Il nuovo inquietante film di M. Night Shyamalan
Old, è il nuovo film diretto da M. Night Shyamalan, uno dei registi più chiacchierati degli ultimi anni. A due anni dal suo ultimo film, Glass, il regista indiano naturalizzato statunitense torna dietro la macchina da presa e torna a dirigere una pellicola mistery con tinte horror. I film del regista si dividono facilmente tra amati e odiati, e ancora più evidentemente e nettamente tra successi e insuccessi. Shyamalan è spesso controverso e le sue opere sono sempre cariche di tensione e argomenti delicati. Il film è l’adattamento cinematografico della graphic novel Castello di sabbia (Château de sable), scritta da Pierre-Oscar Levy e Frederick Peeters, edita in Italia da Coconino Press.
Sinossi
Old è ambientato su una paradisiaca e isolata spiaggia tropicale, dove si trova per motivi diversi un gruppo di 13 persone eterogenee. Tutto sembra trascorrere al meglio fino a quando viene rinvenuto in mare il corpo di una donna senza vita. Il mistero si fa ancora più grande, quando il gruppo inizia a invecchiare velocemente senza una ragione, tanto che l’intera esistenza di ogni individuo rischia di ridursi spaventosamente ad un solo giorno. Il gruppo si rende presto conto che ciò che sembrava un paradiso si sta trasformando in un incubo. I protagonisti dovranno affrontare una corsa contro il tempo per cercare di salvarsi e sfuggire alla morte imminente.
Old è il prototipo dei film di Shyamalan, una pellicola che raccoglie quello che è il suo cinema forse meglio di alcuni suoi grandi successi. L’idea alla base è un motore incredibile per la narrazione, praticamente inesauribile che regge il film con forza. Però, come spesso il regista ci ha abituati, le sue produzioni sono incredibilmente altalenanti, con incredibili picchi negativi. Old è indecifrabile, non è una di quelle produzioni deboli che hanno segnato negativamente la sua carriera ma non è nemmeno una di quelle che già dalla prima visione ci fa pensare ad una delle sue migliori. Il nuovo film di Shyamalan è praticamente perfetto dal punto di vista stilistico e visivo, mentre è più scricchiolante la sceneggiatura con alcuni scivoloni.
Old, però, non è una pellicola negativa, anzi per la gran parte è estremamente positiva. Il corpo centrale, la parte più lunga della pellicola, è sicuramente la più riuscita. Quando i personaggi iniziano il loro balletto introno ai misteri che quella dannata spiaggia gli mette davanti il regista da il meglio di se. Le scelte stilistiche sono pregevoli, la narrazione è incalzante e i personaggi sono incredibilmente ben caratterizzati per la loro funzione. Nonostante la forte presenza sulla scena, i personaggi di Old sono semplicemente la rappresentazione di un Tipo, tanto che sono tutti egregiamente contraddistinti da un qualcosa che permette allo spettatore di riconoscerli sempre sullo schermo. Il ritmo iniziale non concede grande spazio alla presentazione dei personaggi, capiamo che qualcosa non va, che è una situazione di disagio grazie ai movimenti di macchina e al ritmo della pellicola. Una volta raggiunto il luogo sperduto il film cambia, lo spazio per raccontare il necessario delle storie di tutti c’è, il film si fa più continuo sia stilisticamente che nel ritmo. Sembra che tutto si addolcisca e voglia ricreare la percezione dello scorrere del tempo, lento ed inesorabile.
Proprio il tempo infatti fa da padrone alla pellicola. Il regista gioca proprio con questo concetto usando sapientemente il mezzo, soprattutto quello visivo. Spesso i movimenti di macchina, l’uso di determinate ottiche e inquadrature serve soltanto a dilatare quello che è il tempo in cui ci vengono mostrati eventi e punti salienti, in modo da creare una tensione costante e crescente, nonostante le cose che ci vengono celate ci sono già evidenti. Il tempo è però il vero protagonista della pellicola, i personaggi sono dei burattini nelle sue mani che servono solo per spiegarci come lui agisce. Old parla, infatti, dell’invecchiare e del crescere, della scoperta della sessualità e del logorare della carne umana. Non siamo coinvolti in storie particolari, tutti i personaggi sono estremamente realistici con vicende di vita semplici e quotidiane. Quello che ci viene raccontato, e Shyamalan lo sa fare bene, è una storia di uomini e donne che affrontano le fasi della loro esistenza, spaventati dallo scorrere del tempo e con la consapevolezza della morte. La storia è semplice, reale e quotidiana. Il regista è stato davvero abile nella messa in scena, la scelta dello spazio aperto, libero e naturale che sembra facile da abbandonare, si trasforma in una trappola, un palco dove degli attori mettono in mostra una pièce teatrale.
Quello che però non riesce a convincere sono alcune delle scelte di sceneggiatura e alcune performance degli attori. Nel suo raccontare questa storia, ispirata come abbiamo detto da una graphic Novel, Shyamalan inserisce alcuni argomenti che hanno poi una grande valenza all’interno della storia ma che sembrano troppo trascurati in fase di trattamento, come inseriti sullo sfondo e non adeguatamente approfonditi. Anche alcune scelte di inserire parti troppo grottesche e decontestualizzate influisce sulla visione, il ritmo anziché creare tensione viene interrotto e il momento sembra completamente fuori contesto. Così, anche alcune prove recitative stonano con il resto della pellicola. Tra tutti Gabriel Garcia Bernal sembra quello più a disagio nel ruolo, spesso troppo piatto e quasi impietrito nelle reazioni più eclatanti. Anche la giovane Eliza Scanlen non riesce ad essere completamente convincente, in alcuni momenti sullo schermo la giovane attrice sembra seguire le orme di Bernal rimanendo troppo piatta nella sua prova attoriale.
Old è comunque un buon film. Non probabilmente tra i migliori di Shyamalan, ma nemmeno tra i peggiori. Con alcune criticità evidenti e alcune ben mascherate dall’ottima messa in scena, il nuovo film del regista di The village è una pellicola che ha tanto da dire e da raccontare, con un’ottima regia e qualità visiva. Forse è una pellicola effimera, proprio come lo scorrere del tempo di cui racconta, una pellicola che agli occhi degli spettatori si esaurisce più ci si avvicina alla fine, dilazionata in un sequenza di piccoli dettagli che ne lasciano emergere la ripetitività. E forse è proprio questa la vera bellezza di questo film, questo discorso di effimerità e ripetitività che sono proprie della vita in rapporto al tempo. Shyamalan colpisce, nel bene e nel male riesce comunque a tirare fuori qualcosa di cui parlare.