Dragon Quest XI S: Echi di un’era perduta – Edizione definitiva, La Recensione

Uno dei JRPG più belli di questa generazione, è tornato ed è ancora più bello.

Settembre 2019 verrà ricordato come uno dei mesi più carico di uscite di sempre. Proprio in queste settimane, fra il lancio di nuovi titoli e il ritorno di vecchie conoscenze, abbiamo avuto modo di mettere mano anche ad un gradito “comeback”. Quello di Dragon Quest XI, lo splendido undicesimo capitolo di Dragon Quest nella sua versione definitiva.

A cavallo fra remastered e remake, Dragon Quest XI S: Echi di un’era perduta – Edizione definitiva è disponibile in esclusiva su Nintendo Switch dal 20 Settembre.

Versione Testata: Nintendo Switch

Dragon Quest è sinonimo di classicità. Un veterano dei JRPG tanto famoso in patria, quanto fuori dai confini giapponesi, sebbene ogni uscita abbia fatto sudare i giocatori occidentali.

E con Dragon Quest XI S Square Enix ha segnato il ritorno in grande stile della serie, con uno dei capitoli migliori che rilanciava, proprio come Atlus fece con Persona 5, i tanto bistrattati combattimenti a turni, ritenuti da molti ormai anacronistici.

Insomma un successo a tutto tondo per Dragon Quest XI, così forte da spingere la software house giapponese, mossa sia dal buon rapporto (e dalle vendite sulla console Nintendo) sia dal desiderio di Satoru Iwata, di vedere su Switch l’ultimo capitolo di Dragon Quest. Forse per questo che Square Enix non si è limitata a fare il classico compitino, quello a cui spesso è ricorsa quando si tratta di conversioni e porting.

Con l’edizione definitiva di Echi di un’era perduta si è spinta oltre, prendendosi tutto il tempo necessario, oltre due anni dall’uscita originale su PlayStation 4 (uno se contiamo quella occidentale). Ma dobbiamo alzare le mani e ammettere che il lavoro fatto, sia a livello di contenuti che tecnico, è qualcosa di cui andare fieri.

Il portatore della luce

La storia di Echi di un’era perduta non ha subuito grossi stravolgimenti e vede il nostro protagonista, al superamento di una prova che ne sancisce il raggiungimento dell’età adulta, scoprire la verità della sua esistenza, ovvero essere la reincarnazione del Lucente, l’eroe delle leggente e protettore del mondo. Presa coscienza del nostro nuovo stato sociale, ci recheremo nella capitale per far visita al Re di Hellador per essere riveriti proprio come ci si aspetterebbe dall’erede di un eroe. Ma purtroppo non sarà così. Dove si trova la luce si nasconde anche l’ombra. E dello stesso parere è il regnante di Hellador, che ritenendoci un pericolo per tutti gli abitanti del regno, ci farà prigionieri e segnandoci ad una morte certa.

Fortunatamente, nelle celle del castello, faremo l’incontro di Erik, un ladro piuttosto scaltro che, credendo alla nostra storia, ci aiuterà a fuggire. Inizierà così per il Lucente un epico viaggio alla ricerca della sua identità, e del suo destino, e che vi accompagnerà fra gioie ed emozioni per decine di ore, se non centinaia.

Dragon Quest XI S è un pezzo da novanta, uno di quei titoli imprescindibili per gli amanti dei JRPG. E la sua storia è uno di quegli elementi forti che vi terranno incollati al gioco senza darvi un attimo di respiro. Nelle ore in compagnia del Lucente vivrete decine di storie, incontrerete i più bizzarri personaggi e si uniranno a voi altri valorosi eroi, che cercheranno di aiutarvi a portare una speranza nel mondo, nel più classico degli scontri che vede contrapposti il bene e il male, la luce e l’ombra.

Pur usando un approccio classico nella storia, nel modo di raccontarsi e nello svolgimento, Dragon Quest XI S è un JRPG moderno, ricco di spunti interessanti, che non manca di svecchiare anche un gameplay di base stantio.

Classico ieri, moderno oggi

I combattimenti sono a turni e seguono l’impostazione presa da Dragon Quest VIII. Qua troviamo una nuova opzione, pretamente estetica, che permette di svincolare i membri del party dal loro posto e di muoverli liberamente nell’area di gioco. Nulla che influisca ai fini del gameplay, ma una possibilità che rende più dinamico il concetto statico dei combattimenti a turni.

Le opzioni di gioco sono tante e permettono di modificare vari aspetti dello scontro. Innanzitutto è possibile gestire le tattiche del party, decidere se controllare ogni singola mossa, o affidarsi alle scelte dell’IA della CPU, che agirà in base alle preferenze settate, ottimo magari per le fasi più tranquille e di levelling. Questa versione definitiva guadagna anche qualche piccolo aggiustamento, va a migliorare ulteriormente gli scontri. I combattimenti a turni si sà, spesso son tediosi, lunghi e stancanti. Molti non li digeriscono proprio per la lentezza che li contraddistingue rispetto agli action-RPG. Qua possiamo modificare anche la velocità degli scontri, aumentando sostanzialmente il ritmo delle animazioni e degli esiti della battaglia.

In combattimento ritroviamo l’essenza e lo spirito di Dragon Quest. Ogni combattente può effettuare attacchi fisici di base, sfruttare le tecniche imparate o fare affidamento ad abilità spendendo i punti magia. Ad aiutare ulteriormente troviamo i poteri Pimpanti, una sorta di rivisitazione della Tensione introdotta con l’ottavo capitolo. Dopo aver ricevuto una bella dose di danni dai nemici, si attiverà lo status pimpante, che non solo migliorerà momentaneamente le caratteristiche dei propri personaggi ma darà loro l’occasione di effettuare delle mosse speciali che coinvolgeranno due o più membri del party contemporaneamente e che in molti casi sono in grado di ribaltare le sorti di uno scontro.

E visto che abbiamo parlato di tecniche e abilità è giusto citare la Griglia delle Abilità, che traendo ispirazione dal classico modello della sferografia di Final Fantasy X potremo spendere i punti abilità guadagnati salendo di livello per sbloccare tutta una serie di vantaggi, sia attivi che passivi e sviluppare nuove serie di caratteristiche da sfruttare a nostro vantaggio in battaglia. La griglia presenta diversi rami, che a seconda del personaggio, consente di usare armi diverse, o imparare determinate magie. Un sistema che offre una buona personalizzazione e che va a sopperire all’assenza di un job system che a più riprese è stato utilizzato all’interno della serie.

Vivera la vita in un JRPG

Importante poi è la cura del party legata agli equip. Dragon Quest XI S cambia le carte in tavola rispetto al passato ed introduce la Forgia da Viaggio, che da la possibilità di creare (a patto di trovare le ricette necessarie) equipaggiamenti ed oggetti. A conti fatti un elemento di crafting che va a frapporsi al classico acquisto degli armamentari nei negozi, da sempre fin troppo costosi in Dragon Quest. Così facendo il gioco spinge i giocatori ad esplorare con maggiore attenzione, cercando di recuperare ricette e progetti per accedere agli euip più rari e potenti. Anche a parità di oggetto, la forgia permette di ricavarne di potenziati a patto di avere fortuna con il minigioco che consente di forgiare i nuovi item.

A rimarcare l’importanza della forgia all’interno del gioco, Square Enix in questa nuova versione ha permesso di utilizzare la forgia in qualsiasi momento del gioco e non solo durante le soste agli accampamenti, rendendo tutto molto più snello ed immediato.

 

Anche l’esplorazione nella Definitive Edition ha subito qualche modifica, e se già prima potevamo girovagare sfruttando delle monte, in questa nuova uscita si sono sbizzarriti, aggiungendone di nuove, così da cavalcare anche qualche iconico mostro come gli iconici slime. Non manca nemmeno qualche novità sparsa qua e la per la mappa, così come è presente anche un sistema di viaggio rapido per spostarsi velocemente nelle location già visitate.

Nonostante il focus del nostro progresso si sposti sulla forgia, villaggi e città restano una tappa obbligatoria, non solo per il proseguo del nostro viaggio ma anche per la preparazione agli scontri più difficili. Fabbri, negozi, ma anche scuriosare all’interno delle case alla ricerca di nuove ricette, o magari perdere tempo in qualche attività secondaria come il casinò.

Sempre presenti le chiese, rappresentano un punto centrale all’interno dei Dragon Quest e mete fisse per curare i problemi di stato o riportare in vita gli alleati. In questa edizione però tramite le chiese è possibile attivare una delle più grandi novità all’interno di Echi di un’era perduta: la modalità 2D.

Operazione demake 

Rubata” dalla versione per Nintendo 3DS mai arrivata da noi, questo demake 16-bit intratteneva i giocatori sul secondo schermo della console Nintendo. Vista la bontà del lavoro fatto a suo tempo era un peccato che andasse sprecata, e Square Enix ha ben pensato di inserirla all’interno del gioco, così da cambiare volto al mondo di Dragon Quest e vivere un’avventura dal sapore decisamente old school.

Recandoci in chiesa potremo passare dal 3D al 2D in maniera abbastanza indolore, preservando punti esperienza ed oggetti guadagnati, con il solo obbligo di dover ricominciare dall’inizio il capitolo che stiamo giocando. Un piccolo scotto da pagare, probabilmente per allineare i progressi delle due avventure che se pur identiche differiscono in qualche dettaglio.

 

Tra le altre cose il lavoro svolto nel proporre tutta l’avventura come un titolo bidimensionale è notevole, e non fa rimpiangere i ben più moderni modelli 3D. Una chicca per i puristi di Dragon Quest. Limitato a questa modalità grafica troviamo anche un nuovo villaggio, Achronia, contenuto esclusivo di questa edizione ed accessibile solamente sottoforma di sprite.

Sempre parlando di extra abbiamo nuovi costumi per i personaggi per abbellire il loro aspetto, una nuova modalità fotografica, con la quale immortalare i momenti migliori dell’avventura, e tante altre piccole e grandi aggiunte (sono state introdotte nuove quest dedicate ai compagni di viaggio che espandono la storia) che rendono Dragon Quest XI un titolo sicuramente migliore rispetto all’originale.

Come ti infilo tutto su Switch

La preoccupazione più grossa nata all’annuncio del porting per Nintendo Switch riguardava senza ombra di dubbio il comparto grafico. Dragon Quest XI è uno dei JRPG tecnicamente più curati disponibili ad oggi nella sua versione PlayStation 4. Un punto di riferimento per tutte le produzioni giapponesi che è sia bello da giocare, ma soprattuto da vedere. Dai modelli 3D, il cui chara è curato come da tradizione da Akira Toriyama, alle ambientazioni, che sfruttando la potenza dell’Unreal Engine 4 offrono ambienti dettagliati, ben illuminati e con diversi effetti a schermo. Insomma, una vera gioia per gli occhi. Capite quindi che condensare così tanta roba in una piccola console come Nintendo Switch che deve sottostare ai limiti imposti del suo Tegra X1 facesse temere per il peggio.

Invece ci troviamo tra le mani uno dei prodotti più curati e performati usciti su Nintendo Switch. È chiato come si sia dovuti scendere a compromessi per far girare tutto senza problemi, ma il risultato generale è strabiliante. Si riduce la mole poligonale, qualche dettaglio ambientale, così come è cambiata l’illuminazione globale e sono sparite le ombre più complesse e pesanti. Ma il risultato finale resta alto ed invidiabile da molti. Specie nella sua versione portatile, dove nemmeno Xenoblade Chronicles 2 (che si tratta di un first party) era riuscito a mantenersi stabile. C’è da dire che ogni tanto si perde di qualità nel dettaglio dei fondali, i colori sono stranamente più smorti (gli manca quella resa dei materiali che aveva su PS4) o a volte pecca di pulizia generale, ma sono tutte piccole cose in confronto alla mole di dati che riesce a far girare la console Nintendo.

Anche il comparto sonoro viene ritoccato in toto e presentando nuove aggiunte. Su tutte lo sdoganamento della colonna sonora orchestrata, che finalmente ci consente di ascoltare i brani nella loro forma migliore, dal suono più corposo e raffinato, andandosi a parcheggiare di fianco alle tracce originali midi, che restano comunque selezionabili. Resta di fondo una certa ripetitività dei brani presenti, ma le aggiunte permettono di diluire un po’ questa sensazione a livello generale.

Viene inserito anche un inedito doppiaggio giapponese, assente al lancio della versione europea su PlayStation 4 (l’originale giapponese non presentava alcun tipo di dub), che va a chiudere il cerchio di un titolo che rasenta la perfezione.

Meno convincente invece l’adattamento italiano con il doppiaggio che cozza con alcuni dei nomi di personaggi e città, così come la scelta di utilizzare accenti nostrani per replicare i dialetti e gli slang usati in alcuni villaggi del gioco, soluzioni non sempre gradite o riuscite.