Damien Chazelle è un giovane prodigio della regia.
Fidatevi di me quando dico che arriverà giorno nel quale il suo nome sarà ben più conosciuto, e quando giungerà non vorrete mica fare la stessa figura di quelli che oggi, di Tarantino, conoscono solo Pulp Fiction e Kill Bill, senza averli necessariamente visti, vero?
Ecco, per evitare situazioni scomode, accettate il mio consiglio: Chazelle ha diretto fino ad oggi giusto due pellicole di largo consumo, se ancora non le avete recuperate, vi invito a farlo. Non soltanto perché possiate godere di due opere straordinarie, ma anche perché in tal modo potrete evitare tra qualche anno delle spese non indifferenti per l’acquisto dei cofanetti ‘opera omnia‘ che saranno essenziali per colmare le vostre gravi lacune.
Il numero estremamente ridotto di pellicole all’attivo permette un immediato confronto.
‘Whiplash‘ (2014) e ‘La La Land‘ (2016) sono prodotti estremamente diversi, affini solo in alcune delle tematiche e nella qualità eccelsa della messa in scena. Mentre il primo si serviva della musica ponendola alla stregua di femme fatale, o dell’indomabile bestia da aggiogare per potersi sentire finalmente realizzati, il secondo ne fa un uso di gran lunga più funzionale, come si conviene ad un qualunque musical.
La passione di Chazelle per il cinema e la musica si percepisce chiaramente da entrambe le pellicole, sia per bocca dei personaggi da lui stesso delineati in sceneggiatura, che tramite l’attenzione clinica che la macchina da presa riserva ai dettagli materiali ed emozionali che accompagnano quelle arti. Si pensi ai montaggi frenetici delle strette riprese sui componenti degli strumenti musicali, o lo svanire del contesto intorno ai protagonisti intenti a suonare o cantare.
Gli esseri umani ai quali Chazelle dà corpo vivono per l’arte e lo fanno prima di tutto nella loro intimità. La relazione dei protagonisti con la musica o con la recitazione è qualcosa di interamente personale, lo sforzo creativo è una sfida con sé stessi, il risultato potrà solo in un secondo momento essere sottoposto al vaglio di un indolente pubblico. Ciò che importa è la tempesta di emozioni che solo un amore infinito per le proprie passioni può scatenare. La musica si ama e si odia, si accarezza il piatto della batteria e si sfonda a cazzotti la pelle dei tamburi, si suda con piacere e si sanguina con dolore. La musica jazz ed il teatro sono deboli creature in fin di vita, “l’artista” di Chazelle è colui che mai si tira indietro dal volersi avvicinare alla bestia, rischiando ad ogni passo che questa lo morda con violenza. I protagonisti di questi film si annichiliscono nelle loro piccole stanze, il giudizio di amici e vicini non ha rilevanza, perchè nulla interessa loro se non gli strumenti essenziali alla vita simbiotica con la loro passione.
‘Whiplash‘ rimane, nella mia modesta opinione, il film migliore del giovane regista proprio perchè senza bisogno di spiegoni trasmette cosa significhi vivere in funzione della musica. È un prodotto certamente meno accessibile del recente ‘La La Land’, è infatti tanto un film musicale, quanto un dramma e sporadicamente quasi un thriller. Credo sia, tra le due opere, quella che meglio trasmette il talento ed il sentimento del suo autore. A differenza del primo, questo ultimo prodotto giunge addirittura a spiegare a parole, in un dialogo al bar tra i due protagonisti, ciò che ‘Whiplash‘ riusciva a comunicare tramite sole immagini.
‘La La Land’ è il meraviglioso risultato di un’idea nata nel regista che, più o meno, riesco ad figurare così: Mattina, giornata di sole. Damenie Chazelle si alza da suo letto e, sorseggiando la brodaglia che gli americani chiamano caffè, si dirige verso una finestra e lì, risoluto, pensa:”Oggi ho proprio voglia di vincere ogni premio esistente sulla faccia della Terra.”. E così, nei giorni successivi, scrive e dirige questo suo ultimo film.
‘La La Land’ è il film perfetto per assolvere allo scopo ma, nonostante la palese accessibilità da parte di ogni tipo di pubblico, non scorda di essere un prodotto autoriale e che del suo creatore riflette il talento.
Dalla scena introduttiva, all’ultimo fotogramma, pare che il regista abbia ragionato in maniera sovra-umana. Provo a spiegarmi: le scelte di campo, i fluidi movimenti di macchina, il cambio di scenografie immediato mai estraniante, le modifiche a luci e fotografia in una stessa ripresa senza tagli, tutto il comparto tecnico nel suo complesso rendono ‘La La Land’ una storia ambientata in un piano tridimensionale. Lo schermo del cinema sembra non poter contenere la vastità dei luoghi visitati dalla camera. Questo musical si potrebbe proiettare su di uno schermo che avvolga lo spettatore per tutti i 360 gradi e sembrerebbe ancora più a suo agio rispetto che sul canonico rettangolo bianco.
Se il 90% della qualità di ‘La La Land’ si deve al comparto tecnico, il restante 10 deve suddividersi equamente tra sceneggiatura ed interpretazioni davvero azzeccate. La vicenda narrata non si distingue per eccellenza ed originalità, ma Chazelle sa bene che non serve strafare sul piano della trama, se a raccontarla è il migliore dei cantastorie. La storia cede il passo alla regia, permettendole di raccoglierla e ridisporla nella più elegante delle pose.
Ryan Gosling non spicca per espressività, ma non serve recriminare una carenza quando è palese che di vera carenza non si tratti. Il personaggio non si distingue per estroversione e nessuno si aspetterebbe da lui reazioni sopra le righe. L’interprete, quindi, si adegua. Lavora tramite lo sguardo nella prosa ed esegue agilmente le coreografie quando a dominare la scena è la musica.
La vera parte del leone è inevitabilmente di Emma Stone le cui doti attoriali e bellezza sono giganti in scena, sostenuti dalla solida spalla di Gosling. Non manca il quasi-cameo di J.K.Simmons, che dopo la fortunata esperienza di ‘Whiplash‘ torna a rendere i suoi omaggi al nuovo lavoro di Chazelle. Che poi, per quel che mi riguarda, potrei avere un lungo primo piano di Simmons che adopera un filo interdentale e per me il biglietto del cinema sarebbe pienamente ripagato.
Trovo curioso che per un film indubbiamente realizzato con parte del pensiero rivolto al volersi far accettare benevolmente dal grande pubblico, il regista abbia scelto proprio la forma del musical. Che Chazelle amasse il jazz, l’avevamo già intuito. Ma scegliere questa tipologia di pellicola, piuttosto che continuare con un secondo film in cui la musica fosse il contesto, invece che il principale strumento narrativo, rappresenta una scelta senza dubbio coraggiosa. Si pensi a questo: qual’è la frase che più spesso si sente immediatamente dopo alla proposta di vedere un musical?
“Guarda, il musical è un genere che proprio non mi piace.” Frase che io stesso ho detto e ripetuto e che ancora non riesco a sentire distante dal mio pensiero. Se poi, però, ripenso a musical che mi hanno lasciato soddisfatto, me ne vengono in mente una sequela impressionante: dai più classici come il ‘Rocky Horror‘ o ‘Jesus Christ Superstar‘, ai più recenti alla ‘La La Land’ o, primo nella classifica personale, ‘Sweeney Todd‘.
Insomma, i musical non piacciono a nessuno, ma credo che a chiunque potrebbe venirne in mente almeno uno che ancora porta nel cuore, o del quale potrebbe tranquillamente far risuonare i ritornelli nella testa. Forse è tempo di accorgersi della infondatezza di certi clichè. Poi, per carità: se proprio dà la nausea l’idea di doversi sorbire una canzone di tre minuti ogni volta che il protagonista in questione deve cambiare una lampadina, lo posso capire.
Approfitto dell’aver accennato al mio amato ‘Sweeney Todd‘ per sollevare un appunto sul film di Chazelle. E ribadisco che solo di un appunto si tratterà, poiché ad esso cercherò anche di dare una spiegazione, cosa che non potrei fare se lo ritenessi un vero difetto della pellicola. Mi riferisco al passaggio tra scene recitate in prosa e scene cantate: mentre nel musical con Johnny Depp nei panni del barbiere protagonista un discorso poteva trasformarsi in canzone in rima con una naturalezza spiazzante, in questo nuovo film sembra che prima di ogni canzone i caratteri in scena debbano posizionarsi, come su di un palco, perchè possa iniziare la canzone e l’annessa coreografia di ballo. La spiegazione che mi sono dato è presto detta, mentre l’appunto fatto rimane valido solo sul punto di apprezzamento di chi scrive. Le canzoni di ‘Sweeney Todd’ erano totalmente integrate nelle attività svolte per il prosieguo della trama, ciò che i personaggi facevano cantando era da considerarsi come realmente accaduto e perfettamente innestato nella sequenza delle loro azioni. Le canzoni di ‘La La Land’, invece, sono evidentemente più astratte. Il ballo e la canzone sono rappresentazione metaforica di un complesso di avvenimenti o sentimenti riassunti e mostrati in un momento musicato. In altre parole: mentre nel primo film il tempo degli avvenimenti in prosa è identico a quello dei musicati, nel secondo la canzone serve a concentrare in pochi minuti faccende che potrebbero essersi realizzate in ore, giorni o anni. Per questo lo stacco tra vita reale e canzone diventa necessario.
Di ‘La La Land’ si potrebbe discutere ancora per pagine e pagine, ma cerchiamo di giungere ad una qualche conclusione.
Che film è ‘La La Land’? È certamente un grandioso colossal dei musical contemporanei, un film adatto a tutti, nato per farsi amare da tutti, non senza la volontà di trasmettere qualcosa di nobile e profondo. La seconda opera di Chazelle resta, per la mia modestissima opinione, una parafrasi di quanto l’autore aveva già provato a infondere nel pubblico tramite il suo primo film. La qualità registica sembra notarsi di più nel secondo, ma non credo vi sia stata una maturazione nel regista, mentre penso più semplicemente che questa volta l’intenzione fosse sganciare una bomba impossibile da ignorare.
Non basta un film per escludere la visione dell’altro, ma se mi chiedessero di dire in una manciata di parole cosa rappresenta per me ‘La La Land’, risponderei così: “È uno straordinario e rimarchevole Bignami di ‘Whiplash‘”.
E ad avercene…