Death end re;Quest – La recensione

Death end re;Quest

Un nuovo titolo della serie Galapagos RPG arriva in occidente, per la gioia degli amanti dei JRPG

Death end re;Quest è l’ultima fatica di Compile Heart e Idea Factory ad arrivare qua da noi. Chi conosce le due software house giapponesi sa bene cosa si troverà davanti. Dopo anni di JRPG di nicchia Death end re;Quest è l’ultimo anello di un nuovo filone chiamato Galapagos RPG, una serie di giochi di ruolo pensati e creati per il pubblico giapponese, ma che vengono ben apprezzati (e il numero di titoli che arrivano lo dimostra) anche dai videogiocatori nostrani.

Con questo nuovo titolo Idea Factory e Compile Heart riprendono elementi narrativi ormai classici della visual novel e li fanno “sposare” con una struttura da RPG a turni, il tutto bagnato da una spruzzata di qualche nuova idea.

Welcome to the World’s Odyssey

A partire dalla storia di questo Death end re;Quest. Buttando sul tavolo un incipit che nella narrativa giapponese ha preso piede negli ultimi anni, sia nel campo dei manga/anime che in quello videoludico, Death end re;Quest racconta di un videogioco che non ha mai visto la luce e dei suoi programmatori, loro malgrado “vittime” del frutto del loro lavoro.

Il gioco si apre su Shina, una misteriosa ragazza che si sveglia all’interno di un mondo sconosciuto. Privata dei suoi ricordi, tenterà di fare il possibile per mettere insieme i frammenti sbiaditi del suo passato. Al tempo stesso faremo anche la conoscenza di Arata, un giovane programmatore che, dopo aver visto fallire un suo precedente progetto, riceverà una strana email, che lo inviterà a collegarsi al client del suo gioco, scoprendo così che World’s Odyssey, il videogioco online su cui stava lavorando, è ancora attivo. E non solo. Shina, la ragazza che avremo appena conosciuto, altri non è che la sua “director”, scomparsa in circostanze misteriose mesi prima.

Seguendo la scia di serie famose come Sword Art Online, .Hack o in tempi più recenti OverLORD, Death end re;Quest rielabora il concept narrativo del rimanere imprigionati in un videogioco online, facendolo però alla sua maniera e con un impronta ben marcata.

La storia quindi inizierà a svelarsi pian piano, con i suoi colpi di scena più o meno prevedibili, portando avanti due linee narrative. La prima sarà incentrata su Shina, all’interno del gioco, intenta a recuperare i suoi ricordi, l’altra su Arata, che si impegnerà nel mondo reale per trovare un modo di far “sloggare” Shina e tornare alla realtà.

Le due trame proseguiranno così di pari passo, e sarà necessario passare da l’una a l’altra per poter proseguire nel gioco e arrivare all’epilogo. Le cose poi si complicheranno quando i due mondi, virtuale e reale, inizieranno a collidere, non solo mandando in confusione i due protagonisti ma anche facendo emergere un qualche tipo di cospirazione che mina alla tranquillità del mondo e mira alla sua distruzione. Se Shina dovrà vedersela con mostruose creature digitali, Arata dovrà stare attento a non finire vittima di uno violento gruppo di persone mascherate che tentano in tutti i modi di arrivare a lui e a Shina, impedendogli di indagare ulteriormente su quello che sta succedendo in World’s Odyssey. Fortunatamente non saranno soli, e in entrambi i mondi troveranno dei fidati alleati che si uniranno a loro.

Death end re;Quest assume degli inaspettati toni “splatter”.

La struttura ludica delle sezioni di Arata segue quella delle visual novel di stampo classico, con tanto di mappa per gli spostamenti e un sistema di scelte multiple che faranno avanzare la trama. Ogni snodo avrà delle conseguenze sulla storia. In caso la scelta fatta sia giusta la trama avanzerà, così come potremo continuare l’avventura con Shina, mentre in caso di errore, il risultato si paleserà in una violenta morte. Fortunatamente il sistema di salvataggio permette di salvaguardare i nostri progressi anche durante la scelta delle risposte, così da ricaricare velocemente da quel punto in seguito ad un game over. Purtroppo però non in tutte le scene è possibile salvare, specie prima di alcune boss fight, obbligando così il giocatore a ripercorrere nuovamente i propri passi e magari buttare qualche ora di gioco.

Se le fasi da visual novel funzionano egregiamente, il gameplay della parte JRPG scricchiola un po’.

Come accennato, anche in questo caso la struttura è quella del classico RPG a turni, un gameplay derivativo dalle precedenti produzioni di Compile Heart che, gioco dopo gioco, è mutato aggiungendo via via nuovi elementi.

In Death end re;Quest ogni personaggio può compiere 3 azioni indistintamente, che siano queste attaccare, difendersi o utilizzare oggetti. La particolarità del sistema di combattimento però sta nel comando “knockback”, che si attiverà utilizzando determinati attacchi che permettono di respingere letteralmente i nemici lanciandoli all’interno dell’area di gioco.

Così facendo sarà possibile assestare danni aggiuntivi ai nemici, facendoli sbattere fra loro, o rimbalzare sul bordo dell’arena, o ancora distruggendo il “Field Bugs”.

Trovandoci appunto in un videogioco “corrotto”, le anomalie e i bug pervadono tutto World’s Odyssey. Normalmente il Field Bugs, entrando in contatto con i nostri personaggi, può causare danni, aumentandone il grado di corruzione (un valore che se raggiunge il 100% porta alla morte istantanea) e causare stati alterati negativi.

Giocando attentamente però il Field Bugs può essere usato a nostro vantaggio per eliminare più velocemente i nemici. Ad esempio sfruttandolo per aumentare il nostro livello di corruzione (quindi camminandoci volontariamente su) potremo attivare il Glitch Mode, uno status che trasformerà i membri del party in versioni potenziate in grado di sferrare mosse esclusive e sconfiggere più velocemente i nemici a video. Eliminando i Field Bugs potremo abbassare le difese del gioco, permettendo ad Arata di hackerare il sistema avvalendosi del Battle Jack. Questo consentirà di alterare il codice del gioco, permettendogli di modificare alcuni valori dei nemici o di noi stessi, installare mod che cambiano il gameplay del gioco, ad esempio trasformandolo brevemente in un picchiaduro o in un platform, o ancora evocare gli Entoma, i potenti boss che avremo sconfitto durante la nostra avventura, che si affiancheranno a noi in battaglia.

C’è poi il Flash Drive System, un sistema per accedere a nuove arti e mosse speciali attivandole quando si “mixano” fra loro quelle di base. Così facendo otterremo l’accesso a versioni potenziate e nuovi attacchi, fondamentali per la vittoria in battaglia. Una meccanica a tratti interessante che tuttavia mostra il fianco ad uno sviluppo dei personaggi claudicante e che, una volta sbloccate (il 90% delle mosse possono essere ottenute fin da subito) non lascia altro al giocatore fino ai titoli di coda.

Il battle system offre quindi una buona varietà di situazioni pur restando abbastanza in linea con le precedenti produzioni e senza concedersi troppi slanci creativi. Anzi, spesso molte battaglie si protraggono troppo a lungo, specie nelle fasi finali se non si arriva ben preparati e livellati, così come non mancheranno dei picchi di difficoltà improvvisi, anche da nemici che non dovrebbero mettervi troppo in difficoltà.

Anche l’esplorazione dei Dungeon non brilla particolarmente. E il tutto rimane legato ad un concetto ormai vecchio e stantio, mostrandone tutti i difetti in una linearità che ad oggi stanca.

Da questo punto di vista, emergono tutti i difetti di una produzione low budget mirata ad un certo tipo di pubblico senza troppe pretese. Ma anche in questo caso, questa giustificazione inizia a stare stretta, dato che anche le produzioni più modeste cercano il modo di alzare un po’ l’asticella della qualità generale, senza adagiarsi troppo sugli allori.

Death end re;Quest è completabile nel giro di una cinquantina di ore, tempo necessario per accedere al true ending. Il gioco poi spinge sulla rigiocabilità, così da ottenere i singoli finali dei vari protagonisti del gioco, oltre a vari extra come boss e dungeon saltati durante la prima run.

Tecnicamente ancora non ci siamo

E se possiamo apprezzare gli sforzi fatti su storia e gameplay, il comparto tecnico è la parte più debole dell’intera produzione. Il character design è buono, ma ricalca troppo le precedenti produzioni del “duo nipponico”. A soffrire di più è la componente 3D, che esclusi alcuni modelli dei protagonisti, il resto emerge a fatica, a partire dai dungeon o dai nemici. Un risultato che resta tremendamente ancorato ad una generazione fa. Peggio ancora per la parte visual novel, che centellina artwork ed animazioni, per un prodotto quasi del tutto statico, e anche in questo caso, nonostante la portata del prodotto, si poteva e doveva fare sicuramente di più.

Decisamente meglio per il comparto sonoro che offre tutto quello che gli appassionati di titoli giapponesi si aspettano: ottime tracce cantate, il doppiaggio originale e una selezione di brani, non tutti ispirati (un paio di tracce sembrano strappate di forza dalla serie di Persona) ma coerenti con il gioco e in grado di creare la giusta atmosfera, sia quando si indaga sui misteri con Arata, sia all’interno del gioco. Ovviamente l’unica lingua presente all’interno del gioco è l’inglese, e vista la mole di dialoghi presenti una buona padronanza è richiesta.