Minari – La Recensione

Minari ci ricorda che per le cose importanti non serve urlare, basta un filo di voce

Minari, il film che eleva l’importanza dei legami

Premio Oscar 2021 alla Migliore attrice non protagonista, Minari è il film coreano diretto da Lee Isaac Chung che racconta, attraverso la famiglia Lee, una storia autobiografica. Ambientata nell’Arkansas degli anni ’80, il titolo della pellicola prende il nome dalla pianta “minari“, una varietà di prezzemolo dal gusto pepato, nonché ingrediente tipico della cucina coreana. La particolarità di questa pianta è quella di crescere in terreni angusti, facendosi così metafora di resistenza alle difficoltà della vita.

Jacob, padre di famiglia, insieme alla moglie Monica e i due figli Anne e David si trasferisce dalla California per dare una svolta alla sua condizione sociale, decidendo di investire tutti i suoi risparmi in ortaggi coreani, da vendere ai suoi connazionali immigrati negli Stati Uniti. La sua scelta, tuttavia, non trova il pieno favore di Monica, che teme che tutto si esaurisca in nulla di fatto, rischiando di non poter avere i soldi necessari per le cure del piccolo David, malato di cuore. Intanto, dalla Corea arriva nonna Soonjia, pronta a dare aiuto alla famiglia; con i suoi modi buffi e sopra le righe, decisamente non conformi all’immagine di “nonna” a cui spesso siamo abituati, desterà la curiosità dell’irriverente figlioletto (non potrà non strapparvi una risata), che piano, piano, imparerà a legarsi a lei.

Il delicato racconto di Minari si sviluppa in maniera lenta e cadenzata; il ritmo è quasi solenne ma non risulta mai noioso. I temi affrontati sono incentrati, non solo sul valore della famiglia, ma anche sul perseguimento delle proprie ambizioni verso il raggiungimento del “sogno americano”, fortemente preponderante nella mentalità di quegli anni, che tanto attrae quanto inganna.

Ma il film non manca di soffermarsi sulle difficoltà di una famiglia coreana nell’integrarsi all’interno di una cittadina rurale, i cui abitanti sono molto più chiusi rispetto a quelli delle grandi metropoli a cui hanno sempre vissuto. Eppure, nonostante questo, la diversità è rappresentata in maniera sobria, e non viene dato spazio a dinamiche forzatamente melodrammatiche.

La pellicola ci insegna come sia possibile superare le storture dell’esistenza e raggiungere la felicità – non grazie a ideali più grandi noi – ma rimanendo fedeli all’amore verso la nostra famiglia, a prescindere da quanto possa essere disastrata, calpestata o in procinto della fine. La forza dei legami fa sì che ogni cosa possa, inaspettatamente, tornare al proprio posto, magari non quello che avevamo preventivato, ma non per questo meno appagante.

Minari, pur distaccandosi dal filone classico dei film coreani (siamo lontanissimi dal mood di Parasite o Oldboy, per dirne un paio), in cui la drammaticità è un fattore su cui spesso si incentra tutta la storyline, non manca di trasmettere forti emozioni. Certo, anche qui sono presenti momenti toccanti, ma sono stemperati al momento giusto da battute o scene divertenti, che contribuiscono a rendere la storia meno pesante e carica di climax emotivi. Oltretutto, lo fa in maniera delicata, regalandoci una buona dose di speranza.