The French Dispatch, il cinema di Wes Anderson che ci piace
The French Dispatch è l’ultima fatica del regista texano Wes Anderson. Noto per essere amante dei colori accesi e le simmetrie, con questo nuovo film ci sorprende, rompendo lo schema e mostrandoci la vera essenza della sua arte, spogliata del fascino hipster che ha da sempre caratterizzato e conquistato il suo pubblico. Motivo per cui, forse, a molti questa nuova scelta stilistica ha un po’ deluso, passando, ahimè, in sordina rispetto agli altri suoi lavori.
La trama
Alla morte del direttore della testata giornalistica Dispatch, il personale pubblica un memoriale che riporta le migliori storie realizzate dal giornale nel corso degli anni. I fatti si svolgono nella bizzarra cittadina francese immaginaria Ennui-sur-Blasé.
Personalmente, credo che The French Dispatch sia uno dei suoi lungometraggi più alti, che incarna in assoluto l’amore di Anderson per il cinema in tutte le sue forme. Lo si vede dal sapiente uso del bianco e nero, dai riferimenti alla Nouvelle Vague francese di Godard e Truffaut, dal ricorso all’animazione, fino all’omaggio all’estetica di Lynch.
Ciò lo si ritrova anche nei tanti guizzi stilistici, come le inquadrature fisse stile presepe vivente, l’uso frequente di didascalie – tipiche del cinema degli anni ’30 – e il ricorso frequente al multilinguismo.
Indubbiamente, si tratta di un film “difficile” per chi ormai non è più – o non lo è mai stato – abituato ai tempi lenti e cadenzati, alle avanguardie e ai manifesti, un tempo comunissimi per chi faceva questo mestiere. Eppure, nonostante il marcato citazionismo al cinema che fu, The French Dispatch conserva in sé tutti i mondi visionari che Wes Anderson da sempre ama raccontare, a cavallo tra realtà e fantasia, in grado di emozionare nonostante i toni dolceamari.
Il film è composto da tre antologie principali, con protagonisti personaggi colmi di difetti e insicurezze, ma non per questo meno affascinanti: un artista tormentato, imprigionato nelle sue ossessioni; un gruppo di giovani rivoluzionari e il loro incontro/scontro con la vecchia generazione, che rende omaggio al crocevia edipico de Il Laureato; un cuoco in grado di risolvere un caso di rapimento. Tra le tre, quest’ultima è forse la più debole, ma l’inseguimento finale è in grado di riscattare l’intero episodio.
Il cast di The French Dispatch è corale – Bill Murray, Owen Wilson, Thimotée Chalamet, Frances McDormand, Lea Seydoux, Benicio Del Toro per dirne qualcuno – ma nessuno dei personaggi tende a prevaricare sull’altro, dando prova di un perfetto equilibrio; inoltre, molti appaiono per brevissimi momenti, dimostrando che in realtà i veri protagonisti sono le storie stesse.
The French Dispatch rimarrà forse un eterno incompreso nel panorama cinematografico, ma forse è anche uno di quei pochi film della nostra epoca in grado di parlare al passato senza risultare una scopiazzatura dei capolavori del grande cinema. Ha un’anima propria che invita gli spettatori occasionali e i meno esperti ad ampliare il proprio sguardo a qualcosa di più dei semplici blockbusters, e soprattutto a incuriosirsi di un’arte destinata a non esaurirsi mai.