Non c’è due senza tre, si dice. Dopo nemmeno un anno – nove mesi in realtà, periodo di tempo emblematico – infatti, ecco arrivare la conclusione della trilogia di Smetto Quando Voglio, diretta da Sidney Sibilia e iniziata nel 2014 con il primo capitolo. Smetto Quando Voglio: Ad Honorem è il seguito di Smetto Quando Voglio: Masterclass, che riapriva la vicenda di Pietro Zinni, interpretato da Edoardo Leo, e della sua cosiddetta Banda dei Ricercatori, diventando un secondo capitolo che tuttavia non andava a minare l’autonomia del film precedente, che può tuttora essere guardato come stand alone. Questa chiosa della trilogia è invece legata a doppio filo al secondo film, per cui è necessario averlo recuperato prima di recarsi in sala, se ci tenete a capire qualcosa della storia. Sibilia ha confezionato la degna conclusione della sua creatura, che inizialmente non aveva pensato come saga, ma che aveva saputo estendere sapientemente con il film successivo, infarcendolo di preziose citazioni: se Smetto Quando Voglio era dichiaratamente ispirato a Breaking Bad, Smetto Quando Voglio: Ad Honorem riprendeva le dinamiche di Suicide Squad, ma risultando addirittura migliore e coerente con sè stesso. Forse il pregio maggiore di questo ultimo capitolo è proprio quello di essere, tra i tre, il film con l’identità più propria, pur essendo stato girato in contempranea con il suo predecessore. Niente riferimenti narrativamente strutturali ad altre opere, una maturazione non indifferente di alcuni personaggi, Pietro Zinni e Murena sopra tutti, senza però rinunciare alle numerose citazioi, alcune davvero pregiate e ben contestualizzate. Tornano quindi tutti i personaggi che abbiamo imparato ad amare grazie alle interpretazioni irresistibili di Stefano Fresi, qui sempre in grande forma con il suo titanico (in tutti i sensi) Alberto, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Lorenzo Lavia e Marco Bonini.
Ognuno dei personaggi adempie alla sua funzione, divertendo quel tanto che basta, anche se questo terzo capitolo è forse il più debole dal punto di vista delle gag, non per mancanza di idee nella scrittura, ma perchè, al contrario, gli sceneggiatori si sono concentrati sulla risoluzione della situazione lasciata in sospeso alla fine della pellicola precedente, dando maggior spazio a dialoghi a tratti anche parecchio ispirati. La sceneggiatura, come per il secondo film, è sempre di Sidney Sibilia, Francesca Manieri e quel Luigi Di Capua co-creatore di The Pills insieme a Luca Vecchi e Matteo Corradini che già era comparso con i suoi compagni di ventura nel primo capitolo della trilogia, in un cameo a dir poco esilarante. Eppure, nonostante gli sceneggiatori siano gli stessi, il ritmo del film è differente rispetto a quello della pellicola precedente, con molta meno azione e più momenti in cui vengono architettati i piani con cui agire, con riferimenti palesi ad heist movie brillanti come, ad esempio, Ocean’s Eleven o un capolavoro immortale quale La Grande Fuga. Concludere una saga tanto particolare era una scommessa: se il primo film si era rivelato una commedia non convenzionale ed originale e il secondo una commedia action anche migliore, cosa ci si poteva aspettare da questo? Le aspettative, in casi simili, possono giocare brutti scherzi, non c’è dubbio. Ma Sibilia ha dimostrato per l’ennesima volta di avere le idee ben chiare e gioca con la struttura temporale della narrazione, richiamando a momenti specifici già visti negli altri due film, intrecciando gli avvenimenti e cementandoli, conferendogli forte identità e, soprattutto, collegando le tre pellicole in maniera impeccabile. Per ovviare alla sensazione di già visto è stato eseguito un lavoro di limatura certosino riguardante due personaggi in particolare: il Murena interpretato da un convinto – e convincente – Neri Marcorè, villain di Smetto Quando Voglio e il Walter Mercurio del qui barbutissimo e scarmigliato Luigi Lo Cascio, minaccia inquietante sul finale di Smetto Quando Voglio: Masterclass.
Se nel capostipite della trilogia il personaggio di Marcorè risultava come un cattivo ironico e tutto sommato divertente per il contrasto che si creava tra lui e la banda sgangherata, qui ne viene esplorato, anche se sommariamente, il lato umano e addirittura scopriamo quali siano le sue origini, che personalmente avrei voluto conoscere prima o poi, in effetti. La presenza del Murena non è per niente casuale, tra l’altro, e anzi e direttamente collegata al personaggio di Lo Cascio, di cui finalmente vengono spiegate le ragioni. Walter Mercurio è un villain mosso da motivazioni non originalissime, forse addirittura banalotte, ma non banalizzate, il che è fondamentale: non è pazzo, non è nemmeno equilibratissimo, ma non è difficile empatizzare con lui. Aggiungiamo che è protagonista di una delle citazioni più significative del film, spettacolare a livello visivo, e potrete capire come mai ne sia rimasto conquistato. Riuscire ad organizzare un gruppo di personaggi tanto vasti, dando un senso al cattivo e inserendo un altro villain, che è però diventato più un personaggio border line, non è un’impresa facile, ma Sibilia è riuscito a gestirli tutti, senza lasciare indietro nessuno. Complice è anche una regia briosa, seppur alleggerita di momenti action in senso puro, con le solite panoramiche dall’alto, l’utilizzo insistente di campi lunghi volti ad abbracciare la folla di personaggi in scena, coadiuvata da un montaggio rapido e spesso serrato e dalla classica fotografia della trilogia, con quei colori acidi e giocata sui toni del verde e del giallo,a riprodurre idealmente l’effetto psichedelico delle droghe inizialmente smerciate dalla Banda.
La presenza del Murena non è per niente casuale, tra l’altro, e anzi e direttamente collegata al personaggio di Lo Cascio, di cui finalmente vengono spiegate le ragioni
Nonostante nel complesso la pellicola funzioni e anche molto bene, non è esente da diversi problemi, uno su tutti il ritmo, che tende a essere un po’ troppo lento nella prima mezz’ora, in cui addirittura si attende davvero troppo per rivedere i personaggi riuniti. Forse Sibilia ha speso più tempo del dovuto a raccontare le origini del Murena e lo ha fatto utilizzando l’espediente abusato del flashback che si amalgama con lo spiegone, il che costituisce una battuta di arresto improvvisa della narrazione dei fatti nel presente. Imperdonabile l’errore di spendere una decina di minuti per raccontare qualcosa che si sarebbe potuto distribuire narrativamente lungo il corso del film, anche per permettere allo spettatore di godersi le rivelazioni del caso. In generale Smetto Quando Voglio: Ad Honorem è un film che riesce a divertire, è in grado di emozionare, ma risulta allo stesso tempo fin troppo diverso rispetto agli altri due, come se la maggior parte delle idee geniali fossero già spese e a questo ultimo capitolo rimanessero i residui. Ma, paradossalmente, forse è esattamente questo che Sibilia aveva in mente: accompagnare lo spettatore in fondo al tunnel senza troppi intoppi, raccontando quel poco che mancava perchè il quadro fosse completo. Lo dimostra anche la durata del film, alleggerita rispetto a quello precedente, il che non è affatto male, anzi.
Per concludere, è il caso di analizzare, permettetemi il gioco di parole, la conclusione. Quella effettiva, che mette la parola fine alle avventure di Zinni e della Banda. Ammetto che mi sarei aspettato l’eroismo che si percepiva nel finale di Smetto Quando Voglio: Masterclass e in effetti ci sarebbe anche, ma il tutto è messo in scena in maniera più blanda, meno spettacolarizzata di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, anche se non è che questo sia poi così disturbante: semplicemente Sibilia aveva in mente qualcosa di diverso. Una parte finale che riportasse i personaggi alle loro origini, dove tutto aveva avuto inizio, sia spiritualmente che fisicamente, tirando fuori dal cilindro – come mostrato anche nel trailer – il professore antipatico e macchiettistico che vessava Pietro all’inizio del primo film, antieroe morale dell’intera trilogia. Lo dico scherzando, ma nemmeno troppo. Torna quindi la sferzante critica alla nostra società, ai giochi di potere, al sistema che non funziona e che taglia i fondi laddove sarebbero necessari, sia dal punto si vista della cultura, che da quello della sicurezza. Stoccate, queste, che trovavano meno spazio nel secondo capitolo, ma che qui tornano a ruggire, facendosi avvertire chiaramente. Il finale vero e proprio, senza entrare nei dettagli, è perfetto e anche vagamente inaspettato, con quel tocco di amarazza à la Verdone, quello dei primissimi film, che non guasta.
E’ quello che mi sarebbe piaciuto vedere nell’ultimo capitolo di una trilogia: personaggi che maturano, altri che vengono approfonditi, ma specialmente avrei voluto che si avvertisse quel senso di unità profondo tra i membri della Banda e che Sibilia è riuscito a regalarmi. Posso quindi ritenermi soddisfatto, se si considera che il progetto è diventato una trilogia solo in un secondo momento, anzi credo che il regista abbia fatto i miracoli nel rendere la storia tanto avvincente e appassionante a partire da quella che era una commedia pensata per non proseguire. Per quanto mi riguarda è leggermente meno coinvolgente rispetto al Masterclass, che rimane il più completo dei tre, cosa strana visto che solitamente il capitolo centrale di una trilogia tende ad essere il più debole ed insipido, ma è sicuramente più che apprezzabile. Smetto Quando Voglio: Ad Honorem è solo l’ultimo gioiellino del cinema italiano partorito di recente: sembra che finalmente qualcosa si stia muovendo per davvero e i progetti sperimentali sono sempre di più basti pensare a Ammore e malavita dei Manetti bros., oppure a Brutti e Cattivi, o ancora a La Ragazza nella Nebbia. Tutti film nostrani che, seppur non sempre incisivi, hanno almeno l’ardire di tentare di proporre qualcosa di nuovo. E mi piace pensare che Sibilia abbia gettato un seme importante tre anni fa, quando ancora la situazione non era particolarmente felice e che questo ultimo capitolo sia il frutto risultante. un frutto succoso, maturo e divertente. Che di ridere c’è sempre bisogno, soprattutto sotto natale, quando la maggior parte dei film fanno piangere. Soprattutto se sono rimontaggi di vecchi film utili quanto una pentola bucata. A buon intenditor…
IL MIO VOTO A SMETTO QUANDO VOGLIO AD HONOREM: 7 E 1/2