Ghost of Tsushima catapulta il giocatore in terra nipponica, tra tradizioni e storie di vendetta.
Incaricato di chiudere la generazione PlayStation 4, a circa un mese dall’uscita di The Last of Us Parte II, Ghost of Tsushima rappresenta la grande scommessa di Sucker Punch.
Può un team occidentale sviluppare un gioco sull’invasione mongola dell’isola giapponese di Tsushima, senza risultare stereotipato e convincendo al contempo l’utente della sua forza ludica?
Ormai sugli scaffali da circa tre settimane, il nuovo titolo dei creatori di InFamous ha folgorato, in positivo e in negativo, pubblico e critica. Ma quali sono i reali punti di forza, e i conseguenti punti deboli, della storia di vendetta e redenzione di Jin Sakai?
Versione testata: PlayStation 4 Pro
Fin dai primi istanti dopo aver avviato il gioco Sucker Punch mette subito in chiaro il tema del racconto. Non ci vuole molto infatti per ritrovarsi a cavallo, in mezzo ai mongoli invasori, circondati da frecce e fiamme. La sconfitta cocente patita dai samurai di Tsushima sulla spiaggia di Komoda, non ferma Jin Sakai, ultimo membro del proprio clan, intenzionato a salvare a ogni costo lo zio prigioniero e a vendicarsi sull’esercito mongolo.
Sulla strada di Jin si staglia il crudele Kothun Khan, generale dell’armata, incaricato di conquistare l’isola con ogni mezzo. Durante il corso dell’avventura, scoprirete che il Khan farebbe di tutto per raggiungere il suo scopo, e questo significa anche non sporcarsi per forza personalmente le mani.
Per fermare l’avanzata nemica Jin ha bisogno di alleati, a partire dalla ladra Yuna, che lo ha salvato da morte certa. La donna gli insegnerà che agire nell’ombra spesso porta vantaggi, mettendo in dubbio l’onore e gli insegnamenti da samurai di Jin.
Ghost of Tsushima è una storia di vendetta e redenzione, un racconto che parla di onore e di dovere, di obbligo e sacrificio come un lungo classico film nipponico.
Non è un caso, o una novità, che la produzione di Sucker Punch sia ispirata fortemente alle pellicole di Akira Kurosawa: non solo per i temi trattati ma anche per diverse inquadrature, tempi dei dialoghi e dinamiche tra i personaggi, oltre che ovviamente per i duelli uno contro uno al chiaro di luna. Ovviamente, non c’è bisogno di aver visto neanche uno dei film del defunto regista per godere a pieno del titolo Sucker Punch ma averli visti potrebbe essere quel quid in più che vi spinge a proseguire.
Perché la prima debolezza di Ghost of Tsushima di cui parleremo è proprio il ritmo del racconto. Nonostante non manchino momenti epici, carichi di adrenalina, tensione e sentimenti, il viaggio di vendetta di Jin è circondato da una serie di attività collaterali che, a lungo andare, intralciano la fluidità del racconto.
Ci sono ovviamente le eccezioni, come i racconti dei comprimari e le leggende, che riescono a ravvivare il ritmo, ma il più delle missioni facoltative sono copie delle precedenti. Non importa si tratti di salvare ostaggi, accendere dei fari o liberare degli avamposti, il compito di Jin sarà sempre il medesimo. L’enorme mappa di Tsushima è disseminata di attività secondarie e collezionabili (un totale di circa 400), che distraggono dalla storia principale diluendo forse esageratamente il tutto. Il risultato è che le circa 40 ore che dovrebbero servire per completare il titolo di Sucker Punch aumentano esponenzialmente in base a quanto esplorerete, e all’ennesima ripetizione di un assalto, potreste decidere che l’avventura di Sakai non fa più per voi.
Spettro o Samurai
Il percorso di vendetta e liberazione di Tsushima è composto da due vie che si accavallano più volte durante tutta l’avventura di Jin. Da una parte la via onorevole del Samurai, che richiede di affrontare i nemici a viso aperto e di abbatterli grazie alle forme di combattimento. Ottenibili liberando i territori conquistati dai mongoli, queste quattro forme sono specifiche per ogni tipo di avversario presente a Tsushima. Cambiabili in qualsiasi momento una volta ottenute, permetteranno a Jin di affrontare intere armate da solo. Tra una parata e un fendente, troviamo anche un contrattacco letale, e una schivata in grado di rallentare l’avversario per permetterci di infliggerli il colpo di grazia. Se all’inizio il tutto può sembrare legnoso, pad alla mano la danza del samurai diventa un gioco ritmico, fatto solo di parate e affondi, che farà cadere i soldati mongoli come semplici mosche una volta padroneggiato.
L’altra opzione di Jin è la via dello Spettro: nata inizialmente dalla necessità di liberare il fratello di Yuna, questa strada porta il giovane Sakai a sputare su tutti i grandi discorsi sull’onore, attaccando alle spalle o dai nascondigli gli ignari e ben poco intelligenti mongoli. La via dello Spettro vi permetterà di mettere le mani su molte armi ninja, come bombe di varia natura, kunai, e campanelli per distrarre l’avversario. L’IA degli avversari è decisamente poco intuitiva ed è facile sgominare intere legioni di mongoli senza far scattare un allarme. Anche dovessero vedervi, basterà nascondersi per tempo per farli distrarre e quindi riprovare l’attacco stealth.
Durante la campagna marketing, era stata data molta enfasi alle due vie, come se, uccidendo più nemici in un modo rispetto all’altro, gli eventi sarebbero cambiati di conseguenza. Praticamente come succedeva nella serie precedente di Sucker Punch.
Purtroppo, mi spiace considerare che il tutto era solo una facciata, e nonostante la presenza di due finali, l’utilizzo di una via o dell’altra non va a cambiare lo svolgimento degli eventi. Da alcuni dialoghi nei primi due atti,sembra che l’idea iniziale fosse proprio quella di un sistema etico ma che, con l’avanzare dello sviluppo, le due vie siano diventate troppo complimentari per essere ignorate. Ci sono attività specifiche che vi richiedono l’utilizzo dello stealth, mentre altre volte dovrete far valere il vostro onore da Samurai. Non è possibile completare il gioco seguendo solo una o l’altra strada escludendo completamente la seconda opzione.
Sbloccando le abilità di entrambe le vie, incontriamo la seconda debolezza di Ghost of Tsushima: il bilanciamento. Se inizialmente sconfiggere i mongoli può sembrare duro, man mano che proseguirete nell’avventura di Jin e ne espanderete le tecniche vi ritroverete nei panni di una vera e propria macchina da guerra. Alcune mosse sono in grado di ammazzare sul posto anche i nemici più resistenti, e rafforzare le armi spettrali vi renderà letali in modo fin troppo semplice. Per poter sbloccare nuove mosse vi basterà accrescere la vostra leggenda con i vari racconti e le quest di cui vi ho parlato prima. Anche ottenere i diversi collezionabili migliorerà le vostre statistiche o vi darà accesso a speciali amuleti per abilità passive. Mi sento in dovere infine di farvi notare che, se siete completisti e prima di spostarvi in una nuova area completate tutte le attività, vi ritroverete nettamente in vantaggio contro i mongoli della zona successiva a causa dell’alta esperienza maturata.
Il vero nemico
E finalmente è ora di parlare del vero nemico di Ghost of Tsushima: non di certo il Khan o nessuno dei suoi generali mongoli, piuttosto l’inusuale e inspiegabile scelta di Sucker Punch di non mettere un lock-on alla telecamera. Il primo impatto con la telecamera del titolo è snervante. Accumulando le ore la situazione migliora, ma capita spesso di non poter inquadrare un nemico, o di non essere abbastanza reattivi e non riuscire a schivare un colpo perché l’inquadratura fa un po’ quello che preferisce. Nelle prime due patch rilasciate in queste settimane la situazione purtroppo non è migliorato, e Sucker Punch ha modificato altri aspetti del gioco per il sottoscritto meno gravi.
Fortunatamente, se da un lato la telecamera immonda potrebbe nettamente rovinarvi l’esperienza di gioco, dall’altro l’estetica e la fedeltà con cui è riprodotta l’isola di Tsushima sono da premiare. Non è un caso infatti che la vera isola abbia iniziato a utilizzare il gioco di Sucker Punch come guida interattiva per i suoi tour. Molti scorci vi lasceranno senza fiato, e lo stesso si può dire di alcuni paesaggi visivamente maestosi. Purtroppo i modelli poligonali dei protagonisti non possono competere con quanto fatto con l’ambiente, sebbene siano nella media di una produzione open world. Infine, ottime anche le musiche composte da Shigeru Umebayashi che si riescono a mescolare alla perfezione con l’esplorazione delle diverse zone, calme durante gli haiku e incalzanti nelle battaglie, un altro punto in comune con i già citati film di Akira Kurosawa.