House of Gucci, il nuovo film di Ridley Scott non è tutto da buttare
House of Gucci è il tanto chiacchierato nuovo film di Ridley Scott, che solo qualche mese fa avevamo trovato al cinema con The Last Duel, una pellicola passata, purtroppo, in sordina ma che si rivela essere uno dei prodotti per il grande schermo più azzeccati dal regista negli ultimi anni.
Questa volta, però, Scott è alle prese con uno dei drammi familiari che ha interessato, negli anni ‘90, i Gucci, che di certo non hanno bisogno di presentazioni. In particolare, il film si concentra sulla storia di Maurizio Gucci (Adam Driver), rampollo della famiglia e figlio di Rodolfo (Jeremy Irons), e sul suo rapporto burrascoso con l’ex moglie Patrizia Reggiani (Lady Gaga), culminato con la morte di Maurizio su commissione della stessa. Di contorno, troviamo gli altri membri della famiglia: il già citato Rodolfo, ormai malato e prossimo alla morte, suo fratello Aldo (Al Pacino) e il figlio, nonché cugino di Maurizio, Paolo (Jared Leto).
Il film, fin da subito, ha riscontrato pareri fortemente negativi da parte della critica e del pubblico, che hanno visto in House of Gucci un ritratto grottesco e caricaturale dei componenti della famiglia, nonostante il cast stellare, per non parlare della superficialità con cui certe dinamiche sono state raccontate.
Personalmente, credo che The House of Gucci sia assolutamente lontano dall’essere un film d’autore e ha tanti difetti che lasciano l’amaro in bocca, si poteva fare certamente di più; eppure, nel complesso l’ho trovato un film godibile e con – nonostante le 2 ore e 40 minuti di durata – uno scorrimento narrativo ben strutturato, capace di tenere viva l’attenzione dello spettatore.
Il difetto principale non è lunghezza, quanto piuttosto il montaggio frammentato e poco chiaro; la pellicola procede a ritmo fin troppo veloce e forse proprio per questo non lascia tempo a chi lo guarda di capire a che punto siamo della storia, perché certe cose succedono e quando succedono. Cosa che si ripercuote molto anche sul finale, che rimane soltanto abbozzato. Forse, sarebbe stato meglio puntare ad avere un prodotto di durata minore ma con tutte le dinamiche tra i protagonisti ben strutturate, dando un’attenzione in più alle loro storie personali.
Invece, a discapito di quanto molti hanno detto in merito alla rappresentazione dei personaggi, e più in generale del ritratto degli italiani che viene dato in House of Gucci, ho trovato che non fossero eccessivamente esasperati; anzi, credo che il lavoro fatto sul linguaggio e le gestualità non sia così fastidioso come molti hanno affermato.
L’unica nota stonata su cui non è possibile sindacare è il personaggio di Jared Leto, Paolo Gucci, che viene dipinto per tutto il film come un incapace buono a nulla. Purtroppo, Leto rimane vittima di un overacting senza precedenti e la sua interpretazione è assolutamente deludente, per non dire al limite dell’offensivo. Per quanti difetti potesse avere Paolo, dubito fortemente che nella vita di tutti i giorni avesse sempre recitato il ruolo di giullare di corte.
Ma insomma, alla fine dei conti, questo House of Gucci com’è?
Nel complesso, House of Gucci ci dà un ritratto spietato e sincero di quanto l’avidità possa accecare gli animi e non si fermi davanti a niente, neanche la famiglia. Scott è stato bravo a giocare su questo punto, sfruttando il richiamo anche ad una scena de Il Padrino, in quell’abbraccio tra Aldo e Paolo. Una citazione al cinema del passato, che si aggiunge a quella di Jackie Brown, con la scena, sempre con Aldo e Paolo protagonisti, mentre sono intenti alla ricerca della macchina nel parcheggio del penitenziario. Chi ha visto entrambi i film capirà.
Indubbiamente bella anche la messa in scena; gli abiti e il lusso che trasuda da ogni fotogramma ci fanno testimoni di un mondo lontano, accessibile a pochi, e inarrivabile per tutti gli altri. Il massimo che puoi concederti è sfiorarlo, come tenterà disperatamente di fare Patrizia fino all’epilogo fatale. Ennesima dimostrazione di come in realtà il sogno americano, sia destinato a fallire.
Concludendo, so che, nonostante questa recensione un po’ più clemente rispetto alla massa, ci saranno comunque degli scettici. Un motivo per convincervi a dargli una chance? Adam Driver. Comunque lo metti è una garanzia.