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“Non battete ciglio da ora”
La frase introduttiva, prima di qualunque immagine del film, non solo ricalca parte della trama, ma meta-cinematograficamente invita lo spettatore a non fare un errore madornale: perdere anche solo un singolo fotogramma di questa pellicola sarebbe un crimine.
Kubo è un capolavoro, e se nel mondo esistesse ancora la cieca fiducia, ciò dovrebbe bastarvi per fiondarvi in sala se, come me, amate l’animazione o più largamente il cinema.
A causa dell’assenza di pubblicità per le strade o sul piccolo schermo e la vomitevole struttura distributiva operata dagli esercenti, diventa obbligo morale di tutti noi spettatori spargere il verbo, cercando di portare in sala più persone possibili, per il loro bene e per il bene della Laika, casa di produzione che già ci ha donato film straordinari in stop motion come “Coraline”, “Paranorman” e “Boxtrolls”.
La tecnica della stop motion messa in gioco questa volta è superba, aiutata da una egregia computer grafica, che mai prevarica l’evidente uso dei modellini.
Visivamente travolgente, a più riprese stampa a fuoco immagini nelle retine dei presenti in sala, obbligandoli a non scordarle per diverse ore. Già nei primi due minuti di film assistiamo ad una inquadratura che da sola comunica quanto elevata sia ormai l’abilità della Laika: la fisicità di una testa che batte contro un sasso in fondo al mare è impressionante, concreta e materiale. Una cosa mai vista prima.
La simbologia si spreca, sia quella presa in prestito dalla cultura orientale, nella quale la storia si innesta, sia quella creata dalla pellicola stessa, le cicatrici, le lanterne e la carta (questa anche nella naturale forma, prima di divenire effettivamente carta, osservazione personale..) sono solo pochi tra gli esempi che potrei fare.
Di nuovo, la Laika non rinuncia ad inserire anche in questo film toni cupi, immagini inquietanti che talvolta si vestono addirittura di un velo horror, capace di dare brividi sia all’adulto che al bambino, senza però infondere mai eccessiva paura. La cupezza di quelle scene, il fumo che avvolge i caratteri, le voci, il fascino femmineo e mortale messi in scena rendono quei momenti ancora più intriganti e ammaliano lo spettatore come farebbe una pericolosa e bellissima sirena, portandolo a volerne di più.
È proprio il film, però, a mettere da subito in chiaro le cose: “un tocco di commedia” serve sempre, anche se si vuole raccontare la storia più orribile, così non saranno rari i momenti in cui ci ritroveremo a sorridere alle battute, mai fuori luogo, e se anche queste risultassero poco divertenti, gli stessi personaggi in scena provvederanno a puntualizzarlo.
Il tema trattato, infine, non è del tutto originale, ma come spesso sentiamo dire: le storie sono otto, poi si mescolano.
L’importante non sempre è una trama mai vista prima, ma come questa viene raccontata, su quali elementi del tale argomento si sono voluti porre gli accenti. In tutto questo Kubo eccelle e con la giusta immersione può portare a timide lacrime il più robusto di noi già nel primo quarto d’ora, per poi tenerle sull’orlo degli occhi fino al finale, quando finalmente permetterà loro di rotolare giù.
Anche se le parole spese qui in merito al comparto tecnico sono infinitamente inferiori a quelle che sarebbero necessarie per descriverlo, consiglio chiunque di voi a fermarsi per la durata dei titoli di coda, all’interno dei quali la Laika ha lasciato due regali per tutti noi, dei quali “spoilererò” solo il primo: un assaggio di quello che sarebbe in grado di fare con l’animazione in tecnica tradizionale, consapevoli della promessa fatta qualche tempo fa.
La promessa fu, infatti, di intraprendere la lavorazione di un’intera pellicola in quella forma di animazione, sempre che gli introiti prima di allora siano sufficienti a sostenere uno sforzo del genere.
Per questo, e altri motivi serve che la gente vada in sala a supportare questo film, senza dimenticarsi che non si tratta di beneficenza, ma di regalarsi la visione sul grande schermo di un film d’animazione che non esito a definire PERFETTO.
(Prima che finisca nel dimenticatoio come il maestoso “Anomalisa”)
P.S. Il titolo originale verrebbe tradotto in “Kubo e le due corde”, lasciate perdere l’ennesima scelta senza senso che ha portato alla sua modifica in Italia.