In un periodo dove gli universi condivisi conquistano il pubblico, forse quello più peculiare è quello creato – tardivamente – da M. Night Shyamalan con Split. Come tutti ben saprete, il finale del film rivelava la sua profonda connessione con Unbreakable, precedente di oltre quindici anni, e anzi dava alla pellicola un senso completamente diverso rispetto a quello che si poteva trovare fino a poco prima. In realtà Shyamaln avrebbe voluto realizzare un seguito molto tempo prima, ma non gli era mai stata offerta la possibilità di farlo: la Universal ha colto la palla al balzo e ha pensato che il momento fosse propizio. Lo stratagemma ha funzionato così bene che l’attesa per Glass, ultimo capitolo della trilogia, era alle stelle. Il film che avrebbe finalmente messo a confronto i tre personaggi coparsi fino a quel momento: Mr. Glass, interpretato da Samuel Jackson, Dunn, il vigilante incarnato da Bruce Willis e l’Orda, magistralmente portato sullo schermo proprio in Split da James McAvoy. L’idea era così succulenta che chiunque sperava che Shyamalan avesse saputo svilupparla al meglio, ma le prime recensioni internazionali sono state impietose con la sua ultima, e forse più ambiziosa, fatica cinematografica. Purtroppo non si può dare tutti i torti a chi non ha apprezzato Glass: la roboante premessa che sta all sua base, infatti, non basta. Sebbene nella prima parte ci sia tutto quello per cui il pubblico non vedeva l’ora di guardare il film, la parte centrale, sì introspettiva ma eccessivamente lenta e carente di sostanza a livello narrativo, e un finale eccessivamente rapido e in cui torna ben poco, hanno contribuito a oenalizzare pesantemente l’opera. Ciò che il regista intendeva fare era decostruire la figura del supereroe, nel momento storico in cui gode della massima considerazione, e ci è riuscito persino, in parte. Mettere a confronto tre supereroi con capacità diverse, mettendo in dubbio il loro effettivo status di supereroi (o, in ben due casi, supercattivi), non è sicuramente una facile impresa, ma essendo il terzo e ultimo film della trilogia veniva meno un problema non da poco: la necessità di presentare ogni personaggio. In Glass, infatti, sappiamo già il background di ciascun protagonista e sarebbe stato possibile dedicarsi completamente alla loro interazione, ma Shyamalan ha preferio giocare sul personaggio di Sarah Paulson, che cerca in tutti i modi di annientare ogni possibilità di esistenza di persone in possesso di abilità incredibili. In questo senso, il regist ha voluto inserire un elemento di realismo bruciante per indurre perfino lo spettatore in dubbio: e se i tre protagonisti fossero effettivamente degli egomaniaci incapace di distinguere la realtà dalla fantasia? Un espediente molto interessante, che però viene totalmente vanificato da una scarsa attenzione alla logica narrativa: in più di un momento ci si chiede perchè i personaggi reagiscano in maniera inverosimile, mentre, ancora più spesso purtroppo, si possono notare falle enormi nella storia, fino ad arrivare ad una chiosa potentissima da un punto di vista emotivo, ma che affonda le radici in un tripudio di mancanze nella narrazione che portano ad una parziale delusione. Glass è senza dubbio un film in grado di scatenare le più disparate sensazioni nello spettatore: è un affresco romantico e disperato della visione attuale dei supereroi, qui spogliati della loro aura sacrale e gettati letteralmente nel fango, che provoca emozioni forti, ma anche un film che dimostra discontinuità fin troppo evidenti a livello narrativo.
Un altro problema è lo spazio dedicato a ciascun personaggio: Mr. Glass, per quanto Jackson sia stato bravo, è affascinante ma non particolarmente più sviluppato rispetto a quanto già visto in Unbreakable, lo stesso si può dire di Dunn. Il discorso è diverso per quanto riguarda l’Orda, che qui è decisamente meno inquietante, dal momento che il contesto è cambiato radicalmente, in relazione a Split. Nel film precedente l’atmosfera era più cupa e grottesca, maggiormente vicina all’horror, mentre in Glass il focus è puntato sui supereroi. In questo modo abbiamo molti più momenti in cui i repentini cambi di personalità del personaggio, più che inquietanti, sono ai limiti del ridicolo, al punto da farlo diventare una sorta di comic relielf, soprattutto quando a prendere il controllo del corpo è il piccolo Hedwig. Non mancano però combattimenti anche spettacolari, grazie ad una regia dinamica ma che punta ad un relativo realismo, attualizzando e concretizzando l’idea contemporanea della figura del supereroe. In generale, dal punto di vista tecnico, il film è sicuramente ben fatto, coe conferma una fotografia dalle tinte pastello depauperate della loro vitalità, come a suggerire una sensazione di smarrimento e inaridimento. La storia che Shyamalan ha voluto raccontare è tinta di grottesco – forse troppo – ma con uno spiraglio di speranza, il che la rende effettivamente più vicina a tante storie della Silver Age fumettistica. Il tentativo del regista è chiaramente quello di cavalcare l’onda dei cinecomic, proponendone uno, che, di fatto, non lo è. L’esperimento è ottimo, soprattutto perchè il contesto si è venuto a creare alla fine del secondo capitolo della trilogia, quindi in maniera tardiva, ma all’atto pratico manca la capacità di gestire il tutto in maniera controllata, con una continua ricerda del colpo di scena, assolutamente non necessario. Inoltre l’intera storia è resa arzigogolata, ma senza che ci fosse effettivamente bisogno che fosse tale, complice anche il fatto che Shyamalan, negli anni, si è creato la fama di regista latore di trame complesse e scioccanti. A conti fatti Glass non è un brutto film. Per quanto alcune cose non tornino e in generale si senta l’odore di pasticcio narrativo, racconta un epilogo doloroso, a tratti quasi titanico, che si fa voler bene se lo si guarda nella sua accezione più profonda. Ma per i più attenti è solo l’ennesimo tentativo andato a male di un regista ormai diventato discontinuo nelle sue produzioni. Ma, alla fine, Samuel Jackson è Samuel Jackson, quindi va bene così.