Possiamo provare a prendere in analisi la serie Gomorra tanto in un contesto cronologico quanto in uno tematico. Il paragone con altre opere seriali nostrane incentrate sulla malavita organizzata resta però inevitabile. La serie di cui trattiamo è sbarcata sulle reti Sky nel 2014, riportando linfa vitale al filone cult inaugurato da Romanzo criminale, una storia ormai conclusa da quattro anni.
Nel tentativo di evitare troppi riferimenti alla trama e agli eventi di entrambe, cercheremo almeno di paragonare quelli che, a mio avviso, si pongono come elementi caratterizzanti di ognuna di esse, sfatando il mito che le vorrebbe quasi gemelle, seppur collocate geograficamente e temporalmente in ambiti diversi (e dici poco..).
Per concludere l’introduzione giova almeno una menzione, che riprenderemo, della terza sorella; quella che probabilmente è rimasto più nell’ombra, sia per cause dovute alla materia, che alle modalità di trattazione o distributive: Suburra.
Una analisi cronologica dovrebbe tener conto non solo dell’ordine di uscita di queste tre serie, ma anche del fatto che ognuna di loro sia stata preceduta o succeduta da un omonimo, seppur scollegato, lungometraggio. Per non parlare poi del dettaglio che le vorrebbe tutte ispirate a un, guarda caso sempre rispettivamente omonimo, libro.
Dal momento in cui ho incominciato a mettere in fila le idee per la stesura di questo articolo ho dovuto iniziare a chiedermi cosa fosse davvero rilevante al fine di descrivere Gomorra nel complesso delle sue attuali tre stagioni. Come dicevamo in precedenza, il chiamare “sorelle” le tre serie elencate deriva chiaramente dal tema affrontato in ognuna di esse: la criminalità organizzata che da locale e puramente violenta si trasforma gradualmente nella sua versione più sofisticata, internazionale e all’apparenza più elegante. Parlare della trama in quanto tale mi sembra infatti una attività alquanto sterile. Tutte e tre le serie presentano più o meno gli stessi stilemi e sono certamente affini nelle loro evoluzioni narrative.
Mi sono accorto allora di quale sia il punto su cui mi preme porre l’attenzione, e non l’avrei individuato se non fosse per tutti coloro che, nella stragrande parte dei casi, nemmeno hanno visto una di queste opere seriali.
Sentiamo molto spesso, infatti, pompose accuse che vedrebbero ogni puntata come un grande elogio della criminalità, una mitizzazione delle figure dei mafiosi e delle loro gesta. Io credo invece che in ognuna di queste serie sia possibile ravvisare l’esatta opposta intenzione, che poi larga parte del pubblico impari a citare lunghi monologhi in vernacolo, con atteggiamento e cadenza ripresi dal carattere che per primo lo pronunciò in scena, non credo consenta di parlare di idolatria. Io stesso ricordo ancora a menadito lunghi dialoghi in romanesco o soprattutto in dialetto napoletano, ma credo esista un larghissimo confine tra folclore e idealizzazione.
Anche su questo punto Gomorra e Romanzo criminale si differenziano pesantemente, ed è proprio questo che ho deciso di sottolineare qui, non solo perché le diverse ambientazioni e i diversi ambiti sociali potrebbero portare l’osservatore a preferire una piuttosto che l’altra storia, ma soprattutto perché è mia assoluta opinione che la preferenza possa, a visione conclusa, basarsi anche solo sull’atteggiamento del narratore rispetto ai personaggi messi in scena.
Mi spiego subito meglio: Romanzo criminale ci trasporta immediatamente in una bellissima Roma di metà anni ’70, qui possiamo far la conoscenza di un gruppo di amici ormai assestato da anni. Certo, altri personaggi si uniranno a loro, ma risulta quasi inevitabile ‘fare il tifo’ per una combriccola di ragazzi (delinquenti, per carità) che inizialmente sembrano voler esclusivamente prendere la propria rivalsa sociale, guardando sempre le spalle dei compagni, al costo della propria pelle. È la crescita ben calibrata del loro potere, delle loro smanie che li porterà sempre più radicalmente a mutare, a diventare serpi avvinghiate su sé stesse. Bestie destinate a mangiarsi fra loro pezzo per pezzo, dimentichi di qualsiasi rapporto di fiducia aleggiasse in precedenza tra loro. Il coinvolgimento dello spettatore si trasforma rapidamente in disprezzo e biasimo, in una costante ricerca di quale sia il personaggio più deprecabile, sino al giungere di una conclusione che non salverà moralmente nessuno.
Gomorra, dall’atra parte, procede con un intento decisamente diverso. Fin dalle prime scene viene messa in chiaro la situazione disastrata di alcune (sempre troppe) zone del napoletano. Luoghi dove l’assenza più totale dello stato (criticata come pecca della serie da molti, giudicata come onesta rappresentazione del reale da me, ndr.) porta i giochi dei bambini locali a tramutarsi in allenamento per il mestiere che sembrano già condannati a svolgere dl giorno in cui giungerà l’adolescenza. I simboli sacri si mescolano alla violenza come negli occhi dei locali i mafiosi si trasformano in protettori e fonte di sostentamento.
L’osservatore, qui, non è in grado di empatizzare davvero con i protagonisti messi in scena, nonostante il grande carisma degli stessi. Il disgusto e il disprezzo per l’egoismo avido e omicida di ognuno di loro non lasciano spazio all’immedesimazione. Parteggiare per uno o per l’altro individuo (si noti come Romanzo Criminale lavorasse molto di più sulla figura del gruppo) può essere possibile, ma la più basilare morale non permetterà di potersi schierare sempre e comunque dalla parte dello stesso soggetto. Tutti sono feccia, tutti sono deprecabili. Il carisma non può sostituirsi all’onore o alla decenza, e lo sfacelo delle zone in cui si svolgono le vicende non porterebbero nessuno a desiderare di condividere quel destino.
Dove molti vedono elogio, io vedo dura condanna. Gomorra, almeno fino alle sue prime tre stagioni (tutte quelle uscite finora, raccolte in un bel cofanetto), non permette a nessuno dei suoi personaggi di essere davvero amato. Possono piacere per scrittura e fascino, ma alla loro morte non sarà mai davvero possibile piangerli. Facciamola estremamente breve: se il Joker di Batman dovesse morire definitivamente, tutti ci sconvolgeremmo per la perdita del personaggio, ma mai nessuno lo glorificherebbe quale esempio di uomo virtuoso.
Quando questa glorificazione avviene in scena, poi, ci si sente strani e fuori posto. L’umanità dello spettatore percepisce il controsenso dei pianti e delle preghiere davanti alla gigantografia del mostro deceduto di recente.
Ribadisco ciò che già dissi in precedenza: la prossima volta che chiederete a qualcuno se vi consiglia la visione di Gomorra e vi sentirete rispondere che non vale la pena di guardare un elogio alla Camorra, fatemi un favore, chiedetegli se davvero ha mi visto questa serie.