Dying Light: The Beast – La Recensione

Dying Light: The Beast

Dying Light: The Beast è la dimostrazione di come bastino pochi accorgimenti per creare un sequel dal sapore fresco e genuino.

Ammettiamolo: i racconti a tema zombie non sono certo una novità. I videogiochi con protagonisti i non-morti sono ormai un’infinità e al giorno d’oggi risulta davvero difficile dare vita a opere meritevoli di attenzione. Sin dal 2015, però, Dying Light fa storia a parte. L’idea di creare un survival horror in prima persona con particolare focus sul sistema di parkour utilizzato per muoversi è risultata brillante, galvanizzando i giocatori di tutto il mondo. Un successo tale da spingere la saga a vendere più di trenta milioni di copie, evidenziando i notevoli passi avanti fatti da Techland dai tempi del primo Dead Island.

Dopo un primo, innovativo, capitolo, il team polacco ha deciso di andare sul sicuro con Dying Light 2: Stay Human. Questo ha permesso agli sviluppatori di consolidare il gameplay della saga, migliorando alcune sfumature delle meccaniche di movimento e dando vita a una nuova storia con un nuovo protagonista. Peccato, però, che proprio l’elemento narrativo sia stato criticato dal pubblico, ancora affezionato al carismatico Kyle Crane del primo episodio. Se c’è una cosa che ci ha insegnato il tempo, però, è che Techland ha molto a cuore il giudizio dei giocatori. Per questo motivo gli sviluppatori hanno deciso di lavorare a un DLC dedicato al ritorno di Crane. Un DLC che nel tempo è però diventato qualcosa di più grande.

Nasce così Dying Light: The Beast, nuovo capitolo della saga che riporta in scena il protagonista del primo episodio. Un capitolo che comprime tutto il meglio dei primi due giochi, introducendo alcune interessanti novità. Non ci credete? Allora seguiteci nella nostra recensione, che vi spieghiamo perché The Beast sia un titolo che nessun amante degli zombie dovrebbe lasciarsi sfuggire.

Dying Light: The Beast

LA BESTIA È FUORI

Inutile girarci attorno: Kyle Crane è il vero protagonista di Dying Light e difficilmente potrà essere sostituito da altri personaggi. Basta la prima ora di gioco, infatti, per permettere al giocatore di immedesimarsi in questo sopravvissuto e per parteggiare per lui nella sua sete di vendetta. 

La trama di Dying Light: The Beast si apre, infatti, con un Crane torturato per tredici anni dalla Global Relief Effort (GRE). Una tortura voluta da un folle scienziato noto come “il Barone”, intenzionato a fare del nostro eroe una mostruosa macchina da guerra mutante. In seguito al caos scatenato da un altro “paziente”, Kyle Crane riesce però a liberarsi e a fuggire dallo stabilimento guidato dalla voce alla radio di una donna di nome Olivia.

Tutto questo per scoprire poi di essere stato portato in una cittadina europea ai confini di una catena montuosa. In preda al desiderio di vendetta, Crane ottiene così un nuovo scopo nella vita: sconfiggere le mostruose Chimere create dal Barone. Uno scopo utile non solo per scoprire quali siano i piani dello scienziato, ma anche per diventare sempre più forte e più… mostruosamente letale. Dentro di sé, infatti, Kyle cova una bestia. Una bestia che, nei momenti peggiori, emerge pretendendo sangue e violenza.

Nonostante non si possa certo definire “innovativa”, la storia di Dying Light: The Beast è compatta e convincente. La main quest ci permette di esplorare più a fondo il personaggio di Crane, doppiato ancora una volta da quel Roger Craig Smith che in molti conoscono per essere la voce di Chris Redfield e di Batman (in Arkham Origins e Arkham Shadow). Le missioni secondarie, invece, arricchiscono l’ambientazione con informazioni aggiuntive che delineano una grande cura per il world building. La sensazione finale è quella di un progetto meno sperimentale e più compatto del secondo capitolo, ma anche molto più a fuoco. Un po’ come se la formula di Dying Light avesse trovato la sua dimensione ideale, senza alcun inutile orpello ad allungare il brodo.

Dying Light: The Beast

VARIETÀ VS. VASTITÀ

Questa sensazione di “giusta misura” non viene trasmessa solamente dal comparto narrativo, ma anche dall’intera struttura ludica. Castor Woods è una cittadina molto più piccola di Villedor, con l’ambientazione che passa da una cittadina che potrebbe appartenere alla Polonia a un paese tipico dell’Austria o del sud della Francia. Gli edifici sono meno costruiti in altezza, ma la varietà dei tetti e dei palazzi porta il giocatore ad adattare continuamente il proprio movimento alla situazione. La conseguenza è che fare parkour tra le case non è mai stato tanto divertente e vario. Una sensazione coadiuvata anche dai numerosi scenari naturali che permettono di visitare grotte, boschi o piccole alture. La presenza di luoghi nascosti e di missioni secondarie che ci portano a esplorare a fondo la mappa fa il resto, consegnando tra le mani dei giocatori la versione più “pulita” della formula di Dying Light.

Per il resto, il gameplay della serie rimane per lo più immutato, con l’evidente aggiunta della “modalità bestia”. Stiamo parlando di uno stato di furia nel quale sprofonda Crane durante i combattimenti più intensi. Stato che gli permette di squartare gli zombie a mani nude e di attivare diverse abilità (acquistabili attraverso un apposito albero) in grado di sovvertire anche le situazioni più disperate. Anche qui: nulla di davvero innovativo, ma sicuramente una gradevole aggiunta agli scontri. Se i nemici base (siano essi diurni o notturni) non sono poi molti, è inoltre evidente un grande lavoro sulle varie Chimere che popolano la città. Si tratta di veri e propri boss da affrontare, che ricompenseranno Crane con nuovi punti da spendere nel succitato albero delle abilità, permettendogli di diventare via via sempre più potente.

Dying Light: The Beast

VACANZE TRA I BOSCHI

Anche se molte software house si sono ormai convertite all’Unreal Engine, Techland ha deciso di puntare ancora una volta sul proprio C-Engine, con dei risultati davvero notevoli. Dying Light: The Beast è un piacere per gli occhi, soprattutto per quanto riguarda ambienti e illuminazione. Castor Woods è una cittadina meravigliosa da esplorare e alcuni scorci fanno realmente sperare che possa esistere davvero. Lo stesso si può dire dei modelli dei personaggi, convincenti e ben realizzati, anche se poco valorizzati da una regia che brilla di rado. Affermazione vera soprattutto per la maggior parte dei dialoghi con i vari NPC, dato che durante le cut-scene il risultato è nettamente superiore. Un plauso particolare al sistema di smembramento degli zombie che, pur non raggiungendo i livelli di Dead Island 2, ci ha fatto strabuzzare gli occhi in più di qualche momento.

Abbiamo anche apprezzato il comparto sonoro dell’intera opera, che rielabora il tema del primo capitolo e aggiunge delle tracce perfettamente fuse con il tono dell’avventura. Peccato, però, per la mancanza del doppiaggio in italiano. Avremmo tanto voluto risentire Lorenzo Scattorin nei panni di Kyle Crane, ma a quanto pare la produzione ha deciso di non investire soldi in questa direzione. Fortunatamente, almeno, hanno deciso di inserire comunque i sottotitoli nella nostra lingua.

Infine lasciateci dire che, a differenza del secondo capitolo, The Beast ci è sembrato privo di gravi bug e/o problemi di alcun tipo. Insomma: questo Dying Light è la dimostrazione di come lavorare su scala più piccola riesca, talvolta, a migliorare l’intera formula e a eliminare la maggior parte dei problemi possibili.

DYING LIGHT: THE BEAST, IL COMMENTO FINALE

Dying Light: The Beast è la miglior versione di Dying Light vista sinora. Non avrà la potenza innovativa del primo capitolo, ma è la chiara prova di come non serva stravolgere il gameplay per creare qualcosa di buono. Un parkour rifinito, un level design bilanciato e una narrativa che va dritta al punto sono tutti punti di forza di un gioco che non dovrebbe mancare nella libreria di chiunque ami i survival horror. Speriamo, a questo punto, che Techland prenda la struttura di The Beast come base per l’intera serie, nella speranza di vedere in futuro nuovi episodi con questa dimensione. Una scelta che non solo fa del bene alla saga, ma che contribuirebbe ad andare contro a quel gigantismo che, ultimamente, sta creando diversi problemi anche alle saghe più blasonate.

Dying Light: The Beast è disponibile su Xbox Series X|S, PlayStation 5 e PC.

Dying Light: The Beast
Pro
Trama semplice, ma diretta
Il miglior parkour della saga
Un level design appagante in tutto e per tutto
Contro
Non reinventa la ruota
Peccato per l’assenza dei sottotitoli in italiano
8.5
Voto