Wolfenstein: Youngblood – La Recensione

Wolfenstein: Youngblood è il nuovo capitolo della celebre saga sparatutto. Si tratta di uno spin-off, ma è tutt’altro che inutile e di poco conto.

Il celebre franchise Wolfenstein si è, recentemente, arricchito con un nuovissimo capitolo dal nome di Youngblood. Da molti, fin dall’annuncio, è stato considerato un titolo spin-off marginale e secondario per quanto concerne l’economia generale della serie, ma nulla di più sbagliato. Considerarlo, infatti, con tale termini oltre ad essere riduttivo e poco rispettoso dell’enorme lavoro compiuto da Machine Games e Arkane Studios, non rispecchierebbe minimamente ciò che invece è questo nuovo titolo. Nonostante sia vero che il nuovo capitolo delle avventure di Blazkowicz e della sua stirpe è nato come un prodotto sperimentale, incentrato sulla componente cooperativa e ambientato molti anni dopo gli eventi dell’ultimo episodio, fin dalle prime battute risulta estremamente difficile non rendersi conto che il progetto è cresciuto enormemente in fase di sviluppo sia in termini di ambizioni che in termini qualitativi. A poco a poco si è trasformato in un vero e proprio tassello fondamentale per l’intera saga.

Versione testata: PlayStation 4 Pro

Cambio di testimone, ma non di sostanza


Youngblood non può essere paragonato ad un episodio regolare come The New Colossus o simili, ma non certo per la qualità quanto per la quantità di contenuti e per la ripetizione di meccaniche e tecnologie già viste nei precedenti capitoli. I fan comunque non dovrebbero farsi scappare questo titolo perché aggiunge aspetti importantissimi per lo sviluppo del racconto e per questo motivo non è assolutamente un’estensione superflua e trascurabile. Avendo fatto questa breve e doverosa premessa, rafforzata anche da notizie poco chiare uscite in questi giorni, ecco a voi la recensione.

Come accennato poco prima, Wolfenstein: Youngblood è ambientato molti anni dopo rispetto alla storia canonica, per l’esattezza agli inizi degli anni ’80. Attraverso le intestazioni delle cut-scene scopriamo, però, che la Seconda Rivoluzione Americana ha portato alla liberazione degli Stati Uniti, ma anche ad un dominio ancora più massiccio dell’Europa da parte dei nazisti e del potere enorme del Führer. In questo nuovo capitolo osserviamo Blazkowicz e Anya abbandonare i campi di battaglia per crescere le loro due figlie in un ranch isolato dal resto del mondo. Fin dall’inizio riusciamo, però, ad intuire che i temi del racconto si collegano a quelli presenti in The New Order, nonostante anche in Youngblood ci sia spazio per un leggero misticismo, corpi sintetici e un accenno ad una sorta di dimensione parallela. La sceneggiatura abbandona per un attimo l’elemento paranormale concentrandosi sugli elementi tecnologici e umani mettendoci, ad esempio, di fronte due genitori che si portano le cicatrici degli scontri con tutte le relative conseguenze. Si trovano quindi a riflettere sui conflitti, i ricordi malati del genocidio, della prigionia e della paura generale che li rapiva costantemente. Nonostante si trovino quasi vent’anno dopo da tutto ciò, i due protagonisti si trovano costretti a vivere in un mondo instabile e pericoloso tanto da crescere le due figlie Jessie e Zofia preparandole per la guerra, addestrandole per resistere e sopravvivere ad ogni situazione pericolosa. Proprio questa preparazione, insieme ad un pizzico di scelleratezza adolescenziale, servirà alle due ragazze a partire per Parigi nel momento in cui si perdono le tracce del loro padre.

La componente narrativa, per quanto sia coinvolgente e interessante, non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella di The New Order o The New Colossus. Non sono presenti gli intermezzi ricchi di tensione, manca totalmente una nemesi potente e non è pervenuta nemmeno la vena drammatica classica dei capitolo principali, ma essendo comunque un capitolo di passaggio tra un grosso titolo e un altro grosso titolo in attesa, compie egregiamente il suo compito. Diverte e racconta in maniera limpida e lineare quello che di fatto è un lungo e violento viaggio di formazione lastricato di paure e poche certezze. Tutto questo può essere goduto sia in cooperativa che in solitaria anche perché, rispetto ai capitolo precedenti, qui la campagna principale ha una durata di appena dieci ore.

Una sorta di prototipo che mostra il futuro della saga

Dal punto di vista del gameplay cambiano i protagonisti, ma non cambia l’anima. Non è difficile notare una somiglianza molto marcata con il suo diretto predecessore: ritmo accelerato in stile gioco arcade, corsa forsennata delle protagoniste e volontà di far fuoco a tutto e tutti ciò che incontrato con brutale irruenza. Machine Games conferma ancora una volta di essere maestra in tutto ciò. Infatti in Youngblood si spara con furia e lo si fa con il feedback classico della serie. La mira idi precisione, il più delle volte, diventa quasi inutile perché quello che conta è il movimento e la reattività anche a discapito dello spreco di pallottole che potremo, comunque, recuperare dagli innumerevoli cadaveri che si formeranno a causa nostra. La gestione degli spazi è ottima così da garantire lunghe corse e graditi nascondigli da usare come coperture occasionali. Wolfenstein è sempre stato quel gioco atipico perché usa ambientazioni realistiche e uno stile di gioco che fonde lo shooting di DOOM con la frenesia di Quake e Youngblood non fa alcuna eccezione.

In questo capitolo c’è però anche lo sviluppo di una componente già presente nei titoli precedenti, ma non in maniera così approfondita: lo stealth. Questo è merito della collaborazione tra Machine Games e Arkane Studios, nonché gli autori di Dishonored e Prey ovvero titoli che fanno dello stealth il loro cavallo di battaglia. Alcune soluzioni adottate per la realizzazione delle mappe di gioco sembrano, infatti, arrivare proprio dal primo Dishonored: spuntano a sorpresa delle scorciatoie nascoste, nascondigli segreti, camminamenti interni che permettono di passare da un’area ad un’altra senza incontrare nemici, terrazze che mostrano la funzionalità della nuova meccanica del doppio salto e altre caratteristiche che per la prima volta sfruttano la componente verticale del gioco che, di fatto, Wolfenstein non ha mai avuto. In generale, però, il gioco ha ana struttura molto simile a quella vista in The New Colossus con un mondo di gioco suddiviso in macro-aree in cui sono presenti missioni principali e secondarie. In questo caso l’esplorazione non annoia perché aiutata da un level design davvero ben realizzato: ci troveremo a dover cercare casse nascoste, dischi da decifrare, stanze misteriose descritte nei documenti recuperati in giro e tanti altri piccoli, ma importanti segreti.

È purtroppo presente, come anche negli altri Wolfenstein, un forte backtracking ovvero il trovarsi più volte a visitare zone già viste a causa di missioni principali e/o secondarie che ci costringono a tornarci. In questo caso, però, possiamo osservare come Machine Games abbia imparato dagli errori aggiungendo all’interno delle zone all’aperto dei piccoli incarichi opzionali che smussano la ripetitività. Discorso diverso quando ci si trova, nuovamente, all’interno di mappe ambientate nei condotti fognari o all’interno di laboratori segreti. Qui, una volta completata l’avventura principale, difficilmente ci si diverte a perseguire incarichi sterili e poco determinanti. Tutto questo se si gioca in singleplayer, ma non dobbiamo dimenticare la componente cooperativa. Quando infatti inizierete ad essere leggermente stanchi, vi basterà aprire la partita a giocatori casuali online o invitare un amico, anche se non possiede il gioco grazie al Buddy Pass. In questo modo la sorella che fino a quel momento era stata controllata da un’ottima e non invadente Intelligenza Artificiale verrà interpretata da un altro giocatore e le cose, a differenza del finale noioso di The New Colossus, cambiano totalmente.

Infatti, dopo aver completato l’avventura principale delle due sorelle, ci troviamo dinnanzi a delle meccaniche difficilmente osservate negli altri capitoli della saga come ad esempio il supporto reciproco, coordinazione e una certa dose di distruzione aggiuntiva. In coppia sarà molto più facile e divertente concludere lo sviluppo delle protagoniste e del loro potenziale bellico composto da livelli, punti esperienza, abilità sbloccabili e componenti per migliorare tutte le statistiche delle varie armi. Un meccanismo nuovo per Wolfenstein, ma che considerando anche la presenza di missioni giornaliere e settimanali, aumentano di molto la longevità.

Gli anni ’80 che sanno di antiquato

Per quanto riguarda il comparto tecnico ci troviamo nuovamente ad osservare la sesta versione del già ampiamente spremuto idTech. Quindi nulla di nuovo, per quanto riguarda la qualità degli elementi grafici, da quanto visto in Wolfenstein 2. Texture, ombre, animazioni ed effetti di luce sono praticamente identici al suo predecessore. La versione da me provata è per Playstation 4, ma la qualità sicuramente migliora nella versione PC grazie all’aggiunta delle nuove tecnologie Nvidia. In ogni caso il punto di forza del titolo è l’ottimizzazione che dona una stabilità imbattibile a discapito, però, di uno stile poco caratterizzato e dimenticabile. Gli anni ’80 infatti dovrebbero donare ambienti colorati, ricchi di neon in stile simil-cyberpunk, invece qui ci troviamo ad osservare un’ambientazione praticamente identica alle precedenti che se non fosse per qualche sonorità psichedelica e sintetica, non capiremmo che ci troviamo venti anni dopo dai precedenti capitoli.

Wolfenstein Youngblood è disponibile dal 26 Luglio su PlayStation 4, Xbox One, Pc e nintendo Switch a 40,99 €