[ads]Paolo Sorrentino usa la macchina da presa come se fosse un’estensione della sua mano.
Questo non significa che il suo lavoro debba piacere incondizionatamente a tutti.
La battuta e lo scherzo che possono generarsi dalle lunghe e quasi randomiche riprese proposte dal regista campano risulteranno da quest’anno nient’altro che trovate banali ed osservazioni superflue rubate da sketch di ‘Crozziana‘ memoria. Tuttavia la battuta sgorga sempre da una base di verità.
È per questo motivo che, personalmente, non so mai come pormi di fronte alle nuove opere di Sorrentino. Non posso esimermi dal riconoscergli una tecnica ed una affinità col mezzo difficilmente eguagliabile nel nostro paese, ma dall’altra parte il rischio che un suo prodotto finisca alla lunga per stuccarmi non è basso.
Si prenda il suo film più acclamato: “La Grande Bellezza”, non starò qui a dilungarmi in merito a quella pellicola. Mi basterà riassumere le sensazioni che provai alla prima e alla seconda visione.
Prima: un viaggio dentro un tempio nascosto e meraviglioso, pieno di segreti da scoprire e dettagli da notare, con la scoperta, una volta fuori, che tutto era costruito all’interno di un moderno container di freddo acciaio.
Seconda: una bistecca succulenta. La foto, però, di una bistecca succulenta. Fame.
L’idea di cominciare a seguire le uscite settimanali di una serie interamente ideata, sceneggiata e diretta dal solo Sorrentino mi ha turbato e non poco. Ma sicuramente, e soprattutto, mi ha incuriosito. La curiosità ha vinto sulla titubazione e ora posso dirmi pienamente soddisfatto della visione di uno dei prodotti a puntate italiani (anche) migliori sino ad oggi.
The Young Pope è sicuramente l’opera che più apprezzo insieme a “Il Divo” nel panorama professionale di Paolo Sorrentino, perchè qui non rinuncia ad ostentare il suo talento, ma lo fa con uno scopo. Con i ritmi giusti ed una velata ironia che traspare dai soli accostamenti di immagini, contesti e musiche.
Jude Law e Diane Keaton sono perfetti per i ruoli che ricoprono, mentre Silvio Orlando si rivela un frammento imprescindibile per la riuscita della serie.
The Young Pope è una storia di una collettività e di uno Stato ma anche di un singolo e dei singoli che lo circondano. È una storia per chi crede e per chi non lo fa.
È un romanzo politico, drammatico, talvolta umoristico ed assurdo raccontato per immagini potenti, riprese che spesso si collocano sul perimetro del difficile insieme delle opere contemplative.
È una serie complessa e semplicissima, intima e pubblica, profonda e grettamente superficiale. È una continua contraddizione come una continua contraddizione sono i suoi personaggi.
La visione è quindi consigliata a chiunque abbia voglia di immergersi in un’esperienza sicuramente diversa da quelle proposte in genere. La serie non si impone di insegnare nulla a nessuno, non rema verso la Fede ma tantomeno la contrasta. Sorrentino voleva raccontare una storia di fantasia che non fosse per nulla poco plausibile, ma che anzi ponesse semplicemente qualche punto di partenza per la trama che sarebbe interessante da osservare nella vita di ogni giorno. A differenza della vita di ogni giorno, però, qui ci viene data la possibilità di seguire un Papa in ogni suo spostamento, privato o ufficiale che sia.
Da qui in poi la recensione conterrà qualche osservazione SPOILER, vi invito quindi a non proseguire con la lettura, a meno che non abbiate terminato la visione di tutte e dieci le puntate.
Punto forte della trama è indubbiamente il parallelismo immediato che viene a formarsi tra la mancanza di rapporto diretto che inevitabilmente si ha con il proprio Dio, e la stessa carenza che attanaglia l’orfano mai adottato.
Lenny, il Papa, non desidera altro e non ha mai desiderato altro che incontrare i suoi genitori. L’ossessione per la città di Venezia dove potrebbero risiedere, si mischia ad un senso di terrore che si riversa in incubi pregni di simbologie e dolore. Lenny ha visto, nell’infanzia, i propri genitori. Qualcosa di loro lo ricorda, mentre nulla di materiale ha mai ricevuto da Dio. O forse mai ha voluto accettare quel che Suor Mary ha sempre percepito come segno tangente del divino su di lui: i miracoli. La serie non vuole convincerci della veridicità di questi prodigi. Noi spettatori, in particolare i non credenti, viviamo nello stesso mondo in cui avvengono fatti che altre persone finiscono per chiamare miracoli. I fatti, le guarigioni impossibili ad esempio, avvengono. Questo senza dubbio. È affascinante e degno di rispetto discutere di eventi che il devoto identifica quali miracoli attribuendoli ad un altro uomo, mentre il laico ne scorge soltanto una curiosa coincidenza.
Lenny ha conosciuto i suoi genitori ed è stato costretto dalle circostanze ad avvicinarsi a Dio. Quel Dio che con ogni probabilità i suoi parenti avrebbero tenuto in disparte. Forse per questi motivi il giovane Papa chiede più volte quando sia giunta la chiamata al Signore nel cuore degli altri prelati. Lui ha bisogno di vedere nelle vite altrui che Dio vi è comparso ed ha fatto scaturire infinito amore per lui. Lenny non può amare un Dio senza averlo mai avuto vicino, senza averlo mai perso.
È da questa idea che scaturisce la geniale intuizione di trama di Sorrentino: Lenny ama infinitamente i suoi genitori e li cerca con tutto sé stesso e con tutta la sua devozione PROPRIO perchè non ha modo di poterli afferrare. Un Papa cresciuto in queste premesse non potrà far altro che spingere i fedeli a vivere la stessa forma di relazione nei confronti di Dio. Per amare Dio, bisogna desiderarlo. Amare Dio veramente significa cercarlo senza condizioni o ritorni egoistici di sorta.
Un vero fedele non chiede nulla a Dio e non si aspetta che questo risponda. Ma comunque lo ama. Un orfano come Lenny non può chiedere nulla ai propri genitori e non avrà mai una risposta. Ma comunque li ama.
Le implicazioni politiche e morali, le storie private dei caratteri e lo sviluppo di questo giovane Papa sono lì per farsi seguire senza alcuna difficoltà di sorta. La serie vive del suo sottotesto. Vive delle sue contraddizioni. La musica moderna riempie gli angoli di stanze antiche quanto la Chiesa stessa. La faccia pubblica è la maschera pirandelliana dell’uomo nel privato.
Il politico meschino è un uomo capace di infinita compassione ed amore, il prete più serafico si consola nell’alcol, il cardinale devoto tiene una cassaforte dietro il volto di Gesù Cristo suo secondo Dio. Di accostamenti del genere Sorrentino fa straripare ogni puntata.
Lenny è un Papa posto sullo scranno con la certezza del concilio di poterlo manovrare come una marionetta. Il Papa giovane sarà, a sorpresa, una personalità complessa ed articolata per nulla governabile ed inflessibile nel rispetto dei dogmi. Sarà il meno propenso al progresso, ma colui che progredirà umanamente ed eticamente molto più che chiunque altro. Elargirà insegnamenti ed impartirà lezioni, ma sarà lui stesso ad arricchirsi come persona di volta in volta.
Lenny è un giovane che si comporta da uomo antico, è l’ingessato istituzionale col chiropratico orientale, è l’annoiato che si diverte. Il suo programma di chiusura non viene messo in cattiva luce nel finale poiché resta necessario ad acuire l’esplosione di amore delle ultime puntate. Lenny scopre ed accetta Dio dopo essere divenuto Papa, vuole essere generoso e misericordioso ma non vuole farlo per mera notorietà o egoismo. Lenny è un meteorite tra le mura della Chiesa.
Pio XIII è un Papa che nasce con due scopi fondamentali: riportare nei fedeli l’amore per Dio e ritrovare i suoi genitori. Lenny riesce in entrambi e con questi due ultimi miracoli, o coincidenze, si esaurisce il suo mandato.
POST SCRIPTUM
Sorrentino, cinema contemplativo, cinema autoriale e tutte le balle varie che volete. Ma questa inquadratura alla prima puntata mi ha steso.
“… Stacco… Un boccione dell’acqua davanti ad un cardinale… Stacco”.