Serie di History Channel iniziata con poche pretese, Vikings è ora giunta al termine della metà della quinta stagione. La quarta stagione ci aveva lasciati con l’amaro in bocca: la morte di Ragnar Lothbrok (Travis Fimmel) per mano di Re Aelle II e Re Ecbert (anch’essi poco dopo morti per vendetta dei figli di Ragnar). Ma la vera domanda è: stiamo vedendo la serie Vikings? Bé domanda del tutto legittima se vediamo come queste prime 10 puntate si sono evolute, diversamente da come ci eravamo abituati. Sicuramente questa sarà una stagione chiave per l’inizio di una nuova era.
Dopo il tradimento di Rollo (Clive Standen), ormai dalla parte dei franchi, e che vedremo poco e niente, i veri protagonisti della quinta stagione sono Ivarr “Il senzaossa” (Alex Høgh) e Bjorn “La corazza” (Alexader Ludwig). Tutto infatti parte dalle loro scelte: da una parte Ivarr, personaggio molto ben caratterizzato, dalle doti di grande stratega con idee spesso bizzarre che ricordano il padre, ma che alla fine funzionano, vuole continuare la conquista dell’Inghilterra, assediando e conquistando la fortezza di York e ottenendo delle importanti e particolari vittorie contro gli inglesi guidati da Re Aethelwulf, ma che poi decide di ritornare in patria per pianificare la vendetta di sua madre; dall’altra parte Bjorn, classico stereotipo di guerriero Vichingo, che riprende uno dei temi principali delle prime stagioni: il viaggio. Alla ricerca di terre da visitare per la sete di conoscenza (chiaro comunque riferimento al carattere del padre), si trova però coinvolto in vicende davvero bizzarre e dalla dubbia utilità a livello della storyline.
Situazione analoga, anche se leggermente differente, si può dire per Floki (Gustaf Skarsgard) che, sebbene lo si ricorda come un attivo guerriero e carnalmente devoto alla sua fede, qui il suo personaggio inizia una fase di transizione che, a partire dalla morte della moglie, lo porterà inesorabilmente ad allontanarsi da tutto e tutti, nel vero senso della parola, per seguire il “volere” degli dei. La scelta di farsi trasportare dal destino e di finire in Islanda, scoprendola, ha portato il personaggio da un lato ad una visione più profonda della vita e ad aumentare il suo spessore etico, e dall’altro ha condotto la sua storia ad essere poco interessante di fronte al pubblico, soprattutto per il ritmo alla quale procede confrontandola con ciò che avviene nel frattempo. Anche se evidentemente era necessario un cambio di rotta per Floki, forse anche qui, la mancanza di idee, lo hanno dirottato verso una direzione non proprio adatta.
Al contrario, Lagertha (Katherine Winnick) sembra ora essere anch’ella una vera e propria protagonista: regina di Kattegat, da un lato è appagata da questa condizione, ma dall’altro ancora amareggiata per la morte del suo amato Ragnar, con cui avrebbe voluto regnare. Nonostante governi con temperanza e non con pugno di ferro, i tradimenti più o meno considerevoli contro di lei non si fanno attendere, dimostrandosi comunque più volte un’ottima leader, cercando di contenere il più possibile le perdite. Il suo personaggio, dunque mantiene un livello di importanza nella storia che non tende mai verso il basso, ma continua sempre in alto, anche se senza troppe pretese. D’altro canto, ricordiamo come non abbia mai avuto una spigliata vena da stratega e continua infatti ad accettare e valutare i consigli e i piani del figlio o dei pochi alleati più stretti ormai rimasti.
Sullo sfondo si stagliano i restanti personaggi che iniziano a prendere ciascuno uno spessore diverso. Partendo dai figli di Ragnar rimasti, Ubbe (Jordan Patrick Smith) e Hvitserk (Marco Ilsø), il primo è caratterizzato da una forte temperanza e saggezza, superiore rispetto a quella dei giovani fratelli, che ricordano molto il buon Ragnar e questo lo porterà all’allontanamento dal fratello Ivarr, che invece è sempre pieno di rabbia e di vendetta, e all’alleanza con Lagertha; Hvitserk d’altro canto è il fratello combattuto e desiderato dagli opposti: da una parte Ubbe lo vuole al suo fianco perché durante l’infanzia hanno stretto un rapporto più stretto rispetto agli altri fratelli e quindi è più una questione d’amore fraterno; dall’altra Hvitserk è desideroso di lotte e conquiste portandolo inesorabilmente dalla parte del fratello Ivarr, ma comunque con l’insicurezza fino alla fine di aver fatto la scelta giusta.
Con un enorme errore storico, in quanto storicamente non sono fratelli, ritroviamo poi Halfdan (Jasper Pääkkönen) e il fratello Re Harald (Peter Franzén). Il primo si dimostra essere un personaggio nel suo piccolo ben riuscito, che non cade nelle mani avare del potere che potrebbe avere, ma che si accontenta di saziare la sua sete di conoscenza al fianco di Bjorn a cui sarà fedele senza ripensamenti fino all’ultimo. All’opposto invece il fratello Harald, alleato e fiero sostenitore delle idee di Ivarr, ricorda il vecchio Re Horik che dapprima sembrava un buon alleato per Ragnar, ma poi la sua sete insaziabile di potere e di essere il Re di tutti i vichinghi lo hanno portato inevitabilmente al tradimento. Differenze? Un pizzico in più di fortuna e audacia.
Parlando delle new entry fortunatamente riescono ad inserirsi abbastanza bene in tutto questo travaglio. Partendo dalla nuova figura del Vescovo Heahmund (Jonathan Rhys Meyers), affascinante guerriero e uomo di chiesa, se da un lato riesce fin da subito ad attrarre lo spettatore per la sua facilità con cui cambia bandiera durante le guerre e per i suoi continui tradimenti, dall’altro lato ciò non fa di lui un personaggio coi fiocchi: da paladino della fede a guerriero senza meta e senza patria con il solo obiettivo di sopravvivere.
Anche per Alfred (Ferdia Walsh-Peelo) ci sono alcuni errori storici, dato che comunque era un Re leggittimo e soprattutto figlio leggittimo di Aethelwulf. A parte ciò sale al trono grazie alla madre (anche se storicamente succedette al fratello) e fin’ora lo abbiamo visto solo alle prese della sua ricerca spirituale, tornando nel monastero di Athelstan e mostrando la sua differente concezione del cristianesimo, più aperta e profonda, chiaro riferimento alle passate figure di Ecbert e di Athelstan.
Tirando le somme, il vero problema di fondo non sono i personaggi in sè, che in fin dei conti sono ben caratterizzati, chi più chi meno per ovvi motivi, quanto invece le varie storie attorno ad essi che sono state abbastanza deboli, sottolineando la mancanza di idee per questo placido inizio. Nei viaggi di Bjorn, per esempio, assistiamo ad una serie di vicende che hanno avuto poco spessore e non si sono affermate e legate bene al resto della storyline, lasciando aperti dei buchi di trama che ti fanno chiedere: e quindi? Sostanzialmente si poteva caratterizzare di più questo tema ripreso del viaggio, un po’ come successe per le prime stagioni dove grazie ai viaggi di Ragnar si sono sviluppate le vicende successive. Dal punto di vista del comparto tecnico nulla a sfavore: la serie continua a stagliarsi tra le migliori di casa History, con fotografia e regia sempre di alto livello, che ora pone più importanza al lato bellicoso dei vichinghi. Eliminati alcuni personaggi secondari (forse un po’ troppi), nelle ultime tre puntate si è visto un esponenziale innalzamento del ritmo della trama con una brusca chiusura, che sicuramente porterà la seconda metà di stagione ad essere la prova che Vikings meriterà una sesta stagione.
Nota di merito dev’essere fatta per l’inizio della decima puntata, in cui i fratelli Halfdan e Halfdan cantano una canzone prettamente norrena dai toni cupi, ma che dà un tocco particolare all’inizio di questa puntata.