Lo strano Natale di Topolino
Tra gli innumerevoli corti e special natalizi della Disney ho optato per un viaggio piuttosto lontano nel tempo, tornando indietro agli anni ’30, per rispolverare un paio di perle piuttosto lontane dai canoni natalizi attuali. Sto parlando di Mickey’s Orphans del 1931 e di Mickey’s Good Deed del 1932, due cortometraggi in bianco e nero.
Partiamo dal primo in ordine cronologico, ovvero Mickey’s Orphans.
La trama in breve: una figura incappucciata spia dalla finestra il Natale di Topolino (la cui voce, come da tradizione, appartiene allo stesso Walt Disney), Minnie e Pluto e dopo aver visto un clima festoso e di gioia (ed un normale status economico) abbandona a malincuore una cesta di quelli che si rivelano essere neonati gattini. I micetti in questione vengono accolti con giubilo e i tre fanno di tutto per rendere magico il loro Natale, nonostante i felini si rivelino essere un’orda implacabile di distruzione (grazie anche ai regali di Topolino). Il tutto termina per l’appunto con questo maestoso albero di Natale totalmente raso al suolo dai gatti, tra lo stupore misto delusione della coppia Topolino-Minnie.
A vederlo oggi fa sicuramente un certo effetto: manca un classico lieto fine, una conclusione “prefabbricata” che ci dica come comprendere questo corto. Ed è questo il punto di forza: è ambiguo, strano, tutt’altro che “natalizio”. Topolino e Minnie si rivelano tutori amorevoli ma alle prime armi, e finiscono con l’essere sopraffatti da questa massa di gatti assatanati.
Corto mooolto particolare, non perdetelo. Si tratta anche, secondo alcune fonti, del primo cartone animato IN ASSOLUTO a tema natalizio. In realtà pare esserci un corto antecendente, con protagonista il primo vero personaggio di Walt Disney, Oswald il Coniglio Fortunato, oggi introvabile e intitolato Empty Socks: durante la storia il coniglio si trovava a dover interpretare Babbo Natale in un orfanotrofio.
Passiamo dunque al secondo cortometraggio, Mickey’s Good Deed:
Primo cartone a raffigurare un Topolino povero, costretto a mendicare l’elemosina: non va dimenticato che siamo nel periodo appena successivo alla grande crisi del ’29, ed è proprio in quel clima che si situa la storia. Qui il nostro topo, suonatore di strada accompagnato dal fido Pluto, si accorge che le numerose offerte dei passanti non sono altro che bulloni e viti, impedendogli di trascorrere un lauto pasto natalizio. Non perdendo la speranza si ritrova a suonare sotto la casa di un ricco e grasso maiale che non riesce ad accontentare con i giocattoli i capricci del figlio. Bambino-porcellino che, vedendo però Pluto, dopo un’iniziale pausa dai lamenti, esige di avere il quadrupede. Il riccone allora consegna al proprio domestico una mazzetta di banconote per convincere Topolino a vendere il cane, ma il topo fugge. Perdendo il proprio strumento musicale, unica fonte di sostegno, e ritrovandosi alla finestra di una madre sola (il marito è in prigione), disperata e poverissima, con una serie di gattini che sognano un Natale felice.
E qui arriva la scena che mi ha colpito di più, ovviamente guardandola attraverso gli standard moderni: Topolino torna dal ricco maiale e GLI VENDE PLUTO, per poter comprare doni agli sfortunati gattini e fargli passare un Natale felice. Il porcellino, con il suo nuovo cane, dà il via ad un’altra ondata di distruzione (e torna il tema già presente nel corto precedente), con Pluto che viene cacciato di casa dal ricco, ora disperato e ridotto ad uno straccio, e infuriato con il figlio, che punisce con delle sculacciate. Il cane tornerà poi da un triste Topolino (che fa un pupazzo di neve con le sembianze di Pluto), inconsapevolmente portandosi dietro il tanto agognato pranzo natalizio.
Anche qui il carico emotivo è notevole: il povero Topolino di fatto vende il suo migliore amico per poter regalare un felice Natale ad una famiglia disastrata. Interessanti anche la figura del ricco e di suo figlio, simboli di un’opulenza che non può acquistare la serenità familiare.
Insomma, due quadretti piuttosto singolari e aperti a diverse interpretazioni che ci restituiscono una visione del Natale tanto distante quanto coerente con quella odierna.