Ci sono registi che non deludono mai, nemmeno per sbaglio. Alexander Payne, autore di pellicole splendide come Nebraska e A proposito di Schmidt, era tra questi. Downsizing, la sua ultima fatica cinematografica, sembrava quindi promettere molto bene: una storia fantascientifica proposta in chioave realistica, l’aura da commedia, un Matt Damon convinto. C’era tutto. Eppure, una volta usciti dalla sala, Downsizing si rivela per quello che, effettivamente, è: un film che parte da un’idea di base interessante e a tratti geniale – più per com’è sfruttata nella prima parte, che per l’originalità – ma privo di una reale sostanza, con un ritmo discontinuo e un cambio di rotta esagerato, che lo rende pesante da seguire. La tematica della miniaturizzazione del corpo umano è stata ampiamente sfruttata nel corso degli anni, dai tempi di Radiazioni BX- Distruzione Uomo, passando per Salto nel Buio di Spielberg, fino ad arrivare a prodotti più mediocri e senza valore come Piacere Dave, commediola per ragazzi con Eddie Murphy, ma il modo in cui viene affrontata in Downsizing è senza dubbio peculoare. L’approccio è quello che si può riservare ad una scoperta sensazionale, ma solo nei primi minuti del film: successivamente ecco che un sapiente salto temporale ci introduce in un mondo dove la miniaturizzazione è una realtà consolidata, ma vista ancora con sospetto e diffidenza. Soprattutto vengono soppesati, seppur fugacemente, gli effetti che tale fenomeno potrebbe avere sulla società e sull’economia mondiale. Allora perchè il film non funziona? E’ molto semplice: dopo la prima parte, in cui il prodigio scientifico ha una grande importanza narrativa, il tutto diventa un pretesto per raccontare la storia umana del protagonista, che diventa sempre più insopportabile minuto dopo minuto. La seconda parte della pellicola si articola in due momenti fondamentali: uno di stop assoluto, in cui la trama non procede, lasciando spazio alla noia, mentre l’altro è una virata tanto inaspettata quanto inutile della trama in una direzione quasi grottesca.
A nulla sono servite le ottime interpretazioni di Hong Chau – candidata per il ruolo di Gong Jiang agli scorsi Golden Globe e agli Screen Actors Guild Awards non ancora consegnati – e di Christoph Waltz: per quanto i personaggi possano essere interessanti, una scrittura pigra e spesso pretenziosa li rende a tratti assurdi, con reazioni ai limiti del ridicolo. Matt Damon ha senza dubbio cercato di dare il meglio di sè e nella prima parte è anche riuscito a risultare tragico, a modo suo, ma il suo Paul Safranek manca di carisma, intrappolato in un processo narrativo che non è mai chiaro dove voglia dirigersi, se sulla sponda della commedia o su quella del dramma, rimanendo a metà tra le due, ma in maniera incompleta, senza quell’ambiguità potente che si può ottenere in casi come questo. Forse il problema più grande di Downsizing è il suo porsi come commedia filosofica, che vorrebbe riflettere su tematiche economiche, sociali ed ecologiche, ma senza provarci davvero, come se fossero solo mezzi per raccontare una storia che, in fondo, non è poi così interessante come si potrebbe pensare. la regia è anche interessante, soprattutto per quanto riguarda le scene in cui è necessario rimarcare la differenza di dimensioni tra le persone che non si sono sottoposte al processo di miniaturizzazione e quelli che invece hanno accettato di farlo. In questo, a onor del vero, si può notare quanto Payne si sia impegnato per trovare soluzioni visive efficaci e spesso ne possiamo trovare alcune davver odi impatto. Peccato che non sia sufficiente a rendere il film degno di nota. Gli effetti visivi sono utilizzati poi con una certa perizia e ammetto di essermi ritrovato in più di una scena a gradire le varie battute sul rimpicciolimento del corpo, anche se è vero che alla lunga diventano ripetitive e prevedibili.
per quanto i personaggi possano essere interessanti, una scrittura pigra e spesso pretenziosa li rende a tratti assurdi, con reazioni ai limiti del ridicolo.
La sceneggiatura, firmata anche dallo stesso Payne insieme a Jim Taylor, ha il grande difetto di non riuscire a rendere realmente interessanti i rapporti tra i personaggi: il solo ad essere effettivamente sviluppato è quello tra Paul e Gong, che non viene però approfondito in maniera minuziosa, mentre sarebbe stato interessante una maggiore trattazione del Dusan Mirkovic interpretato da Waltz, versione miniaturizzata della figura del contrabbandiere, “professione” appena abbozzata nel film e che avrebbe richiesto più attenzione.
A livello di ritmo, il film pecca di incostanza, con momenti pregni di dettagli affascinanti alternati ad altri decisamente meno funzionanti, fino ad arrivare ad una dispersione totalmente ingiustificata dal punto di vista narrativo, anche se si possono intravedere le intenzioni del regista, ovvero quelle di approfondire il modo in cui una pratica scientifica come la miniaturizzazione possa condizionare la vita di una persona. Il punto è che quello che vive Paul Safranek dalla seconda metà in pii va a slegarsi quasi totalmente dalla miniaturizzazione, che infatti viene percepita sempre di meno nel corso del film, privandolo completamente di tutto il fascino iniziale.
A conti fatti, Downsizing è un film che può vagamente intrattenere sulle prime, ma poi si risolve tristemente in un’accozzaglia di situazioni lente e che non sembrano andare a parare da nessuna parte, con dialoghi improntati verso riflessioni sulla natura umana non particolarmente ispirate e banalità di vario genere, alla lunga stancanti. Forse non era ben chiara agli autori la direzione che volevano dare al film, forse non sono riusciti ad esprimere ciò che effettivamente avevano in mente, sta di fatto che, almeno per ora, l’ultima fatica di Alexander Payne è una delle peggiori delusioni tra i film usciti in Italia nelle prime settimane di questo 2018. E le delusioni non si possono miniaturizzare.
Il mio voto per Downsizing è: 5