Ubisoft e Massive Entertainment ci riprovano con The Division 2.
Dopo una buona partenza con The Division, la software house svedese e il publisher francese tornano a collaborare per un seguito che promette di essere più grande, grosso e migliore del predecessore. Ci saranno riusciti?
Scopritelo nella nostra recensione.
Versione Testata: PlayStation 4 Pro
Bentornati nella divisione.
Sono passati 7 mesi dall’attacco bioterroristico avvenuto negli Stati Uniti nel giorno del black friday. Dopo aver messo in ginocchio l’intera nazione, sembra esserci un faro di speranza per l’umanità. E questa luce è la Divisione, il cui compito è quello di scendere in campo quando la situazione è più che disperata.
Se New York era l’inizio, in questo secondo capitolo il flash forward dei 7 mesi ci mette di fronte ad uno scenario dove la popolazione tenta di rialzarsi in piedi. I centri urbani diventano insediamenti dove far risorgere la speranza di una vita normale, sebbene nelle strade regni ancora il caos più totale, fra bande di folli che seminano il terrore e focolai ancora attivi.
E la nostra nuova avventura riparte nel cuore dell’America. Da Washington D.C., dove la Divisione avrà il compito di riprendersi la capitale e riattivare la rete Shade, l’infrastruttura governativa che consente proprio alla Divisione di operare a pieno regime. Da qua riparte The Divison 2.
Reduce da un buon riscontro di critica e pubblico, il primo capitolo di The Division era caduto dove molti altri avevano “fallito” prima di lui. Buon gameplay, buone atmosfere e dinamiche online. Il difetto più grande lo si notava però portata a termine la campagna principale: un end game limitante, ripetitivo e povero di contenuti. The Division 2 tenta di cambiare le cose. Consapevole dei suoi errori, cercando di migliorarsi. E senza rovinarvi troppo la sorpresa, ci riesce alla grande. Anche se con qualche ma.
Forse in questo processo di rinnovamento qualcosa viene lasciato indietro. Fra tutti la storia che lega gli eventi del nuovo gioco che risuona un po’ in sordina. Il processo di liberazione di Washington, la lotta alle varie fazioni che la occupano, così come tutti i nemici che proveranno in tutti i modi a fermarci, non riescono mai a lasciare il segno, né tanto meno a rappresentare in maniera tangibile quelle atmosfere da intreccio fantapolitico rappresentato nelle opere di Tom Clancy.
Questo si riflette su gran parte del gioco, in particolar modo sulle missioni principali.
Ci troveremo a liberare ostaggi, recuperare tecnologie o ad impedire alle forze ribelli di compiere altri attentati terroristici. E in tutto questo si sente la mancanza di qualche sforzo creativo. Di un qualcosa che stimoli veramente ad andare avanti nella storia o qualche colpo di scena che ribalti la situazione. Invece si prosegue senza sosta, martellando i nemici per poi passare alla missione successiva, magari assistendo ad un breve filmato per poi rientrare subito in azione.
C’è qualche elemento di contorno, qualche collezionabile che espande la lore del gioco e ce ne racconta qualche retroscena. Ma saranno solamente dettagli di una storia che nemmeno questa volta riesce a lasciare realmente il segno. Anche il fatto che il nostro personaggio sia un protagonista “muto” non ci rende mai partecipi della vicenda al 100%, una macchietta in una storia quasi estranea a noi.
Due è meglio
Fortunatamente però a funzionare tremendamente bene è la formula riproposta da Massive Entertainment, che riprende tutti gli elementi del primo gioco e li espande.
Il gameplay resta di base quello che conosciamo, con un gunplay solido, una visuale in terza persona che permette una gestione chiara e precisa degli scontri e tutta una serie di gadget tecnologici da sfruttare in battaglia.
Sarà proprio l’equipaggiamento del nostro soldato ad essere al centro delle meccaniche di gioco. Come in ogni “loot shooter” che si rispetti, l’equipaggiamento è l’elemento chiave per la nostra crescita. Nuovi equip significano nuove possibilità. Da armi più potenti in grado di infliggere danni maggiori a parti di “armatura” per proteggere il nostro soldato, con abilità passive. Il tutto però non si riduce a questo, in quanto fra i componenti ottenibili possiamo trovare anche le preziosissime mod, in grado di installare su armi e protezioni tutta una serie di miglioramenti che influiranno sulle nostre performance.
Non sempre però l’utilizzo dell’ultimo oggetto trovato significa matematicamente che si tratti del migliore. Entrano in gioco quindi diversi fattori. Per le armi oltre al danno sarà sempre utile tenere in considerazione altri valori come il DPS (danni per secondo) e la dimensione del caricatore, mentre per gli equip quanto variano voci come la Corazza, la Vitalità e Potenza Abilità, che permettono di sviluppare il proprio personaggio sfruttandone più o meno le caratteristiche in base a quello che decideremo di utilizzare.
Oltre a 3 tipologie di armi, due principali e una secondaria, ad un kit per riparare la corazza e qualche granata a mano di supporto, il nostro agente potrà portarsi appresso anche qualche gadget tecnologico altamente letale.
Ed è qua che rispetto al prequel c’è molta più scelta e personalizzazione. Potremo decidere di essere delle inarrestabili macchine da guerra,utilizzando torrette portatili e droni da combattimento, od optando per soluzioni più equilibrate che prevedono la cura o la difesa. Ogni classe delle Abilità prevede poi numerose varianti. Ad esempio, le già citate torrette potranno si sparare a raffica sui nemici, ma anche essere usate come lanciafiamme o mortai, in base al modelli che decideremo di equipaggiare. Inoltre non manca una nota strategica, che viene data dal gioco in gruppo.
The Division 2, così come il predecessore, permette di svolgere qualsiasi attività in compagnia di amici o altri giocatori. Proprio in quest’ottica, avere un team ben preparato ad ogni situazione aiuta notevolmente, e il gioco di squadra è la chiave per uscirne vincitori da ogni situazione.
Sempre parlando degli equipaggiamenti, la loro rarità cambierà in base ai progressi fatti nel gioco. Rispetto però ad altri “loot shooter” le ricompense sono molto più generose. Questo non sminuisce assolutamente la valenza del gioco. Anzi. La possibilità di trovare buoni oggetti di Livello Elite o Alta Gamma incentiva i giocatori ad affrontare le varie attività proposte, senza che questo diventi un ostacolo. Avremo poi l’opportunità di smantellare o vendere gli oggetti in esubero, e i materiali di scarto investirli nella realizzazione di progetti, che ci verranno forniti man mano libereremo Washington o acquistabili nei vari shop presenti. Un’ulteriore spinta verso la personalizzazione, soprattutto nelle fasi finali dell’avventura.
The Division 2 da il meglio di sé una volta raggiunto l’end game.
Completate tutte le missioni della storia e raggiunto il primo soft cap dettato dal livello 30, il gioco si rivoluziona introducendo nuovi elementi, così come 3 nuove specializzazioni (con tanto di skill tree da sbloccare) che diversificano ulteriormente il gameplay.
Fa poi il suo ingresso in scena nuova fazione, che cambierà nuovamente gli equilibri di Washington spingendo i giocatori ad una continua opera di liberazione, alla ricerca di bottini sempre più preziosi.
Raggiunto il livello 30 la valutazione del proprio personaggio cambierà. Non saremo più identificati in base al livello raggiunto ma dal grado della nostro set. Infatti ogni singolo pezzo della nostra “build” avrà un valore, che sommato agli altri determinerà quello del soldato. Aumentando questo punteggio si renderanno accessibili nuove sfide prima precluse. Questo porta ad un flusso di gioco che parte dalle prime ore e che ci accompagna man mano fino all’end game.
Una scelta di questo genere può sembrare limitante, specie nell’ottica di un open world. L’inserimento di paletti però permette di avere una gestione più inquadrata dell’avventura, con contenuti che si sbloccheranno man mano ci avventureremo nel gioco, spingendo i giocatori a provare tutto quello che The Division 2 ha da offrire.
Ad esempio torna la Zona Nera, l’area che nel primo gioco offriva una soluzione ibrida a metà strada fra il PVP e il PVE. Nella Zona Nera è possibile ottenere equipaggiamenti più rari sebbene necessiti di un processo di estrazione lento e non così semplice, che ci metterà a rischio di attacchi da parte dei nemici. In questo seguito la Zona Nera si moltiplica, suddividendosi in 3 macro aree all’interno dell’area di Washington. Per quanto si noti la volontà di espandere questa esperienza, legandola a doppio filo con gli eventi del gioco e arricchendola con una sottotrama, la scelta sembra non aver pagato del tutto.
Di base qua troviamo un livello di crescita che viaggia parallelo a quello della storia, obbligando così i giocatori a fare un doppio lavoro. La scelta poi di suddividere la ZN sembra aver frammentato l’utenza, rendendo le varie aree abbastanza deserte e poco popolate, in controtendenza alla filosofia di questa zona.
Novità invece per questo nuovo capitolo di The Division è sicuramente la Modalità Conflitto. Questa modalità è il classico deathmatch a squadre ad obiettivi, dove due team da 4 giocatori se le suonano di santa ragione. Anche in questo caso la modalità gode di un suo livello di crescita, mentre rispetto alla Zona Nera, il livello di attività sembra decisamente più alto. Inoltre a livello di gameplay le dinamiche del PVP classiche del gioco si sposano naturalmente con questa nuova veste, evoluzione del concetto di multiplayer della Zona Nera.
Una cosa che accomuna però le tre modalità la troviamo nello sblocco di alcune casse premio ottenibili con la salita di livello. Nel più classico dei gacha games, ogni cassa (dal valore variabile) conterrà 2 o più equipaggiamenti, da utilizzare indipendentemente dalla modalità scelta.
Divisi fra i contenuti
Come avete visto The Division 2 sembra non farsi mancare nulla, e nonostante non ci si muova troppo nell’originalità, tutto funziona egregiamente. C’è da dire che la natura MMO del titolo Ubisoft spinge proprio in questa direzione. E il gioco con gli amici diventa quasi una prerogativa intrinseca di The Division 2. Il gioco è godibile anche in solitaria sia chiaro, e in questo caso il matchmaking riesce a sopperire all’assenza di compagni. Ovviamente però, giocando con sconosciuti o peggio ancora in solitaria, si perde molto dello spirito cooperativo, rischiando di annoiarsi prima di giungere all’agognato LV 30. Operazione che, provando tutto quello che il gioco offre, si aggira sulle 40 ore di gioco.
Detto questo The Division 2 propone diverse attività in tutta l’area di gioco. Si va dalle più classiche, come l’assalto di roccaforti o la scoperta dei rifugi, i social hub sparsi per Washington. Ci sono poi missioni secondarie, alcune costruite in maniera più efficaci di quelle della storia principale, o una serie di eventi più o meno ripetuti che serviranno per ottenere preziosi punti esperienza e, ovviamente, nuovi bottini. Gli Insediamenti liberati offrono poi tutta una serie di servizi, così come delle sfide da portare a termine per potenziarli, ottenendo in cambio succose ricompense.
La scelta migliore fatta da Ubisoft però è quella di rendere tutti i contenuti post lancio completamente gratuiti a tutti i giocatori. Questo è stato forse uno dei limiti più grossi del prequel, che ha visto calare la sua utenza proprio dopo i primi mesi di vita, con l’entrata in scena dei primi DLC.
Così facendo l’avventura sarà aggiornata per il primo anno di vita, e si spera, altamente popolata. Resta, per chi è interessato, un season pass che permette di accedere in maniera anticipata ai nuovi contenuti, così come ricevere esperienza extra o contenuti esclusivi. Ma è un surplus completamente accessorio, che consigliamo giusto ai fan più incalliti.
New York è meglio di Washington
Sul piano tecnico il gioco si comporta bene. L’esperienza generale è più che buona, pulita, e per lo più priva dei classici bug che si trovano in questo genere di open world.
Lo stacco grafico rispetto al precedente capitolo c’è, e si nota per lo più nel sistema di illuminazione o nella resa delle ambientazioni, più complesse e con un maggior livello di dettaglio. C’è da dire però che che a livello di appeal la New York del primo capitolo batte in modo schiacciante la Washington del seguito. Per quanto fedelmente ricreata, specie per noi europei, la capitale americana risulta più anonima rispetto alla grande mela. E salvo qualche monumento facilmente riconoscibile, come la Casa Bianca o l’obelisco dedicato a Washington, il resto appare meno evocativo. Anche il fattore temporale sembra in qualche modo influire. Il periodo “natalizio” della prima avventura, con le sue strade invase dalla neve in qualche modo riempiva l’occhio, rispetto ad una città nel cuore dell’estate nella quale la vegetazione selvaggia sta avendo il sopravvento.
Per quanto riguarda invece la resa generale del gioco è più che buona, con l’unica pecca nella resa dei modelli 3D dei vari protagonisti, tutti abbastanza sottotono e poco influenti sul piano del carisma.
Complessivamente l’esperienza è piuttosto solida. Tutto scorre abbastanza fluido e senza troppi intoppi, mettendo però sotto sforzo la console in più di un occasione. Talvolta si nota una certa lentezza nel caricare le texture in game, oppure, forse nelle aree più complesse da gestire, le ventole iniziano a girare alla massima potenza, rallentando tutto il sistema di gioco (come ad esempio lo sblocco dei trofei o il semplice accedere per qualche motivo alla dashboard).
Come nel primo capitolo, tutta l’avventura è doppiata in un ottimo italiano. Così come sono ottime le voci usate per dare vita agli eventi del gioco. Più piatto sul lato canoro, sebbene sia possibile ascoltare, spesso in lontananza o presso qualche radio diversi brani su licenza. Per il resto si tratta di musiche d’accompagnamento, che faranno da sottofondo alle innumerevoli sparatorie. Il tutto con una vena elettronica, con un synth che ricorda molto da vicino le sonorità di Stranger Things.