Il trailer e l’idea di base promettevano grandi cose. Anzi, enormi. E si sa, quando le aspettative sono molto, ma davvero molto alte, la delusione è sempre in agguato. E la paura che anche Ready Player One, ultima fatica di Steven Spielberg, ispirata all’omonimo romanzo di Ernest Cline – co-sceneggiatore della pellicola -, potesse essere una delusione c’era eccome. Eppure, allo stesso tempo, c’erano anche tutti gli elementi perchè potesse uscirne un gran film d’intrattenimento: la tematica riguardante la realtà virtuale, sempre attualissima. Un libro di riferimento pensato come omaggio alla cultura nerd e pop, in particolar modo a quella anni ’80, quindi anche e soprattutto a registi come lo stesso Spielberg o Robert Zemeckis. 0 avere come regista la persona che Cline ha preso come punto di riferimento per scrivere il suo romanzo e come compositore delle muscihe il grande Alan Silvestri. Oppure ancora l’avere l’autore del libro come co-sceneggiatore della pellicola.Insomma, c’erano tanti motivi per preoccuparsi, ma altrettanti per sperare in qualcosa di quantomeno decente. Ora che l’ho visto, posso dire con sicurezza che non ha rispettato le aspettative. perchè le ha oltrepassate di parecchio. Intendiamoci: non stiamo parlando di un cosiddetto instant masterpiece, ma di un film d’intrattenimento eccellente, con uno Spielberg in forma smagliante, quello che da bambini ci ha fatti emozionare con Jurassic Park.
Insomma, c’erano tanti motivi per preoccuparsi, ma altrettanti per sperare in qualcosa di quantomeno decente.
Innanzitutto cerchiamo di capire come mai un autore come Spielberg sia ancora così affermato a sett’antanni suonati. La risposta in realtà è semplice: perchè non ha mai smesso di sperimentare. Se in The Post ha ricalcato la regia di Pakula in Tutti gli Uomini del Presidente, omaggiandolo, qui ha avuto la brillante idea di scindere nettamente, dal punto di vista visivo, la realtà da Oasis, il mondo virtuale in cui è ambientato per buona parte il film. Tutte le scene in cui i personaggi vestono i panni dei loro avatar all’interno di Oasis, infatti, sono realizzate con la tecnica del performance capture, in digitale, scelta azzeccata per più di un motivo, non ultimo quello di accentuare la differenza tra le due realtà. Concettualmente non è un’idea troppo diversa da quello che venne fatto con il primo Tron negli anni’ 80, a ben pensarci, ma gli straordinari effetti visivi e l’incredibile fantasia di Spielberg nella messa in scena fanno sì che questa soluzione visiva sia ben più che efficace. Il merito è anche delle musiche del già citato Silvestri che, come il regista, si è divertito a citare e ri-citare sè stesso, nel tentativo – nben più che riuscito – di far tornare lo spettatore grandicello agli anni della sua infanzia, ed emozionare chi invece di anni neha parecchio in meno. La forza di Ready Player One è soprattutto questa: esattamente come il romanzo di Cline, inserisce quanti più richiami possibili a saghe e franchise vari, ai limiti del paraculo, in modo che chi li riconosce prova un’esaltazione pressochè totale, mentre chi non può o non riesce a coglierli rimane comunque sbalordito dalla potenza dell’estetica spielberghiana in tutto il suo splendore. La domanda che mi sono sentito rivolgere di più dopo aver visto il film è stata: “Ma le citazioni sono messe a caso o hanno un senso?”. La genialità del prodotto sta proprio in questo: tutte le citazioni sono contestualizzate perchè sono quasi esclusivamente visive e hanno senso perchè chi si logga su Oasis usa la skin del proprio personaggio preferito, che sia di un film un videogioco o altro, esattamente come viene fatto comunemente con la foto del profilo di Facebook. In poche parole: se Oasis esistesse, probabilmente verrebbe usato esattamente come descritto nel film.
Rispetto al romanzo di Cline, il film presenta molte differenze sostanziali, con addirittura una riscrittura totale di alcuni personaggi, come iRok, interpretato digitalmente da T.J. Miller – già amico cinico e svampito di Deadpool nel film omonimo – e decisamente più interessante della sua controparte letteraria. Io, che ho sempre preteso un minimo di attinenza all’opera originale quando si parla di adattamenti, mi trovo d’accordo con chi sostiuene che questo sia uno dei rarissimi casi in cui il film è decisamente superiore al libro. Ogni cambiamento è sensato, soprattutto quelli che concernono le varie prove nella gara per la ricerca dell’Easter Egg di Halliday, in quanto nel romanzo venivano sfruttati brand per cui evidentemente non potevano essere acquistati i diritti, ma personalmente ho accettato di buon grado le modifiche ad alcuni dettagli del backround di James Halliday stesso. Mark Rylance, diventato, da qualche anno ormai, quasi una costante nei film di Spielberg, è riuscito a rendere questo enigmatico personaggio ancora più affascinante di quanto già non fosse, aggiungendo un determinato elemento che, nell’ottica della trama in generale per com’è stato costruito, è estremamente funzionale e rafforza il messaggio di base. Messaggio che si riferisce alla pericolosità dell’estraniazione dalla realtà, anche da quella disastrosa per il genere umano che viene presentata all’interno della pellicola. Niente di particolarmente originale, ma è veicolato in maniera solida e chiara, senza che appesantisca il ritmo del film, il quale è quasi impeccabile, senza momenti di noia. Tornando ad Halliday, ancora di più che nell’opera originale riesce ad essere estremamente importante nonostante nella storia appaia come pura memoria e non come vero e proprio personaggio agente, anche se qui si potrebbe aprire un dibattito piuttosto lungo, ma non è questa la sede adatta. Apprezzabilissima anche la versione ben più saggia e realistica di Ogden Morrow, socio di Halliday interpretato da un ottimo Simon Pegg, in bilico tra dramma e commedia. A rendere ancora più interessanti i cambiamenti in questione è il fatto che ad accettarli in prima persona sia stato proprio Ernest Cline, che ha firmato la sceneggiatura insieme a Zak Penn, dimostrandosi così cosciente del fatto che non tutto ciò che funziona sulla carta stampata funziona automaticamente anche sul grande schermo.
I personaggi principali sono stati resi leggermente più superficiali nella caratterizzazione, ma risultano comunque perfettamente funzionanti, a partire dal protagonista, quel Wade interpretato da Tye Sheridan, che abbiamo visto nei panni del giovane Ciclope in X-Men: Apocalisse, che qui è decisamente meno abile nell’hackerare sistemi informatici, ma è più un eroe classico e relativamente ingenuo. Forse è fin troppo semplificato il rapporto tra lui e Art3mis, interpretata dalla splendida Olivia Cooke, ma è anche meno ingombrante e, in fondo, più adatto al film nel suo complesso. Dopotutto sappiamo perfettamente che Spielberg non sarebbbe Spielberg senza una dose massiccia di smancerie, quando si tratta dei suoi film più commerciali. Forse il personaggio più cambiato ma anche meglio reso è Aech, che nel film non ha mai una forma umana quando lo vediamo in Oasis, stratagemma geniale e assolutamente calzante.
la parziale delusione arriva invece da Nolan Sorrento, figura di spicco della multinazionale kattiva, la IOI (leggete Ai-O-Ai), interrpetato da Ben Mendehlson, il Krennic di Rogue One. Se da una parte Sorrento è molto più caratterizzato di quanto ci si potesse aspettare, dall’altra è fin troppo macchiettistico e fallibile, caratteristica che Mendehlson sembra conferire a tutti i villain che interpreta. E non mi sto lamentando di come sia stato modificato rispetto al romanzo: è il tipo di caratterizzazione a stonare leggermente con tutto il contesto, soprattutto se si pensa a quanto siano stereotipati ed efferati i membri della IOI. Per inciso, i kattivi in generale in questo film funzionano alla grande proprio perchè sono duri e puri, malvagi semplicemente perchè devono esserlo in funzione della trama, una minaccia chiara e semplice. In particolar modo funzionano molto bene le scenografie, sia quelle digitali che quelle reali, soprattutto quandio ci troviamo nella sede della IOI, che trasmette un senso di angoscia e sterile tristezza non indifferenti.
Se proprio si sente la necessità di trovare qualche difetto al film si può accusare l’eccessiva semplicità di alcuni risvolti di trama e alcuni elementi che non si incastrano proprio alla perfezione, per non parlare del fatto che molto spesso può infastidire sentire i personaggi spiegare alcuni riferimenti alla cultura pop, per non escludere chi si perderebbe i più importanti perchè a diguno della materia. Ma la regia è talmente potente, con i suoi mastodontici campi lunghi su scenografie digitali pressochè perfette e ambientazioni reali e costruite in maniera suggestiva, da indurre a perdonare a Ready Player One anche queste pecche. Si sta parlando di un film espressamente pensato per intrattenere il grandissimo pubblico, stuzzicandolo con citazioni evidentissime, ma che ha anche la sola pretesa di far ritornare bambini gli spettatori. indovinate un po’? Ci riesce alla grande. I riferimenti ad altri film o videogiochi sono così tanti che si potrebbe scrivere un articolo di 20.000 parole solo per elencarli tutti, infatti è d’obbligo ben più di una visione. Uno in particolare è un geniale atto d’amore nei confronti di un regista in particolare, noncè del Cinema, roba da far venire un infarto ai cinefili più incalliti. E’ infine molto chiaro che Spielberg si sia divertito ad autoriferirsi di continuo, giocando con quel cinema di puro intrattenimento che senza di lui, oggi, non esisterebbe. Stiamo assistendo, con questo film, al ritorno all’entertaining di alto luvello, dove al desiderio di guadagnare il più possibile al botteghino viene abbinato anche il sacrosanto desiderio di metterci il maggiore impegno possibile, per regalare allo spettatore un’esperienza cinematografica impressionante. E a tutti quelli che già denigrano la pellicola senza averla vista solo perchè “E’ Spielberg, sarà la solita baracconata idiota!”, vorrei ricordare che il Cinema è nato come strumento per intrattenere il pubblico con un prezzo contenuto, donandogli qualcosa di incredibile. Solo che prima ci si entusiasmava per l’arrivo del treno alla stazione di la Ciotat. oggi abbiamo il Gigante di Ferro digitalizzato che spicca un salto verso le poltroncine. La sostanza, invece… Beh, quella non cambia.
Fun fact bonus: effetti visivi talmente incredibili da potersi meritare la vittoria ai prossimi Oscar.
IL MIO PERSONALE VOTO PER READY PLAYER ONE E’: 9
Ready Player One sarà nelle sale italiane a partire dal 28 marzo.