La Casa di Carta 4: cosa è andato storto?
Quello che aveva colpito il pubblico, conquistandolo, nelle prime stagioni de La Casa di Carta, era la sua studiata semplicità nel raccontare la rivincita di persone emarginate, sui poteri forti. Persone pronte a qualsiasi cosa pur di riscattarsi e poter vivere finalmente felici. Si trattava di una storia che faceva leva sull’attuale contesto storico sociale, dove le istituzioni pensano ad arricchirsi e lasciano a loro stessi il popolo a cui dovrebbero garantire un futuro sicuro e benessere. Il crollo di queste certezze, mai vicino a noi come adesso, ha portato lo spettatore a identificarsi facilmente con la banda delle maschere di Dalì, ed era lo stesso motivo per cui inizialmente i protagonisti sono stati tanto apprezzati. Tranne Tokyo. Tokyo mai.
Era uno schema narrativo che funzionava, arricchito da un’estetica ben curata, a partire dalle tute rosse e le maschere, che all’occhio risultavano decisamente accattivanti. Così come erano coinvolgenti le scene d’azione intervallate dai flashback che puntata dopo puntata svelavano il piano intricato ma perfetto del Professore (Álvaro Morte).
Questo fino alla fine della seconda stagione.
Adesso, che siamo arrivati alla quarta, ci troviamo di fronte a una serie tv che non è altro che la caricatura di se stessa, così come lo sono diventati i personaggi che non sono cresciuti ma sembrano regrediti allo stadio infantile.
Inutile girarci intorno: le idee sono finite.
Ma facciamo un passo indietro e riprendiamo da dove eravamo rimasti per analizzare quello che non va in questa quarta stagione de La Casa di Carta.
Banca di Spagna. Il gruppo sta portando avanti la loro missione: rubare l’oro e salvare Rio (Miguel Herrán) finito nelle mani della polizia e torturato. Dopo il successo iniziale in cui riescono a liberare il ragazzo, il piano inizia lentamente a sgretolarsi, a seguito di numerosi imprevisti architettati dalla nuova ispettrice di polizia, Alicia Sierra (Najwa Nimri), imprevedibile e senza scrupoli. Dopo che viene simulata la morte di Lisbona (Itziar Ituño), il Professore perde il controllo della situazione e chiede a Palermo (Rodrigo de la Serna) di lanciare due razzi contro l’esercito spagnolo; pochi istanti dopo Nairobi (Alba Flores) viene colpita da un proiettile: è guerra aperta.
Così ci aveva lasciato la terza stagione.
La parte 4 de La Casa di Carta si apre in maniera troppo inverosimile; in primis per quanto riguarda la parte medica. Premettendo che in generale sia nei film che nelle serie tv è impossibile essere troppo accurati ed è anche normale che alcuni passaggi vengano travisati e semplificati, in questo caso si va decisamente oltre. Non è credibile che Tokyo&Co si improvvisino medici/chirurghi per l’operazione di Nairobi che è di una difficoltà estrema, per cui servono anni e anni di pratica. Non bastano tre lezioni col Professore a darti le competenze necessarie.
Il racconto procede comunque molto a rilento, soprattutto nelle prime puntate, e gli espedienti narrativi risultano deboli per mancanza di idee evidenti. Il ritmo è calato e i flashback che dovrebbero arricchire la trama sono fastidiosi, in più non aggiungono niente alla caratterizzazione del personaggio di Berlino (Pedro Alonso), che il più delle volte ne è il protagonista. Lui, uomo cinico e sprezzante, incurante di tutto, che si mette a cantare Umberto Tozzi. Ma nemmeno su Marte. Ci hanno provato con la strizzatina d’occhio al pubblico italiano, eppure non ha fatto altro che peggiorare la situazione.
Più si va avanti con la visione e più ci si rende conto che moltissime delle scene presenti non sono altro che un bieco tentativo di riempire il tempo. Uno su tutti è il dialogo tra Nairobi e il Professore, in cui lei avanza una richiesta totalmente senza senso e fuori contesto; una richiesta che però viene accolta da Sergio perché dai, alla fine “io ti ho sempre chiesto di fare cose più difficili di questa, quindi ci sto”. Pronto, polizia?
Allo stesso modo anche il personaggio di Manila (Belén Cuesta), infiltrata nella banda per tenere sotto controllo gli ostaggi, sembra essere stato messo lì solo per fare pubblicità progresso alla comunità LGBT; che va bene, ci sta, però ci si aspetterebbe che avesse anche un ruolo un minimo incisivo e invece il nulla cosmico. Non è nemmeno un personaggio con la funzione di deus ex machina, niente, non è altro che un’aggiunta per allungare il brodo a una sceneggiatura sempre più confusionaria.
A differenza delle prime due stagioni, qui l’attenzione viene spostata esclusivamente sulle storie personali dei protagonisti che però non hanno niente di interessante da dire e i dialoghi risultano inutili se insensati. Tokyo sembra che abbia come unico obiettivo quello di scoparsi chiunque le rivolga la parola e vengono fuori siparietti decisamente imbarazzanti. Anche Stoccolma (Esther Acebo) sembra perdere qualche colpo quando, in un litigio con Denver (Jaime Lorente), lo accusa di essere una persona violenta e fuori controllo… poco credibile detto da una che imbraccia un mitra.
Ahimè il sapore è sempre più quello di una telenovela; peccato perché ci avevano fatto quasi credere il contrario.
A metà della serie l’attenzione si sposta dalla rapina alla lotta intestina per la sopravvivenza contro Gandìa (Josè Manuel Poga), il capo della sicurezza del governatore della Banca di Spagna, spietato e deciso a fare fuori tutti i componenti della banda. Un plot twist che però fa perdere di vista tutto il punto centrale della storia, e quello che dovrebbe essere un antagonista secondario, si prende tutta la scena generando ancora più caos. Caos che rappresenta in pieno lo spirito della serie, dove i personaggi si muovono come animali in trappola che scalpitano per fuggire. Un delirio in cui si dà vita a scene tamarre prorompenti.
Le forzature sono evidenti e lo si evince anche nell’elaborazione del piano finale del Professore che, ancora una volta, non è credibile. Va bene calcolare tutto nei minimi particolari, ma con un limite. Ok avere delle soluzioni alternative in previsione di risvolti sfavorevoli, però in questa stagione si arriva a un punto in cui è impossibile anche solo lontanamente ipotizzare che certi eventi sarebbero potuti accadere. E tutta questa genialità del Professore va comunque a farsi benedire proprio sul finale, dopo che ogni sua strategia più contorta viene portata a termine, ecco che sorge una domanda: ma pensare a due bestioni da mettere a guardia del nascondiglio no? No perché altrimenti niente quinta stagione.
Insomma, La Casa di Carta fa un grande buco nell’acqua; è (per citare la serie) una 500 che si crede una Maserati e alla fine ci troviamo a fare il tifo per Arturito. Se vorrete guardarla “preparate i ravioli, vi servirà energia”.