Dumbo di Tim Burton spicca il volo, ma fatica a prendere quota.
Disney continua a portare a schermo i suoi classici più famosi, con trasposizioni in live action.
Basti pensare che quest’anno ne vedremo ben tre, con l’Aladdin di Guy Ritchie, Il Re Leone di Jon Favreau e per l’appunto con il Dumbo di Tim Burton, ormai prossimo all’uscita.
Una sequela di film avviata dallo stesso Burton con Alice in Wonderland, nel 2010. Dumbo segue la stessa strada di Alice, a metà tra un reboot e un sequel, e racconta in circa due ore la storia dell’elefantino dalle orecchie grandi.
Purtroppo, nonostante qualche buona idea, il risultato non è tra i migliori.
Basta una piuma
L’inizio di Dumbo è la parte che più mi ha convinto. Nonostante l’aggiunta di nuovi personaggi umani infatti, la nascita dell’elefantino è ben costruita, tanto da instaurare subito empatia col piccolo pachiderma. A differenza del cartone animato l’essere diverso non isolerà Dumbo, che sebbene bullizzato da pubblico e da un membro in particolare del circo Medici, troverà conforto nella Mamma e soprattutto nella famiglia Farrier.
Come trapelava dai trailer infatti, il Dumbo di Tim Burton abbandona il messaggio chiave del classico Disney, per dare una diversa visione della favola meno triste e più adatta ad un pubblico di giovanissimi.
Quando Mamma Jumbo viene portata via, Dumbo non resta da solo, i circensi cercano di consolarlo e soprattutto scopre di poter volare grazie ai due bambini, protagonisti dell’intera pellicola Millie e Joe Farrier. I due hanno perso la madre per una malattia, e il padre Holt (Colin Farrell) è tornato dalla guerra senza un braccio. Proprio Holt Ferrier dovrà badare al piccolo Dumbo, mentre il circo si sposta da una città all’altra cercando di strappare biglietti.
A capo del circo Danny de Vito, perfettamente calato nella parte di Max Medici, capace di regalare qualche momento divertente anche solo con uno sguardo. Durante un numero coi pagliacci, Dumbo mostra in pubblico che può utilizzare le orecchie per volare, a patto che ci sia una piuma nei dintorni a dargli la giusta “spinta”.
Sono previsti elefanti volanti?
L’arrivo del ricco imprenditore V.A. Vandevere (Michael Keaton) e della sua compagna Colette Marchant (Eva Green) sconvolgerà i ritmi del circo Medici. Presidente di Dreamland, Il parco di divertimenti più famoso del mondo, ovviamente non può perdersi un’attrazione stupefacente come un elefante volante.
Il personaggio di Keaton è un misto tra Walt Disney e P.T. Barnum, ma non nel modo positivo visto in passato nelle produzioni con Hugh Jackman e Tom Hanks. Bensì sotto l’aspetto cinico dell’uomo d’affari che farebbe di tutto per i soldi e il successo. Si potrebbe pensare al classico cattivo da film di Tim Burton, peccato che dopo un’ottima introduzione, Vandevere perda ogni tipo di appeal nell’ultimo atto del film.
Lo stesso accade ad Eva Green, bella e fatale come sempre, ma che cambia personalità letteralmente da un’inquadratura all’altra. Se ad un primo sguardo sembrava essere la donna di Keaton, verrà poi conquistata da Dumbo e da Farrell, divenendo un personaggio positivo ed andando ad aiutare nei numeri aerei l’elefantino.
Una storia fin troppo umana e ben poco elefantesca.
È questo il principale difetto di Dumbo: l’elefantino è vittima degli eventi, un co-protagonista che brilla solamente quando è sul palcoscenico, e che resta in disparte per il resto del tempo.
Sotto questo punto però non è colpa del regista (come vedremo dopo) bensì dello sceneggiatore, Ehren Kruger, che non è stato in grado di valorizzare il piccolo Dumbo come si deve.
Tim Burton ed Elisa all’anteprima italiana di Roma.
Riscrivere una favola
Ho già parlato di come Dumbo di Tim Burton riscriva a più riprese il classico, portandolo anche ad una conclusione diversa. Come nel caso di Alice, speravo il regista di Burbank fosse capace di risvegliarsi dal torpore, e garantirmi almeno il suo impatto stilistico.
C’era una scena particolare capace di far soffiare un po’ di vento nella fascia di bonaccia del mio interesse verso questo film: gli elefanti rosa. Davo praticamente per scontato Burton avrebbe dato il meglio in quella scena. E invece, nonostante le musiche di Danny Elfman riescano a rievocare i ricordi del classico Disney, il momento degli elefanti rosa è effimero, fragile quanto una bolla di sapone.
Un Tim Burton più mestierante che regista, non riesce ad emergere in quest’ultimo film, rendendolo facilmente dimenticabile. Dumbo piacerà sicuramente ai più piccoli, che si ritroveranno di fronte un cucciolo tenerissimo. Perché giustamente non lo paragoneranno ad altri lavori del regista, o semplicemente non gli importa farlo.
Sebbene Dumbo sia meglio di Alice in Wonderland, e mi sia piaciuto di più, mi duole ammettere che ho visto molto meno Burton nell’avventura dell’elefantino dalle orecchie grandi rispetto al film del 2010.