Grand Hotel Abisso, quando la denuncia sociale si trasforma in retorica – Recensione

Il periodo storico è molto contemporaneo nonostante il fittizio futuro, ma porta con sé fin troppe accuse e poche soluzioni.

Grand Hotel Abisso è un’opera che inizialmente vi donerà una buona dose di sorpresa, ma poi finisce per deludervi a causa di ridondanze e retoriche estenuanti. L’ambientazione è quella di un fittizio futuro distopico che in realtà non è altro che un presente portato all’eccesso. La società è governata dalle grandi aziende e dai media, le fake news sono all’ordine del giorno e il neoliberalismo è diventata una sorta di religione di stato. Tutto questo viene descritto con storie e disegni fuori dalle righe, ma finisce per esagerare e diventare fin troppo fine a se stesso.

Veniamo quindi catapultati all’interno di un presunto futuro prossimo e la prima cosa che ci viene mostrata è un uomo che si allena compulsivamente e duramente nella sua stanza, mentre la televisione è accesa sui canali di notizie che diffondono informazioni sempre più drammatiche e cruente. Fin dalle prime pagine notiamo subito un qualcosa di già vissuto: le didascalie che arricchiscono le tavole riecheggiano ricordi familiari e quindi ci incuriosiscono e ci portano a scoprire chi le abbia inizialmente pronunciate. Contemporaneamente, però, la stanza viene invasa proprio da queste notizie che opprimono la figura possente e sicura dell’uomo e le tolgono lo spazio vitale arrivando ad occuparne occhi e mente. Questa scene aiutano a spiegare come anche un uomo sicuro di sé, estremamente virile e potenzialmente disinteressato, in realtà viene abbattuto da notizie che riguardano la crisi economica, la perdita dei valori morali e la vittoria della realtà virtuale sulla vita reale.

A questo punto una frase impressa nelle tavole spinge la popolazione alla ribellione, al cambiamento e porta l’intera opera su binari simil-futuristici, ma che hanno una connotazione ancora più contemporanei. I mass media e le corporazioni adesso dominano interamente la società, la politica e l’economia e nel frattempo la popolazione viene presa in giro nonostante l’evidente sofferenza. I potenti si arricchiscono, i poveri hanno sempre meno importanza e questa errata legge del più forte accresce un malumore dilagante e pertanto basta una scintilla per causare un atto violento e una ribellione senza fine.

Questo incipit non è altro che il canovaccio narrativo di Grand Hotel Abisso, graphic novel realizzato dagli spagnoli Marcos Prior e David Rubìn e portato sul mercato italiano da Tunué. Nonostante la poca originalità della storia, l’idea è nata da un’esperienza traumatica vissuta proprio dai due autori nel corso della grave crisi economica vissuta dalla Spagna qualche anno fa. Il loro interesse è quindi chiaro: vogliono mostrare una sorta di riflessione politica sul nostro mondo, in particolare quello Occidentale, e per rendere l’idea più chiara hanno deciso di trasporla in un futuro fittizio. Non c’è, quindi, nulla di meglio di mostrare tutto questo attraverso la potenza della parola e del disegno che permettono di percepire perfettamente la rabbia e l’insofferenza del popolo. Proprio per questi due ultimi problemi, i due autori vogliono anche lanciare un chiaro segnale dall’arme alle forze politiche ed economiche che dovrebbero avere il compito di spianare le diseguaglianze sociali. Non a caso questa opera è stata una sorta di monito ai Gilet Gialli francesi.

Si comprendono questi aspetti già a partire dal titolo dell’opera che è tratto da una serie di scritti realizzati dal filosofo marxista Manuel Sacristàn, anch’egli di nazionalità spagnola. Il filosofo è famoso per il suo pensiero programmatico e sempre intento a sintetizzare la condizione del mondo contemporaneo con una lente di ingrandimento su quello occidentale. Il graphic novel prende spunto proprio dall’immagine del filosofo che guarda l’abisso mentre sorseggia un cocktail in un hotel in decadenza e proprio in questo abisso, Prior e Rubìn vogliono portarci il lettore.

La storia non ha, quindi, protagonisti e non ha nemmeno una vera e propria trama, ma un costante crescendo di tensioni descritte con un ritmo, visivo e narrativo, frenetico e confuso. Proprio questa confusione e frenesia rappresentano la volontà da parte degli autori, di risvegliare gli animi dei lettori, ma purtroppo finiscono per divenire controproducenti e rendono l’opera fin troppo retorica. Si riempie di riferimenti alla cultura popolare osservati come una tirannia e pertanto spunta anche Topolino visto come il simbolo di una dittatura culturale dell’intrattenimento industriale. Porta con sé anche un peso politico non indifferente, ma anch’esso esagerato che arriva al culmine quando si osservano due intellettuali di sinistra dialogare di politica in mezzo alle macerie, a simboleggiare che la politica prettamente di sinistra è la loro unica fonte di salvezza.

Quel poco di trama che emerge non spicca certo per originalità e risulta fin troppo derivativa. Non è la prima opera a fumetti che parla di dittatura, futuri distopici, crisi politiche, economiche, sociali e ribellioni, ma qui si finisce per esagerare. Ad esempio il ribelle mascherato diventa simbolo di libertà, che porta il popolo alla lotta estrema contro una società totalitaria e i mass media sono gli unici occhi e bocca di questa società e dei ribelli. Sono riferimenti ormai ampiamente osservati a partire da V per Vendetta e a continuare con Invisibles o addirittura Il ritorno del Cavaliere Oscuro.

Il vero punto di forza di Grand Hotel Abisso è il disegnatore David Rubìn che riesce a catturare l’attenzione del lettore con le sue belle, originali e folli tavole (di cui è presente anche un dietro le quine al termine dell’opera). Ogni tavola simula uno schermo televisivo a volte chiaro e a volte con qualche interferenza (su questo aspetto ci torneremo più avanti). Il formato orizzontale dell’opera lo aiuta molto così come gli schizzi di Prior. Così le scene di azione diventano corpose e frenetiche e le ambientazioni crude, ma dettagliate e realistiche. Rubìn è anche abile nel suo virtuosismo stilistico che lo porta a realizzare vignette dalle forme più disparate, ma lineari e disegni simili a delle caricature, ma realistici. Questi elementi contribuiscono ad elevare il ritmo fino alla conclusione in cui l’inquadratura si libera dai limiti delle tavole e si allarga a mo’ di speranza verso il lettore.

Il colore, in Grand Hotel Abisso, riveste un significato narrativo molto forte anche a causa dell’uso di palette accese e con una forte predominanza dei toni del rosso. Si vede l’intento di sottolineare un’atmosfera di rivolta violente ed esalta anche l’azione dei personaggi e la velocità del racconto. A tal proposito si utilizza anche un espediente futuristico con le onomatopee che sono l’unico vero e proprio elemento grafico-narrativo che interagiscono con l’ambiente circostante. Per quanto riguarda l’effetto interferenza delle trasmissioni televisive, citato poco sopra, in realtà è l’unico espediente poco riuscito perché non fa altro che distrarre il lettore e lo svia dal vero punto di interesse. I colori infatti si mescolano e si confondono e in realtà disturbano anche la visione delle stesse tavole.

Ringrazio Tunué per avermi dato la possibilità di leggere questo graphic novel e vi lascio al link di acquisto Amazon.