Ghostbusters: Legacy – La recensione del nuovo film del franchise

Tradizione e famiglia nel sequel diretto da Jason Reitman

Who you gonna Call? Jason Reitman

Iconico cult degli anni ’80, la prima pellicola dedicata ai Ghostbusters non ha nessun bisogno di presentazioni. Il film diretto da un giovane Ivan Reitman ha segnato un’epoca e si è ritagliata un posto di diritto nelle pellicole più iconiche della storia del cinema consacrando a fama eterna il regista e il cast. Nemmeno il tempo sembra aver scalfito questa straordinaria produzione, nonostante i 40 siano ormai inesorabilmente vicini, che gode ancora di un grande blasone e non sembra soffrire dello scorrere del tempo. Ma il tempo invece è passato, magari non sulla celluloide, ma nella vita vera si. Il cast originale è invecchiato, il regista è invecchiato e qualcuno di molto importante non c’è più, Ghostbusters: Legacy, è un passaggio di consegne, l’eredità di un franchise che merita di essere vivo. Jason Reitman si prende questa responsabilità, e chi se non meglio di lui che in questa famiglia ci è cresciuto può dare il giusto tono ai Ghostbusters. Chi meglio del figlio di Ivan può parlare dell’eredità che ha lasciato il compianto Harold Ramis, lo strambo scienziato Egon Spengler del film e lo sceneggiatore della prima pellicola. Reitman è probabilmente l’uomo giusto al momento giusto, perché dopo la delusione del 2016 la paura che anche questa nuova pellicola potesse ricalcare le terribile orme di quella pellicola erano davvero tante. Invece, Ghostbusters: Legacy sorprende, diverte e fa dimenticare gli errori del passato. E proprio per rispettare le volontà di Jason, non farò spoiler di nessun tipo.

La Sinossi

Callie (Carrie Coon) e i suoi due figli, Phoebe (Mckenna Grace) e Trevor (Finn Wolfhard). Dopo essere rimasti senza un soldo, i tre si trasferiscono a Summerville in una fattoria isolata e macabra, ereditata dopo la morte del nonno. Nella cittadina iniziano a manifestarsi strani fenomeni: piccole scosse fanno tremare la terra, ma non sono collegabili a nessun movimento sismico.Un giorno Phoebe trova nascosto in salotto uno strano marchingegno e decide di portalo a scuola, causando l’entusiasmo del suo insegnante, Mr. Grooberson (Paul Rudd). L’uomo le rivela che il macchinario è una copia perfetta di una trappola per fantasmi e, convinto che i sismi siano riconducibili ad attività paranormali, racconta a Phoebe di come New York, invasa negli anni ’80 dagli spiriti, sia stata messa in salvo da un team di Acchiappafantasmi. Ma la trappola non è affatto una copia e Trevor e Phoebe, seguendo le orme di un passato a loro sconosciuto fino a quel momento, si improvviseranno cacciatori di fantasmi per salvare la cittadina di Summerville dalla sua anomala attività sismica.


Ghostbusters: Afterlife, questo il titolo originale, riesce a riportare la magia degli acchiappafantasmi originali al cinema. Tutto sembra funzionare, tutto sembra girare su binari solidi e rodati, dal cast alla sceneggiatura. Il merito non credo sia identificabile in un singolo ma credo si possa parlare di una congiunzione di fattori. Jason Reitman è l’uomo giusto al momento giusto, conosce bene questo franchise e conosce bene questa famiglia. Supportato dal padre, per sua stessa ammissione, si mette dietro la macchina da prese per raccontare una storia di grande semplicità che punta tutto sull’emozione e sullo stupore. Lavorando sia sulla scrittura della pellicola, affiancando Gil Kenan, riesce ha gestire perfettamente il lavoro dietro alla macchina da presa, perfettamente consapevole di quello che voleva raccontare e di come farlo vivere allo spettatore. Reitman non è un regista alle prime armi, anzi è uno dei nomi più interessanti degli ultimi 15 anni, ha esordito con Thank you for Smoking nel 2005 e Juno nel 2008, continuando poi a dirigere pellicole impegnate e sempre più o meno riuscite.

La sua grande abilità nel dare spazio e grande spessore ai personaggi è uno dei punti di forza di Ghostbusters: Legacy. La storia è marginale, un motore di fondo usato solo per muovere i personaggi in direzioni precise al fine di lasciargli esprimere le loro storie e le loro emozioni. I personaggi infatti sono il fulcro di tutto. La loro crescita psicologica e emotiva è gestita in modo egregio. Non è solo, però, un merito di scrittura e regia. Il cast sembra nato per questi ruoli, per prendere in mano il testimone importante di questo franchise. Partendo dalla giovanissima Mckenna Grace che ruba la scena a tutti con la sua Phoebe Spengler, una giovane ragazzina appassionata di scienza che porta con se tutti i tratti del nonno Egon. Mckenna è credibilissima nel ruolo e bravissima nel non mostrare le emozioni proprio come il personaggio di Egon. Al suo fianco troviamo Finn Wolfhard, volto noto di Stranger Things, che interpreta il fratello adolescente di Phoebe Trevor Spengler. Anche il giovane attore è perfetto per il ruolo, con tempi comici incredibilmente azzeccati. Per chiudere il cast ci sono Carrie Coon, che interpreta la mamma dei due ragazzi, Paul Rudd che fa il professore strambo di Phoebe, Logan Kim nel divertente personaggio di Podcast l’unico amico di Phoebe e Celeste O’Connor, giovane adolescente amica di Trevor. Questi quattro sono i perfetti gregari dei due giovani Spengler, che completano così un gruppo di personaggi ognuno con le sue peculiarità e sfaccettature.

Ghostbusters: Legacy è un film necessariamente legato al passato. Si interseca con le prime due pellicole, non se ne discosta mai e rimane legata alla loro natura viscerale. Quello che fa Reitman è fondere le due realtà. Nella prima ora viviamo quello stupore e fascinazione della scoperta del passato attraverso la cura delle immagini e dei dettagli. La scelta di lasciare gli effetti visivi più simili possibili al film dell’84 riesce nell’intento di tenerci legati emotivamente alla pellicola anche visivamente, anche scegliere di spostare gli avvenimenti in una piccola cittadina dell’Oklahoma aiuta e funziona probabilmente meglio che ambientarlo in una New York contemporanea, troppo frenetica per lasciare respirare i personaggi. Quello di Reitman è un esperimento pericoloso, una scommessa che per ora ha pagato bene. Ma nell’eventualità di un sequel, usare questi schemi che toccano le corde emotive dei fan probabilmente risulterebbe stucchevole.

Le criticità che si possono sollevare sono davvero limitate a pochi dettagli relativi. Ci sono un paio di dettagli che non mi hanno convinto, principalmente la colonna sonora che oltre a non essere particolarmente memorabile a tratti risulta invasiva coprendo troppo i suoni iconici come le sirene della Ecto-1. E l’eccessiva velocità della narrazione tra primo e secondo atto. Lasciare magari un po’ più di spazio alla narrazione dei personaggi, vedendo quanto son ben studiati, non mi sarebbe per nulla dispiaciuto anche se così la durata si sarebbe allungata forse un po’ troppo. Per tutto il resto funziona e va bene così com’è. La regia di Reitman è ben strutturata e nella prima parte da ben risalto ai dettagli e alle emozioni dei personaggi. Anche la parte più action è avvincente e dinamica, i giovani attori sembrano avere tutte le carte per essere ottimi Ghostbusters già a questa età.

Ghostbusters: Legacy è quella pellicola che non ti aspetti. Che funziona in tutto non perché sia una grande pellicola ma semplicemente perché è destinata a funzionare. Proprio come il primo l’insieme di elementi messi in gioco è perfetta e funziona come un ingranaggio ben oliato. Questo sequel diretto del franchise, quello del 2016 non ne fa parte a tutti gli effetti, è un film che parla di famiglia, di eredità importanti e di emozioni con estrema capacità e qualità, non dimenticando di divertire, stupire e affascinare. Ghostbusters: Legacy merita di essere visto, merita di essere un film chiacchierato. Non è un film solo per i fan perché le note emozionali con cui gioca sono universali e messe in campo con sapiente maestria, ma sicuramente l’importanza che avrà per i fan e l’emozione che scaturirà in loro sarà ben diversa rispetto a quella che può smuovere in quelli che non hanno legami con pellicola originale. Il lavoro di Reitman da speranza ad un franchise che sembrava destinato ad essere morto.