Past Cure era stato presentato come un razzo pronto a raggiungere i luoghi più lontani e inesplorati dello spazio videoludico, in realtà si è rivelato poco più di una miccetta.
Past Cure è il nuovo titolo sviluppato dallo studio berlinese indipendente Phantom 8 che ha catturato l’interesse del pubblico fin dalla sua primissima apparizione su internet, circa due anni fa. Il nome dello studio non è casuale, poiché otto sono gli sviluppatori, di varia nazionalità, che fanno parte della software house. Generalmente quando si deve realizzare un’opera di un certo livello di complessità si comincia con la scelta e l’organizzazione delle idee; immagino, ad esempio, che le prime volte gli otto sviluppatori si siano riuniti in una stanza e su una lavagna abbiano inserito le seguenti parole: thriller, action, horror, stealth, survival, cinematografico e fantascientifico. Di solito si scelgono i punti più importanti e si portano avanti con lo sviluppo, ma loro al contrario hanno coraggiosamente deciso di seguirli tutti riempendo la brace di talmente tanta carne da non cuocerne bene nemmeno una fetta.
Trama
La curiosità personale riguardo a questo titolo è scaturita, in particolar modo, per la trama. Il gioco ci cala nei panni di Ian, un ex militare colpito da una strana e misteriosa amnesia che gli ha cancellato tre anni di vita. Questa grave amnesia ha lasciato l’uomo in una sorta di trappola psichica quasi al limite con la pazzia, ma anche dei poteri molto particolari. Ian, quindi, dovrà comporre i pezzi del suo passato cercando di muoversi tra i suoi incubi e la cruda realtà la cui antagonista è una corporazione senza scrupoli.
Impossibile non soffermarci sulla trama e sulla narrazione. Estremamente contorta e cinematografica, un misto tra Inception e John Wick con alcuni spunti presi direttamente da Alan Wake. Bella nelle primissime ore, noiosissima andando avanti. Ritmicamente monotona e priva di alcun climax anche sul finale. Un viaggio mentale e fisico che tratta vari argomenti e punti mai completamente esauditi. Riferimenti ad esperimenti della seconda guerra mondiale, a complotti e società segrete che svolgono esperimenti segreti sulla psiche umana, ma presi, introdotti e mai completamente esauditi. Per tutte le otto ore di giochi andremo avanti praticamente per inerzia con la speranza di arrivare il prima possibile ai titoli di coda. Il progetto degli sviluppatori era chiaro: inserire confusione nel videogiocatore facendolo arrovellare tra vari enigmi e teorie, ma in realtà fallisce miseramente portando solo a tanta frustrazione e zero patos. Complice di tutto questo è anche un doppiaggio audio e scritto a dir poco pessimo. Le voci sono totalmente piatte e prive di qualsiasi emozione e il doppiaggio in italiano oltre a non essere sempre preciso (a volte le frasi non sono nemmeno tradotte), spesso è anche non sincronizzato con il parlato facendo perdere elementi importanti per la comprensione della storia.
Gameplay
Insomma, se già a livello di narrazione e storia siamo su binari malconci, il resto è ancora peggio. Dal punto di vista del gameplay, Past Cure dovrebbe essere un action game in terza persona con elementi stealth, thriller-horror e avventura (ricordare il brain storming dell’introduzione?), purtroppo fallisce in ognuno di essi. Tutti gli elementi del gameplay si susseguono senza mordente in fasi separate con un andamento totalmente raffazzonato. All’inizio ci troviamo ad uccidere dei manichini poligonali totalmente inespressivi e che seguono un unico pattern unidirezionale, poi all’improvviso ci troviamo a risolvere enigmi di una facilità disarmante sfruttando i nostri poteri telecinetici e inaspettatamente ci troviamo a muoverci carponi per evitare delle pattuglie di soldati tanto inutili quanto idioti.
I movimenti di tutti i personaggi sono unidirezionali, ovvero seguiranno un’unica direzione cambiando solo il verso della camminata nel momento in cui raggiungono un punto di fermo del pattern. Questo punto non deve essere per forza fisico – un muro, un’auto o quant’altro – ma può benissimo accadere che un personaggio qualsiasi si fermi nel bel mezzo di una stanza per poi tornare indietro senza alcun motivo e ripetere l’azione in loop fino a quando non lo colpiremo o non ci scoprirà. Inutile dire quanto l’intelligenza artificiale sia inesistente: i manichini ci seguiranno in linea retta fino a quando non ci uccideranno con una mossa scriptata e sistematica, i nemici umani invece impazziranno totalmente. Infatti anche se saremo a due passi da loro, quest’ultimi non sempre ci colpiranno, ma delle volte scapperanno e ci punteranno la pistola senza sparare per alcuni secondi dopo i quali o ci spareranno con una mira tutta loro o ci verranno vicini, ci colpiranno con un pugno per poi scappare di nuovo senza alcuna ragione. Altre volte invece decideranno di sparare a casaccio e noi potremo colpirli indisturbati da dietro.
Lo shooting è impreciso, la copertura inefficace e anche queste meccaniche action alla lunga diventano tediose e ripetitive. In tutto questo non abbiamo ancora parlato dei poteri: rallentare il tempo e lanciare una proiezione astrale, con i movimenti e la telecamera simile ad un drone, che è in grado di muoversi liberamente nelle immediate vicinanze del protagonista. Il primo potere permette di effettuare sparatorie simili al bullet time e una facilitazione delle sessioni stealth, il secondo permette di disabilitare le telecamere di sorveglianza e ricercare oggetti o indizi utili. Entrambi i poteri non risultano mai estremamente utili se non quando è il gioco stesso a chiederci esplicitamente il loro uso. Lo diventano sul finale, quando nel corso di una boss fight il gioco mostra davvero i muscoli e tutto il potenziale inespresso nelle ore precedenti.
Comparto tecnico
Arriviamo al comparto tecnico ed è un bagno di sangue. A prima vista il gioco sembra molto pulito e privo di difetti, ma andando avanti si scoprono tutti i problemi. Tralasciamo il fatto che gli shader siano vecchi di almeno una generazione, stiamo comunque parlando di un titolo indie, non possiamo non considerare le texture slavate e i modelli poligonali dei manichini inespressivi e con movimenti sincopati e legnosi. Quest’ultimi sono dei semplici modelli poligonali predefiniti ritrovabili in qualsiasi programma di sviluppo che hanno ricevuto, come lavorazione, il colore bianco o grigio scuro. Anche gli ambienti della casa sono praticamente dei modelli predefiniti senza grosse modifiche di nota. Peccato perché in fondo sono anche belli da vedere, ma una telecamera ballerina e una occlusione ambientale inesistente non permettono di godere appieno anche le poche bellezze visive presenti. L’unico vero punto di forza di tutto il titolo è la colonna sonora realizzata dal gruppo belga Seiren: melodie elettroniche, un misto tra il rock e il soft dubstep.
Conclusione
In conclusione questo Past Cure fa acqua da tutte le parti. Inutile provare sempre a giustificare il poco budget e l’indipendenza dello studio di produzione, poiché rendendosi conto dei reali limiti basterebbe soffermarsi sui punti di forza ed è così che nascono titoli alla What Remains of Edith Finch. Trama noiosa e poco credibile, gameplay frustrante e macchino, livello di difficoltà infima e grafica datata fanno di questo titolo un’occasione sprecata. Le idee c’erano, le potenzialità anche, ma il voler strafare non sempre aiuta e questo gioco è il chiaro esempio del detto “chi troppo vuole nulla stringe”.