Lo ammettiamo: prima del suo arrivo su PlayStation VR2 non avevamo mai sentito parlare di Into the Radius. Una colpa, a quanto pare, abbastanza grave, dato che è bastata una rapida ricerca su Google per capire di avere a che fare con un mostro sacro della realtà virtuale. Titolo uscito su PC nel 2020, Into the Radius è uno sparatutto VR con un forte accento sulla componente survival. Una sorta di S.T.A.L.K.E.R. in grado di farci vivere in prima persona le difficoltà di una vita passata a sopravvivere in un mondo ormai allo sbando. Un mondo dove non sono solo i nemici il vero pericolo, ma anche l’ambiente circostante.
Affascinati dall’opera sviluppata da CM Games, abbiamo deciso di indossare il nostro fidato PlayStation VR 2 e ci siamo immersi nella lugubre zona Pechorsk. Dopo un inizio più traumatico del previsto, quello che ci siamo trovati tra le mani è un’opera completa. Non un classico titolo VR, dalla longevità limitata e dalle meccaniche semplici, bensì un videogioco massiccio e in grado di portare via decine e decine di ore. Ma saranno ore di qualità quelle passate all’interno di Into the Radius? Se siete curiosi di scoprirlo, afferrate il vostro zaino, fate scorta di provviste e seguiteci in questa nuova recensione dedicata a uno dei titoli per la realtà virtuale più apprezzati degli ultimi anni.
UNA TRAMA AL SERVIZIO DELL’ESPLORAZIONE
Bastano pochi minuti per rendersi conto che Into the Radius non è un gioco che fa del proprio punto di forza la narrativa. Questo non significa che non ci sia una vera e propria storia da seguire, anzi. Into the Radius è ambientato in una realtà alternativa nella quale, nel 1987, un misterioso “Evento Perchrosk” ha cambiato per sempre il mondo per come lo conosciamo. Tra terremoti e altre calamità naturali, un enorme globo nero compare nel cielo. Cosa sia e da dove provenga, però, nessuno lo sa. Anni dopo, la zona nota come Perchorsk (dalle marcate connotazioni sovietiche) rimane abbandonata a sé stessa, in preda a pericolose creature che attaccano chiunque abbia il coraggio di uscire dalle proprie abitazioni. Il nostro protagonista senza nome e senza memoria si trova catapultato in questo mondo, perseguitato dalle visioni di una ragazzina di nome Katya. Da dove proviene l’esploratore? E chi è quella misteriosa ragazza? Domande alle quali potrete trovare risposta missione dopo missione.
Il titolo sviluppato da CM Games, come già accennato, non è pensato per sorprendere sul piano narrativo. La storia, mai davvero esaltante e raccontata senza particolare trasporto, serve più come contesto. Come motivazione per affrontare determinate quest e per raggiungere specifiche aree della mappa. Into the Radius, però, offre un’ambientazione estremamente suggestiva, accompagnata da documenti e da brevi dialoghi con le “persone” che popolano il mondo di gioco. Questo tocco aggiuntivo permette di immedesimarsi maggiormente con il protagonista, scoprendo gradualmente non solo il proprio passato, ma anche quello del territorio che lo circonda. Ammettiamo di essere rimasti davvero affascinati dal world building realizzato dal team estone. Un world building minimale, ma perfetto per un mondo post-apocalittico che deve lasciare ampio spazio all’interpretazione del giocatore.
LE DIFFICOLTÀ DELLA “ZONA CONTAMINATA”
Ci è bastato affrontare il Tutorial per capire che Into the Radius non è classico gioco VR. È evidente sin da subito la volontà degli sviluppatori di dare vita a un’opera complessa, stratificata e, di conseguenza, in grado di soddisfare il palato dei giocatori più esigenti. Ogni singolo aspetto della produzione è votato al realismo. Questo perché Into the Radius non è un semplice sparatutto, bensì un survival nel quale ogni nostra azione ha delle conseguenze. Le armi da fuoco, per esempio, hanno la sicura, possono incepparsi e necessitano di essere ricaricate al momento giusto. Il tutto tramite caricatori che devono essere, a loro volta, riempiti di proiettili per poter funzionare. E questo è solo l’inizio.
Vi basti sapere che la nostra prima scampagnata nel Perchorsk è iniziata con l’incontro con un nemico base. Estratta la nostra arma, ci siamo presto resi conto di non averla ricaricata al rifugio. Mentre cercavamo di sfuggire alle grinfie del mostro, abbiamo estratto il nostro zaino, afferrato un caricatore, preparato l’arma a sparare e abbiamo aperto il fuoco. O almeno: ci abbiamo provato. Il caricatore trovato poco prima, infatti, non era provvisto di proiettili. Fortunatamente nello zaino ne avevamo un altro pieno che, tra un colpo della creatura e l’altro, siamo riusciti a infilare nella pistola, avendo quindi la meglio sul nostro avversario. Che dire? Un inizio davvero emozionante.
Into the Radius ci introduce gradualmente in un gameplay loop in grado di intrattenere per lungo tempo. Potremo infatti affrontare sia le “missioni prioritarie” che quelle “classiche”. Le prime prevedono quest più elaborate e con un pizzico di trama. Le seconde servono per incrementare le proprie risorse e finanze. Una volta raccolti degli oggetti, infatti, potremo decidere se venderli o se stiparli nei nostri alloggi. Alloggi che sono presto diventati, nel nostro caso, caotici come la stanza di un adolescente, con oggetti di tutti i tipi sparsi ovunque, su tutti i tavoli e dentro tutti gli armadietti. In ogni caso: questo loop ci ha tenuti incollati al gioco, nonostante qualche problematica riscontrata nel puro e semplice gameplay.
PICCOLI DIFETTI, GRANDI PROBLEMI
Nonostante sia evidente la natura di “gioco completo”, Into the Radius scricchiola proprio in questo suo voler esagerare sotto ogni aspetto. La varietà di situazioni e di interazioni rende l’esperienza un po’ troppo meccanica, finendo danneggiata dagli attuali limiti della realtà virtuale. Salire le scale, aprire le scatolette di cibo, afferrare gli oggetti è sì intuitivo, ma non sempre facile. Ci è capitato davvero tanto spesso che l’azione fisica compiuta non venisse registrata dal gioco, facendoci cadere dalle scale o spingendoci a gettare lontano le lattine in preda alla frustrazione. Questi difetti sono stati ampliati anche dalla problematica gestione dell’inventario nel caso si decida di giocare da seduti. Se in piedi non abbiamo riscontrato alcun fastidio, afferrare le armi o i vari elementi disposti lungo il corpo da seduti ha comportato diversi disagi. Disagi come la difficoltà nel raggiungere la fondina (compenetrata nella sedia) o il torso del personaggio posto troppo vicino al volto del giocatore, rendendo di conseguenza difficile afferrare i vari caricatori posti negli appositi scomparti.
Se alcune caratteristiche, come il fovaeted rendering e il feedback aptico, di PlayStation VR2 sono state sfruttate, ammettiamo che avremmo gradito maggiormente l’implementazione del tracciamento della pupilla. In Into the Radius, per raccogliere gli oggetti dobbiamo “puntarli” per poterli poi impugnare. Il sistema di puntamento, però, non è sempre affidabile, spingendoci a muoverci sul posto per fare in modo di selezionare l’oggetto corretto. Con il tracciamento oculare siamo sicuri che sarebbe stato tutto più facile e immediato. Un’occasione persa e che, senza dubbio, avrebbe reso la nostra esperienza finale nettamente più accessibile.
LA POTENZA DI PLAYSTATION VR2
Into the Radius era un gioco bello da vedere già nella sua versione PC, ma è innegabile che la pulizia offerta dal visore di Sony contribuisca all’ottima resa grafica complessiva. Il titolo di CM Games, seppur pieno di aree vuote, offre panorami suggestivi e una grande cura per le armi e per gli oggetti. Lo stesso non si può dire per i nemici, che appaiono invece anonimi e per nulla accattivanti. Nel menù delle opzioni è possibile scegliere tra la modalità “qualità” e quella “prestazioni”, in modo da godere di ambienti più definiti o di un frame rate più solido. Noi abbiamo optato per la seconda opzione in seguito a una sparatoria avvenuta con qualche calo di frame, con conseguente motion sickness.
Buono anche il comparto audio, con musiche ben amalgamate con l’ambientazione, seppur non memorabili. Il doppiaggio in inglese è invece nella media, con interpretazioni che non fanno gridare al miracolo, ma che riescono comunque a immergere il giocatore all’interno della storia.
INTO THE RADIUS È MOLTO PIÙ DI QUELLO CHE SEMBRA
Finora abbiamo tenuto nascosta una “piccola” meccanica alla base di Into the Radius. Qualcosa in grado di evitare la ripetitività e pensata per protrarre a lungo la vostra presenza a Perchorsk. Abbiamo deciso di farlo perché il momento nel quale questa meccanica esplode è stato senza dubbio il nostro preferito dell’intera esperienza e non abbiamo assolutamente intenzione di rovinarvelo. Questo per dire che Into the Radius è un titolo pieno di segreti e di situazioni che vivrete sulla vostra pelle. Situazioni che renderanno l’esperienza unica e memorabile, permettendo così al gioco di CM Games di entrarvi lentamente nell’anima. È vero: i difetti ci sono e la macchinosità talvolta supera il divertimento, ma, esattamente come S.T.A.L.K.E.R., alla fine vale davvero la pena di soffrire per godere di un’opera come questa. Into the Radius è spietato, spoglio e complesso, ma è anche appagante, d’atmosfera e realistico. Insomma: Into the Radius è il survival in realtà virtuale che non sapevate di voler giocare.