Cowboy Bebop – La recensione della serie Live Action Netflix

Il controverso adattamento live action di Cowboy Bebop, tra delusione e spreco

Three, two, one…. Let’s jam!

Netflix ha ben chiaro il progetto di portare sullo schermo diversi adattamenti live action di Anime che hanno fatto la storia. Netflix ha già tentato diverse volte con prodotti estremamente controversi come Death Note, Bleach e Fullmetal Alchemist e con alcuni ben più godibili come Ruronin Kenshin. Quello che però è davvero ben chiaro è che il colosso dello streaming ha deciso di avere il suo stile, la sua idea e di portarla avanti in modo estremamente coerente. L’adattamento di Cowboy Bebop cristallizza questa concezione, nel bene e nel male. Grazie a Netflix ho potuto vedere tutti gli episodi in anteprima, per poterne parlare con voi.

Per parlare di Cowboy Bebop si deve però fare un passo indietro. L’opera di Shin’ichirō Watanabe è ben definibile come uno dei capolavori assoluti del genere, un prodotto che nel ’98 quando uscì mise d’accordo praticamente tutti o quantomeno i detrattori sono così marginali che si perdono come lacrime nella pioggia. Cowboy Bebop era un prodotto completo, un Anime che trattava tematiche complesse in modo perfetto in ogni episodio e che aveva dalla sua anche una qualità visiva alta per un prodotto dell’epoca. L’insieme culturale e di ispirazioni che si respirava ad ogni puntata lo rendeva un prodotto completo, di una scrittura fine ed elegante che non si dimenticava di far ridere lo spettatore prima di toccare note profonde con delicatezza e serietà. E come contorno un’elegantissima e sempre calzante musica Jazz con una Opening che ha fatto la storia.

La sinossi

Cowboy Bebop è un western spaziale ad alto contenuto d’azione che vede protagonisti tre cacciatori di taglie, alias “cowboy”, in fuga dal loro passato. Radicalmente diversi, Spike Spiegel (John Cho), Jet Black (Mustafa Shakir) e Faye Valentine (Daniella Pineda) formano una squadra agguerrita e sarcastica pronta a combattere i peggiori criminali del sistema solare, se il prezzo è giusto… ma che può solo farsi strada a calci e battute tra le tante risse prima che il passato finisca per fagocitarli tutti.


L’adattamento di Netflix, purtroppo, ha pochissimo di tutte quelle caratteristiche che hanno reso grande l’anime. Quello che sembra limitare maggiormente il live action di Cowboy Bebop è l’assenza di un anima. E questa la delusione più grande, perché i nomi coinvolti all’inizio sembravano interessanti, partendo da Yost e dal coinvolgimento di Watanabe. Ma andiamo con ordine e cerchiamo di parlare di tutti i punti nevralgici di questo controverso prodotto. Ovviamente tutto senza nessuno spoiler.

Il cast è il primo punto di cui voglio parlare. Perché già dalle primi immagini, dalle prime indiscrezioni si è iniziato a parlare delle scelte fatte. Ora che ho visto, però, mi sento di poter dire la mia. I tre protagonisti sono meno fuori luogo di quello che sembra, partendo da John Cho che come Spike è più credibile di quanto potessimo aspettarci. Il suo personaggio domina sempre le scene, grazie a un’interpretazione di grande livello che riesce a dare vita completamente al personaggio dell’anime con alcune variazioni che funzionano perfettamente. Anche i combattimenti in cui Cho è coinvolto sono ben interpretati e ben coreografati. Anche il personaggio di Jet Black è interessante, nonostante alcune variazioni. Il merito va a Mustafa Shakir che nonostante una prestanza fisica non all’altezza del personaggio originale riesce a dare una grande credibilità alla sua interpretazione. E poi c’è Faye che completa il trio della Bebop, ma che qui è l’anello debole. La scelta di Daniella Pineda non ha pagato, l’attrice è sembrata non propriamente nel ruolo e non è riuscita a dare il giusto spessore al suo personaggio lasciandoci una Faye Valentine meno iconica di quella dell’anime e molto meno profonda.

La serie, a differenza del prodotto originale, rende la trama di Spike, Vicious e Julia la trama orizzontale dando così molto più spazio ai due personaggi. Il problema è che entrambi sono stati riscritti e interpretati estremamente male. Alex Hassell che interpreta Vicious è praticamente sempre fuori ruolo e sopra le righe, stravolgendo gran parte della natura del personaggio originale e non riuscendo mai a renderlo credibile o intrigante. Visivamente l’attore è completamente lontano dall’estetica di Vicious e dalle sua espressività. Situazione aggravata anche da uno dei problemi più invasivi dell’opera: la necessità di essere visivamente completamente aderente al prodotto del ’98. Tutti i personaggi principali sembrano usciti da una fiera cosplay, a partire dalla barba finta di Jet, fino ai capelli bianchi finiti di Vicious. Questa pecca di aderenza si vede anche nell’ambientazione e in alcune forzature non necessarie, che a volte tolgono tanta credibilità all’opera. L’aderenza non è un peccato in se, anzi in alcuni momenti è davvero apprezzabile e piacevole, il peccato è l’eccesso che ne consegue, le forzature di dover mantenere tutto perfettamente uguale senza rendersi conto che si perde credibilità.

Però non tutto è da buttare, non tutto è un disastro. La storia riesce ad essere piacevole e godibile, più semplice e priva di quelle tematiche di esistenzialismo e filosofiche in cui ci catapultava l’anime ma comunque funzionante e con i suoi momenti. La sceneggiatura ricalca dove deve l’opera originale e se ne distacca per creare un prodotto che nonostante tutto vuole avere delle note di originalità. Nonostante alcuni momenti dove scricchiola la sceneggiatura, in generale non si può criticare la scelta di voler essere un prodotto autonomo, quello che però non funziona è il volere essere un pò di uno e un pò dell’altro. Le scelte, soprattutto sul finale, sono piuttosto confuse e mal costruite. La repentinità degli eventi non si basa su solide basi o su solide scelte, ma solo sulla voglia di voler produrre una seconda stagione. Quello che manca, un pò a tutto è quell’anima di cui parlavo prima. Quella scrittura praticamente benedetta dalla divinità degli sceneggiatori che aveva regalato tantissimi personaggi in grado di lasciare una traccia indelebile del loro passaggio nonostante la brevità.

Il live action di Cowboy Bebop è purtroppo un prodotto che lascia tanto amaro in bocca perché la potenzialità era tanta ma è stata sprecata. Dal cast male assortito, che salvano in pochi, dalla trama che si presta ad essere troppo povera di contenuti reali e troppo pregna di una linearità che spesso risulta stucchevole, fino alla scelta di voler stare nel limbo tra fedeltà e originalità senza però eccellere ne nell’una ne nell’altra. Il fatto che l’anime di ormai più di vent’anni fa tratti tematiche più attuali della serie è emblematico di quello che è il prodotto Netflix. La serie live action di Cowboy Bebop è l’involucro vuoto della serie animata, un contenitore completamente svuotato di tutto dalla sua natura e da tutto quel mix di generi che univa e a cui si rifaceva. La speranza per i fan è che se si farà mai una seconda stagione, sarà libera di essere un prodotto autonomo in tutto e che della serie originale si provi a ricreare quantomeno l’atmosfera. La regia e l’azione sono le uniche note positive e su cui il colosso streaming deve posare le fondamenta per il suo prodotto.

See you, space cowboy…