa fare. Una volta avviato il gioco vi troverete banalmente di fronte ad un walking simulator, nel più letterale dei sensi possibile, e per comandare Nate dovrete agire sui piedi del giovane uomo, controllandoli uno alla volta e posizionandoli uno davanti all’altro, e così via per farlo camminare. Semplice no?
In realtà le cose diventano subito complicate, in quanto l’equilibrio di Nate è abbastanza instabile e la coordinazione dei due arti deve essere quasi millimetrica, stando attenti a non far accartocciare Nate su sé stesso, procurandogli una caduta. Cadendo non si farà male, ma di contro rischieremo di rotolare giù da dove siamo venuti, costringendoci a faticose risalite, spesso lunghe minuti pur di raggiungere il punto da cui siamo caduti. Il gioco poi farà di tutto per rendere difficile la nostra camminata. A partire dall’assenza di una vera e propria meta da raggiungere, mappe o indicatori di sorta, lasciandoci piena liberà nel cercare un percorso. Dopo i primi passi inizieremo a scorgere delle zone illuminate da una candela gigante, dei punti di ristoro dove anche la strampalata storia avanzerà, e sarà quella la destinazione da raggiungere di volta in volta, e che ci aprirà nuovi percorsi da affrontare prima del “passo” successivo.

Anche i terreni che affronteremo presentano mille insidie, come ostacoli, zone fangose e scivolose, specchi d’acqua o arrampicate, dove il minimo errore rischia di farvi perdere ore di progressi, riuscendo pienamente nel compito che si è prefissato, quello di andare su tutte le furie dopo l’ennesima caduta rovinosa. Ed è forse qua che gli sviluppatori, tra i quali compare anche Bennett Foddy, il creatore dei già citati QWOP e Getting Over It, hanno esagerato nel rendere Baby Steps troppo frustrante a causa di una fisica fin troppo punitiva. Controllare con precisione i piedi di Nate è possibile, ma è altrettanto vero che alcune scalate risultano eccessivamente difficili anche nella piena padronanza del personaggio. La cosa peggiore è poi trovare dei veri e propri “scivoli” di fango nei punti strategici dove il gioco vuole farci fallire e ripartire da capo, agendo già a livello inconscio sulla nostra sicurezza, consapevoli che di li a poco dovremo ripartire dal basso e riaffrontare nuovamente il tutto. Anche il muoversi alla cieca, senza percorsi ben chiari è motivo di smarrimento iniziale, e intraprendere una strada sbagliata potrebbe portarvi a girare a vuoto o verso vicoli ciechi, costringendovi a tornare necessariamente sui vostri passi.
Nell’essere un “rage game” Baby Steps funziona, ma nell’ottica di un walking simulator narrativo e psicologico questa difficoltà stride con la voglia di conoscere e vivere lo sviluppo di Nate, dello scoprire cosa si cela dietro questa esperienza formativa e quale sarà il premio una volta raggiunto il nostro obiettivo, portandovi più volte a “rage quittare” dopo l’immancabile nuovo fallimento. L’aggiunta magari di qualche scorciatoia, alla Only Up! per intenderci, avrebbe magari potuto rendere il tutto meno pesante nel lungo periodo dato che la fisica del gioco sembra non voler concedere nessuno sconto al giocatore, risultando sempre punitiva in ogni occasione. È anche vero però che riuscire a progredire, a superare un determinato impedimento, gratifica non poco, anche se di lì a breve vi ritroverete inevitabilmente di punto a capo impantanati in qualche altro ostacolo insormontabile. Nel corso dell’avventura troverete anche delle missioni secondarie da compiere o dei cappelli da raccogliere ed indossare, ma vista la libertà concessa e le generose dimensioni della mappa, capiterà che nella vostra prima run vi perdiate gran parte dei contenuti extra.

Lato grafico Baby Steps mette in mostra tutta la sua natura da titolo indie low budget. Il mondo di gioco è abbastanza vario e ben realizzato, caratterizzato da un level design apparentemente confuso che nasconde però una costruzione abbastanza sadica dei percorsi da affrontare, ma se lo si osserva nei dettagli si nota una grossolanità nei modelli 3D o nell’uso di certe texture. I paesaggi sono vari, e propongono zone rocciose, verdi prati, foreste e zone lacustri, con ogni singola superficie che andrà ad influenzare i passi di Nate, con la pericolosa fanghiglia che rappresenta il più ostico dei terreni da affrontare, specie se in pendenza. Meno convincenti e più abbozzati i modelli dei personaggi umani (e non) ma che nel loro essere grezzi, trovano una certa coerenza con l’assurdità del racconto e il suo essere grottesco. Il controllo dei piedi, affidato ai rispettivi grilletti dorsali del pad, permette di muoverli in maniera indipendente e precisa, a patto che ci sia coordinazione nel movimento e che il corpo si mantenga nel giusto equilibrio, pena una caduta nella direzione in cui ci siamo sporti.
Le musiche sono un sottofondo abbastanza di contorno e trascurabile, ma il doppiaggio inglese brilla nella sua eccessività, rendendosi anch’esso coerente con tutto il contesto assurdo di questa storia. Manca l’italiano, ma le parti dialogate sono abbastanza contate e non troppo difficili da seguire.
Baby Steps è una cruda metafora sul crescere e diventare adulti, sulle responsabilità e le seconde occasioni. Se i temi di fondo sono interessanti, il fastidio che si prova giocando è una medaglia appuntata sul petto del genere dei rage game. Se da quel punto di vista l’effetto è garantito, lo è sicuramente meno in una visione d’insieme come prodotto di intrattenimento che vuole rendere il videogioco filosofico e veicolare un messaggio a più persone possibili. Messaggio che rischia di finire impantanato come Nate, il protagonista del gioco, dopo l’ennesima caduta rovinosa nel fango. Siete temerari e volete affrontare la sfida di Baby Steps? Il nostro solo consiglio è quello di armarvi di pazienza e pensare che nella vita esiste sempre un modo per superare qualsiasi difficoltà!