L’enigmatico L’uovo dell’angelo approda finalmente nelle sale italiane in versione restaurata: un viaggio ipnotico tra fede, rovina e simbolismo che rivela le origini della poetica di Oshii.
Negli anni Ottanta, quando l’animazione giapponese stava ancora cercando un proprio linguaggio autoriale, Mamoru Oshii realizzò uno dei film più enigmatici e affascinanti della sua carriera. Era il 1985 e il futuro regista di Ghost in the Shell firmava il suo primo progetto originale, Tenshi no tamago (Angel’s Egg e in italiano L’uovo dell’angelo), un OVA nato dalla collaborazione con Yoshitaka Amano, artista visionario legato a serie come Vampire Hunter D, Speed Racer e, più tardi, Final Fantasy. L’opera, all’epoca accolta con perplessità per la sua natura criptica, sembrò quasi compromettere il futuro di Oshii. In realtà, si sarebbe rivelata un tassello fondamentale della sua poetica, un laboratorio estetico dove già si intravedevano i temi che lo avrebbero consacrato a livello mondiale. Ora, grazie a Lucky Red, arriva per la prima volta al cinema in Italia in versione restaurata in 4K e doppiata in italiano e noi abbiamo avuto modo di vederla in anteprima così da potervene parlare.
Un’opera immortale sospesa tra materialismo e onirismo
A quarant’anni di distanza, L’uovo dell’angelo torna alla luce grazie a un restauro in 4K firmato GKIDS realizzata a partire dai materiali originali in 35mm, che ne esalta la complessità visiva senza tradire le ombre, la grana e la matericità dell’originale. In base alle informazioni nei titoli di coda, la restaurazione, presentata in anteprima al Festival di Cannes 2025 e successivamente mostrata altrove prima della riedizione cinematografica, è stata supervisionata da Oshii, con crediti attribuiti a IMAGICA (società di post-produzione fondata nel 1935), Sony Group Corporation e Dolby (sia Vision sia Atmos). Tutto ciò per dire che l’ampio team coinvolto e la supervisione/approvazione diretta di Oshii garantiscono che ciò che vediamo rispecchia i desideri e la visione del regista. Il risultato è un film che appare per ciò che è sempre stato: un’opera sospesa fra cinema sperimentale e meditazione metafisica, un racconto che vive di immagini, silenzi e simboli religiosi, più vicino al sogno che alla narrazione tradizionale.

Il film si regge su due soli personaggi: una ragazza, doppiata in italiano da Valentina Pallavicino, che protegge un uovo misterioso e un ragazzo, doppiato da Federico Zanandrea, che, guidato dal sogno di un uccello, incrocia la ragazza e cerca di conquistare la sua fiducia per poter osservare l’uovo. Inizialmente, la ragazza è diffidente verso qualsiasi altro essere vivente, ma col tempo i due sviluppano un legame di fiducia, condividendo ciò che cercano in questa vita. Non sappiamo dove siamo, su un altro pianeta, in un futuro post-apocalittico, o in un tempo primordiale, ma la dimensione sembra fuori dal mondo, invasa da architetture gotiche, macchine scheletriche e un sole meccanico che consuma la propria luce. L’atmosfera richiama il cinema di Resnais e Tarkovsky, passa per l’espressionismo tedesco e lambisce l’estetica allucinata di opere cult come Belladonna uscita una decina di anni prima.
Dialoghi quasi assenti e colonna sonora impattante in un mondo quasi disturbante
Il dialogo è quasi assente: i primi trenta minuti scorrono senza una parola (la durata complessiva è di circa 71 minuti). È l’animazione a parlare, e Amano riempie ogni inquadratura di dettagli minuziosi che rendono la città un organismo morto ma ancora pulsante. Le masse grigie di uomini inseguono pesci-ombra con arpioni a filo, come intrappolati in una caccia eterna e priva di significato; le vetrate delle chiese, uniche macchie di colore, sembrano frammenti di una fede perduta. In questo mondo svuotato, la ragazza vaga con il suo uovo, convinta che contenga un angelo mentre il ragazzo, che porta con sé un’arma dalla silhouette di una croce, vede invece in quell’oggetto una minaccia.

La loro relazione, più simbolica che umana, diventa la struttura portante di un film che analizza tensioni elementari: vita e distruzione, fede e disillusione, protezione e violenza. Non c’è una vera trama da seguire, ma un percorso emotivo che scorre attraverso le immagini: un viaggio in un purgatorio fatto di rovine e fantasmi, dove ogni passo sembra un confronto fra ciò che resta dell’umanità e ciò che l’ha sostituita.
La versione restaurata accentua e migliora tutto ciò e possiamo fare degli esempi. Le differenze di luce sono più nette, l’oscurità attraversata dai due protagonisti diventa un vuoto affascinante, inchiostrato e profondo, permettendo ai blu dell’acqua di brillare un po’ di più nella luce lunare artificiale. Al contrario, nella sequenza iniziale che introduce l’uomo e il mondo della storia, con un gigantesco globo pieno di statue in pose devote che si abbassa verso il suolo, il cielo alle sue spalle si accende di rossi, cremisi profondi o aranciati leggeri, come un tramonto o un sole offuscato.
La presenza (o assenza) del colore porta con sé significato ben preciso nell’allegoria: dalla ragazza pallida dai lunghi capelli bianchi e il vestito rosa-violaceo a strisce, al ragazzo dalla pelle abbronzata con capelli bianchi corti, vestito con un abito che fonde elementi militari, regali e religiosi. Anche la scena in cui i due osservano pescatori senza volto che tentano di arpionare pesci-ombra acquista particolare intensità grazie alla gamma più ampia di dettagli e alla nitidezza che definisce la forma dei grandi pesci che nuotano nel blu-verde della città abbandonata.

Quando non ci sono né immagini né colori da osservare con attenzione, ci pensa la colonna sonora di Yoshihiro Kanno, composta da 14 tracce, a rafforzare questa dimensione sospesa con un tappeto sonoro disturbante, quasi un incrocio fra rumore bianco e suite sinfonica. Qui, il suono è stato remixato per le sale moderne, così che l’inquietudine onnipresente del paesaggio rimbombi in orecchie e cuori come un lamento continuo.
Non è una richiesta di prestare attenzione: è un ordine, che avvolge il pubblico in un ambiente sonoro pensato per scuotere le anime dall’apatia, costringendole a protendersi in avanti e confrontarsi con l’allegoria. Questa assenza di punti di riferimento narrativi lascia spazio alle interpretazioni: L’uovo dell’angelo parla della perdita di fede, tema centrale per Oshii dopo un passaggio personale particolarmente complesso, ma parla anche di identità, memoria e del bisogno di credere in qualcosa, anche quando il mondo sembra negarlo.
La sequenza finale, resa ancor più nitida dal restauro, conserva una forza perturbante che sfida lo spettatore. L’atto violento che spezza l’equilibrio della storia è seguito da un’immagine che vibra ancora oggi: un mondo che si rivela diverso da ciò che abbiamo immaginato, forse un relitto, forse un arca, forse l’occhio di una divinità indifferente.

Conclusioni
Rivisto oggi grazie a questa splendida restaurazione in 4K che ne accentua incredibilmente la qualità estetica, L’uovo dell’angelo non è solo una curiosità per appassionati: è un diamante nella storia dell’animazione. Si percepiscono in esso le radici delle opere future di Oshii e Amano, così come l’eco di ciò che verrà: dalle visioni delle Wachowski ai paesaggi di Mamoru Hosoda, fino alla fascinazione contemporanea per l’animazione contemplativa. Miyazaki, all’epoca, lo definì “noioso”; ma con il senno di poi è evidente che il film fosse semplicemente troppo avanti per il suo tempo.
Oggi l’opera appare come un oggetto unico: un sogno in forma di film, un’opera muta ma densa, capace di evocare un senso di vuoto, meraviglia e malinconia che raramente si vede nell’animazione. È un viaggio nell’oscurità che non cerca risposte, ma lascia lo spettatore con la sensazione di aver sfiorato qualcosa di antico e insondabile. Ed è proprio questo, forse, il miracolo più grande del film: la sua capacità di continuare a interrogare, inquietare e affascinare, anche dopo quarant’anni.


