Valfaris è un run’n’gun in salsa metal che ci prova nell’anno in cui Contra ha deciso di fare schifo.
Se con Slain: Back to Hell Andrew Gilmour, il suo creatore, omaggiava gli hack’n’slash degli anni ’90, con Valfaris sposta il tiro su un altro genere che in quegli anni spopolava, quello dei run’n’gun il cui punto di riferimento assoluto era Contra.
Disponibile dal prossimo 10 Ottobre su PC e Nintendo Switch, Valfaris farà il suo debutto anche sulle altre console nei primi giorni di Novembre.
Nell’attesa, godetevi la nostra recensione di Valfaris.
Versione testata: Nintendo Switch
Fade to Black
Valfaris è una storia di vendetta. Vendetta di un figlio nei confronti un padre che ha venduto il suo popolo e la sua terra per il potere. Una storia che segue le orme di una tragedia nordica, ma ambientata ai confini dello spazio, in un futuro dove la città fortezza di Valfaris è stata cancellata dalle mappe, sparendo nel nulla. Fino a quando un fievole segnale riappare sui nostri radar, e con lui la nostra sete di vendetta e di verità.
Un tempo un paradiso in terra, Valfaris è diventata una landa inospitale e corrotta, abitata da creature mostruose e battuta da un esercito alieno alla ricerca di Vroll, l’ex regnante che ha voltato le spalle alla sua gente per la mera brama di potere. In Valfaris interpreteremo Therion, figlio di Vroll, alla ricerca del padre scomparso per punirlo dei suoi crimini. Ma il nostro viaggio non sarà semplice, e ammesso di riuscire a trovarlo, sul nostro cammino dovranno scorre litri e litri di sangue.
Dopo il “buona la prima” di Slain, un indie imperfetto ma in grado di lasciar intravedere un futuro nel talentuoso Andrew Gilmour, quest’ultimo ci riprova suonando una sinfonia affine a quella di Slain.
Valfaris è un run’n’gun alla Contra, e di Contra ne condivide diversi aspetti di gameplay, ma rispetto a Slain tutto ha un sapore più raffinato, come a far intravedere che le critiche ricevute al primo titolo, forse fin troppo acerbo sotto alcuni aspetti, siano servite.
L’approccio è dei più semplici. Therion può affrontare le orde di nemici facendo affidamento su un’arma da fuoco o una spada, la cui combinazione permette di salvarci la vita in più di un occasione. C’è poi la presenza di un terzo equipaggiamento distruttivo che recupereremo subito nei primi momenti di gioco, del quale sfruttarne l’enorme potenza di fuoco entro i limiti concessi dalle celle di energia in nostro possesso.
Un sistema analogo al mana della prima avventura, che qua si ricarica semplicemente uccidendo corpo a corpo i nemici con la spada. Non manca poi uno scudo energetico, che permette non solo di bloccare gli attacchi nemici, sia fisici che proiettili, ma anche di rispedire al mittente i colpi ricevuti, sfruttando la cosa a nostro vantaggio.
Rainbow In The Dark
La stratificazione del gameplay l’abbiamo quando inizieremo a sbloccare nuovi armamentari che ci permettono di modificare il tipo di sparo, il raggio dei nostri attacchi o il danno di quest’ultimi. Esistono diverse varianti che permettono al giocatore ampia personalizzazione a seconda dei nemici che ci troveremo ad affrontare. Questo ci porta a cambiare spesso equip in base alla situazione. Ma non potremo farlo quando vogliamo ma solamente raggiunti i check point ed utilizzando gli Idoli della Resurrezione, degli artefatti che permetteranno di “salvare” i nostri progressi in gioco.
Qua si aprono diverse possibilità che riguardano non solo lo sviluppo del gioco, legato al potenziamento delle armi ma anche alla difficoltà di Valfaris. Sia chiaro, appartenendo al genere dei run’n’gun, il livello di difficoltà sarà per sua natura impegnativo e vi darà del filo da torcere arrivare ai titoli di coda. Recuperato un idolo potremo spenderlo per attivare il check point e quindi salvare la partita.
Potremo invece decidere di spendere quelli in nostro possesso in appositi macchinari, che convertiranno gli idoli in potenziamenti per le armi. Scelte che se attuate o no incideranno sui save point disponibili, rendendo pesante la nostra sconfitta. I potenziamenti delle armi saranno ottenibili anche sconfiggendo i nemici più pericolosi consentendoci così di migliorare il nostro arsenale ed affrontare a testa alta centinaia di nemici.
Sempre rispetto a Slain si nota un certo miglioramento nel level design, anche dovuto al cambio di genere d’appartenenza. La matrice è sempre quella di un platform dalla spiccata verve action, ma migliorano le situazione e la varietà del gameplay. Avremo delle fasi di platform classiche dove la precisione millimetrica sarà la chiave per uscirne vincitori, altre a scorrimento su “binari” dove la possibilità di sparare nelle 8 direzioni consente di superare anche lo scontro più pericoloso, altre ancora dove piloteremo un mech, per portare morte e distruzione. Senza mai un attimo di tregua, e senza che ci abbandoni quella sensazione di morte improvvisa che si nasconde dietro l’angolo.
Anche l’esplorazione ha una sua influenza in Valfaris. Sebbene l’impostazione usata sia molto lineare, il gioco offre diversi bivi che portano a zone segrete, dove recuperare idoli e materiali per potenziare le armi. E sarà sempre vantaggioso uscire fuori dal percorso preimpostato alla ricerca di qualcosa che possa migliorare le nostre partite.
In quanto a lunghezza Valfaris si attesta su livelli medì, 5/6 ore per completare, fra un’imprecazione e l’altra, la nostra avventura. Non ci sono extra una volta finito il gioco, ma lo sviluppatore assicura che stanno lavorando ad un nuovo “new game+” che debutterà nelle prossime settimane e che consentirà di riaffrontare il gioco mantenendo i progressi fatti ma con un nuovo livello di difficoltà e una nuova arma distruttiva.
Am I Evil?
Ma parliamo adesso del punto di contatto fra Valfaris e Slain: il comparto artistico. Graficamente ci troviamo di fronte ad un grosso salto di qualità rispetto al primo lavoro. Pur navigando in un mare di nostalgica pixel art, che in questo caso va ad utilizzare una tecnica che richiama alla memoria i lavori 16 bit in grafica prerenderizzata, è stato fatto un lavoro mostruoso nel creare ed animare il mondo di Valfaris.
Gli screen non rendono la bellezza degli sfondi animati, arricchiti di dettagli (spesso in movimento) e da diversi effetti. Uno spettacolo per gli occhi che porta avanti il leitmotiv gore di Slain e che qua risplende fra macabre uccisioni, creature demoniache e tante altre mostruosità. Il tutto condito da litri e litri di sangue.
Purtroppo però di contro a tanta bellezza spiccano alcuni problemi relativi alla fluidità. Per quanto il gioco giri generalmente bene, specie in modalità docked si possono riscontrare spesso rallentamenti, quando lo schermo si affolla degli sprite dei nemici, con un fastidioso effetto “slow-mo” che mette in crisi il motore di gioco. Decisamente meglio in portatile, che probabilmente a causa di una minor risoluzione riesce a gestire meglio queste situazioni, che restano tuttavia presenti.
Anche per la soundtrack continua la tradizione inaugurata con Slain che qua ripropone nuove sonorità heavy metal. I brani, composti da Curt Victor Bryant, l’ex chitarrista dei Celtic Frost, sono un’esplosione di rabbia e violenza che travolge il giocatore dall’inizio del suo viaggio fino ai titoli di coda che ci spingeranno, come il protagonista, in furiosi headbagging all’ottenimento di nuove armi o dopo la sconfitta di uno dei tanti boss.