Nerdmovieproductions al New York Comicon
Nonostante il titolo di questo articolo ci riconduca ai grandi flussi migratori della seconda metà dell’Ottocento, credo sia la perfetta sintesi dei miei pensieri una volta terminata questa edizione del New York Comic Con (da qui chiamato anche NYCC).
Partiamo da un presupposto: chi vi scrive è abituato a bazzicare per le piccole fiere del fumetto italiano e, una volta all’anno, in quel agglomerato di caos e cosplay che risponde a nome di Lucca Comics & Games. Capirete bene, quindi, che quando mi è stato accettato l’accredito per il NYCC il mio primo pensiero sia stato “Se già non sopporto la confusione totale del festival lucchese, come potrò sopravvivere alla convention di New York?!”. Un po’ spaventato, ma allo stesso tempo molto incuriosito, ho fatti quindi armi e bagagli, per prendere l’aereo in direzione della Grande Mela.
Salto temporale. Sono le sette di mattina e mi sveglio di scatto nel mio AirB&B di Brooklyn, mentre fuori dalla finestra suonano quelle sirene che ormai ho imparato a riconoscere in centinaia di serie tv americane. Mi vesto, mi preparo, scendo in strada e mi fiondo nella prima metropolitana a portata di tiro. Acquisto il mio biglietto alla velocità della luce (che bello quando posso acquistare tutto con la carta di credito senza perdere tempo con le monete) e raccolgo tre momenti di pace interiore, sapendo di doverli poi distribuire con accuratezza nel corso della caotica giornata. Dopo una mezzora di metro, esco alla mia fermata, tappa necessaria da Starbucks e mi fiondo davanti al Javitz Center, venendo accolto da un gigantesco cartellone di Watchmen della HBO. Neanche il tempo di illuminarmi di fronte a tanta magnificenza, che volgo il mio sguardo a sinistra, verso la coda per entrare.
Tralasciando che per la prima volta ho davvero compreso la strategia di combattimento di Leonida e dei suoi spartani, comincio a fare affidamento a uno dei tre momenti zen messi da parte. Faccio il bravo e mi metto in coda. Avete presente quella misteriosa legge fisica per la quale, a Lucca, anche se la coda è composta da 10 persone, la fila sembra non scorrere mai?! Beh, sembra essere una legge che non si applica a questo evento, perché nel giro di 10 minuti eravamo tutti all’interno dell’edificio, con tanto di controllo approfondito delle borse per ogni singolo individuo.
Frastornato per tanta efficienza, mi dirigo immediatamente verso l’Artist Alley, dove il mio cuore nerd ha saltato più di un battito. Dimenticatevi gli acquisti obbligatori per poter parlare con un autore. Dimenticatevi le straca**o di lotterie messe in piedi dalle case editrici per farvi ottenere un autografo. Dimenticatevi le code chilometriche perché tutti devono farsi la foto con l’autore di turno, nonostante la gente dietro che aspetta. Dimenticatevi di tutto questo. All’Artist Alley del NYCC potevate incontrare i più grandi autori del fumetto americano andando semplicemente al loro stand, stringendo loro la mano e, nel caso voleste un autografo, chiederlo senza alcun problema. Donny Cates, Dan Slott, Olivier Coipel, Matteo Scalera, Marco Checchetto, Marco Bucci, Jacopo Camagni, Frank Cho, Humberto Ramos e decine e decine di altri autori, tutti estremamente cortesi e disponibili, tanto pronti a farti una dedica gratis, quanto una commission a pagamento. Esploro, parlo con tutti, delego al giorno successivo tutto ciò che devo comprare e lascio quel piccolo angolo di paradiso, per dirigermi verso l’area più commerciale del Javitz.
Inutile dirlo: il piano principale del New York Comic Con era molto più intasato rispetto alla zona con gli autori, ma (ed è un “ma” bello grosso) la convention è stata perfettamente organizzata in modo da avere ampi corridoi e un flusso continuo di persone, che ci hanno permesso di non bloccarci mai e di scorrere sempre e comunque senza alcun problema. I cosplayer americani, inoltre, sembrano avere la straordinaria dote intellettiva di evitare di gettarsi all’interno dei corridoi se dotati di costumi particolarmente invasivi. Per loro, infatti, era stata allestita un piccolo piazzale interno dove, seguiti da fotografi professionisti ingaggiati dal NYCC potevano sfilare e chiacchierare tra loro con tutta calma. Niente ali di polistirolo addosso alla gente che cerca di guardare le bancarelle o costumi tanto lunghi da venire calpestati nel caos dei corridoi. Ogni tipologia di utente aveva il suo spazio per potersi godere appieno la fiera, con tanto di bagni e camerini a iosa per evitare fastidiose code solo per lavarsi le mani.
Tra le miriadi di stand dedicati a negozi e case editrici, mi faccio spazio sino a raggiungere una statua in lontananza che trovo molto familiare. Si tratta, infatti, del monumento dedicato a Captain America che possiamo trovare in Marvel’s Avengers, titolo targato Crystal Dynamics in uscita il prossimo anno. Dopo una coda di circa mezzora, sono riuscito a testare con mano circa 30 minuti di gioco (la demo che ormai tutti abbiamo visto) e, al netto di qualche incertezza tecnica e di un gameplay che necessariamente deve perfezionarsi, posso ammettere di essermi divertito non poco. Un plauso agli standisti che, oltre a dimostrare una discreta conoscenza e passione per il titolo in prova, si sono dimostrati molto gentili, pacati e disponibili nonostante la mole di persone che costantemente chiedeva loro informazioni (anche non attinenti a Marvel’s Avengers). Decido quindi di lasciare uno dei miei due momenti zen rimasti al ragazzo che mi ha seguito per tutta la prova del gioco e continuo il mio viaggio verso uno dei panel dedicati ai film e alle serie tv.
Una delle frasi che possono racchiudere questo NYCC potrebbe essere “non c’è nessuno più importante di qualcun altro”. Per accedere ai vari panel, infatti, non importava essere in possesso di un tesserino “stampa” o “ospite”, perché l’unico modo per entrare a vedere gli spettacoli era quello di mettersi in fila e di aspettare come tutti gli altri. Non nego che, in un paio di momenti, ho deciso di lasciare la coda in quanto non potevo permettermi di aspettare 2-3 ore per entrare nei vari panel, ma ho apprezzato l’onestà dietro questa scelta da parte della direzione del Comic Con. Un avviso per chi volesse andare in futuro alla fiera di New York: se vi interessa una conferenza, presentatevi in coda almeno 2 ore prima, perché è l’unico modo per trovare poche persone in fila.
Demoralizzato per non essere riuscito a entrare in un panel dedicato alla Marvel (dopo un’ora e mezza ci hanno fatti andare via perché la sala era già piena), mi sono diretto verso il Marvel Booth per assistere alla presentazione della terza stagione di Runaways. Con abili trucchi Jedi (grazie, ragazza gentile che gestiva la coda) sono riuscito a infiltrarmi nella fila per gli autografi con il cast e ho potuto parlare per circa 30 secondi con ognuno degli attori della serie, che si sono dimostrati non solo estremamente gentili, ma anche tanto simpatici da provare a parlare in italiano perché affascinati dal nostro Paese.
Con il cuore in gola, scendo dal booth e mi guardo attorno, per decidere cosa esplorare nel poco tempo rimastomi. Mi muovo, quindi, verso l’area dedicata agli attori ospiti, tra i quali spiccavano sicuramente Tom Hiddleston e Paul Rudd. Peccato, però, che ci si potesse mettere in coda solo se in possesso di un biglietto per la foto (250 dollari) o per un autografo (200 dollari). Cifre che, a mente lucida, sono paragonabili a metà del costo del biglietto di viaggio A/R da Venezia a Boston e che mi spingono ad abbandonare rapidamente la zona.
Mi muovo verso l’esterno e, mentre sono assorto nei miei pensieri, trovo la prima cosa che accomuna il New York Comic Con con il Lucca Comics & Games: gli stand del cibo che costano l’ira di Dio (Kratos). Guardo gli hot dog a 9 dollari e rido pensando che, fuori dall’edificio, ho visto almeno 4 stand dedicati al cibo che facevano lo stesso tipo di panino a 3 dollari e mezzo.
Con un po’ di fame addosso, mi dirigo verso l’uscita del Javitz Center, fiero di portare ancora con me un frammento di quiete zen e totalmente innamorato di questo NYCC, in primis della sua organizzazione al limite della perfezione. Tutto è esattamente dove deve essere. Il personale di supporto è organizzato e pronto ad aiutarti per qualsiasi dubbio o problema tu abbia (vi ricordate le mappe di Lucca finite il giovedì mattina?), mentre il pubblico del festival sembra aver compreso alla perfezione l’anima dell’evento, evitando in tutti i modi di dare fastidio agli altri utenti.
Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare.
Ho visto persone mettersi in fila solo per stringere la mano al proprio autore preferito, senza chiedere fotografie o dediche su 200 volumi portati da casa.
Ho visto cosplayer cambiarsi nei camerini per accedere alla zona dedicata agli autori, in modo da evitare di sbattere addosso agli altri con i propri costumi.
Ho visto autori dire ai propri manager “lascia stare, mi piace la sua maglietta e il disegno glielo faccio gratis”.
Con tutti questi pensieri in testa, respiro l’aria fredda della New York delle 17 di sera. Alzo lo sguardo e vedo il cartellone dedicato a Watchmen. Penso all’orologio del conto alla rovescia per l’Apocalisse e, per qualche assurdo (ma non così tanto) motivo, mi rendo conto che manca meno di un mese al Lucca Comics.
Perdo il mio ultimo momento di pace ed esco dai cancelli del Javitz Center.