The Outer Worlds – Recensione

The Outer Worlds è un gioco che assorbe molte caratteristiche dal franchise di Fallout, ma le migliora adattandole ad una storia matura ed ironica.

C’era un tempo in cui il franchise di Fallout era tra le vette videoludiche per quanto riguarda i GDR. Un tempo non molto lontano, ma che percettivamente lo sembra con l’uscita prima di Fallout 4 e poi del disastroso Fallout 76. Il pubblico, pertanto, ha richiesto a gran voce un GDR che potesse replicare le atmosfere ludiche e narrative dei tempi d’oro della serie ed ecco che, mentre Bethesda arranca nella ricerca costante di correre ai ripari per riottenere la fiducia della community, Obsidian Entertainment sforna un GDR di classe in un momento a dir poco perfetto. Ecco a voi la recensione di The Outer Worlds.

Versione testata: PC

La volontà di rivalsa di Obsidian Entertainment 

Obsidian Entertainment non è una novizia in questo genere di giochi, anzi può essere considerata come una delle software house più importanti del settore. È infatti celebre per aver sviluppato giochi del calibro di Neverwinter Nights 2, Star Wars Knights of the Old Republic II, Pillars of Eternity e Fallout: New Vegas, quest’ultimo insieme proprio a Bethesda. The Outer Worlds può essere visto come un successore sentimentale e spirituale proprio di quest’ultimo dato che quello effettivo, ovvero Fallout 4, ha deluso non poco le aspettative. The Outer Worlds è anche la prima creazione da quando lo studio di sviluppo è passato sotto il controllo di Microsoft ed è evidente la voglia di rivalsa e di dimostrare la propria superiorità rispetto a Bethesda nel campo dei GDR.

Il gioco è una IP totalmente nuova che nasce sotto il marchio di Private Division, una nuova etichetta creata da Take Two, che come avviene per Focus Home Interactive, prospetta di offrire il proprio supporto a quegli studi di sviluppo indipendenti che hanno all’attivo delle produzioni di alto livello. In questo caso, infatti, hanno preso parte allo sviluppo due veterani come Tim Cain e Leonard Boyarsky nonché i creatori dei primi due Fallout sviluppati dall’ormai chiusa Troika Games.Tutto questo serve per comprendere che i componenti per realizzare un videogame di altissima qualità ci sono tutti. Effettivamente possiamo spoilerarvi che questo connubio ha effettivamente creato un videogioco che potrebbe benissimo essere il primogenito di una potenziale serie di GDR di cui Bethesda e non solo dovrebbero inevitabilmente stare attenti.

Un mondo dittatoriale sci-fi in chiave ironica

The Outer Worlds vede una differenziazione da Fallout già dall’ambientazione: non siamo infatti in un’epoca post-apocalittica, bensì in un mondo sci-fi molto vivo e organizzato. Il nostro protagonista, completamente personalizzabile attraverso un facile, veloce e completo editor di creazione, viene spedito, tramite ibernazione, nel sistema di Alcione insieme ad altre migliaia di persone con l’intento di colonizzarlo. Qualcosa però va storto e il nostro eroe non viene risvegliato immediatamente, ma soltanto molti anni dopo da uno scienziato, Phineas Welles, il cui obiettivo è quello di risvegliare tutte le persone rimaste in ibernazione per cercare di salvare Alcione dal suo stato di decadimento più totale. Questo perché in questo sistema solare sono situati un gruppo di pianeti coloniali finiti sotto il controllo del Consiglio, una multinazionale senza scrupoli che controlla la vita di ogni essere vivente.

Ecco quindi che spuntano le tematiche dei lavori forzati nelle fabbriche, dell’assistenza sanitaria limitata, delle condizioni di vita pessime e quindi della vita sotto un governo dittatoriale. Il contesto in cui ci troveremo sarà decisamente triste e crudo: assisteremo inermi alla morte di personaggi a cui ci affezioneremo e a racconti strazianti da parte di essi o di cittadini che incontreremo nel corso dei nostri viaggi. Questa melanconia viene, però, mascherata da un’ironia pungente e onnipresente che ha reso celebre sia Obsidian Entertainment che la vecchia Troika Games. Vi sarà molto black humor, ma inserito in modo brillante e sarà capace di divertire e coinvolgere il giocatore nel corso dei numerosi, e forse anche esagerati, dialoghi ad opzioni multiple presenti all’interno del gioco. Il contesto di The Outer Worlds, quindi, resta quasi sempre assurdo e comico, portando agli estremi il concetto di capitalismo e riuscendo a muovere il giocatore verso temi ideologici come la dicotomia tra anarchia e dittatura.

Un falso open world lineare

The Outer Worlds, per quanto possa sembrarlo sulla carta, non è un gioco di ruolo open world. Il mondo di gioco si struttura su ambienti molto grandi, ma abbastanza circoscritti. Ci si muove attraverso macroaree separate unicamente dai caricamenti, un po’ come avviene anche in giochi come Mass Effect, The Surge 2 o Borderlands 3. Questo, però, non limita la durata complessiva dell’opera poiché avendo una quantità molto alta di missioni principali, secondarie e assegnazioni essa raggiunge facilmente le 40 ore di gioco e permette anche una certa rigiocabilità dato che sono presenti due finali principali di cui uno positivo e uno negativo.

La mancanza di un contesto open world ha permesso agli sviluppatori di realizzare una struttura più lineare per i mondi visitabili con la presenza di mappe elaborate, ma ben studiate per evitare che i giocatori possano disorientarsi o perdere l’organizzazione tra obiettivi secondari o principali. Come avviene in Borderlands 3, è possibile anche qui selezionare la missione che si vuole seguire ed essa avrà un puntatore sia sulla mappa principale che sulla minimappa così da rendere più semplice il raggiungimento. Questo aspetto potrebbe far storcere il naso ai puristi del GDR abituati a vasti mondi esplorabili come avveniva nei celebri Fallout, ma il motivo di questa scelta va chiaramente ricondotto ad un basso budget in confronto proprio a quello che era stato stanziato per la saga di Fallout.

Le mappe, nonostante siano suddivise in macroaree, sono comunque abbastanza grandi, ricche di dettagli e con tanto di segreti e misteri da scoprire. La linearità, però, si osserva quando bisogna andare da un punto ad un altro e siamo costretti a passare attraverso accampamenti con nemici ostili. In non pochi casi, infatti, è presente una sola strada che passa attraverso piccoli villaggi popolati da nemici e questo ci obbligherà a combattere, soprattutto nelle prime fasi di gioco quando non avremo sbloccato l’abilità di attacco furtivo. Inevitabilmente avremo uno spargimento di sangue sia nelle fila nemiche che purtroppo nelle fila amiche qualora non fossimo in grado di difendere i compagni. Questo aspetto fa aprire una parentesi riguardo all’intelligenza artificiale che vede non pochi difetti soprattutto per quanto riguarda quella dei nostri compagni. Quasi sempre hanno bisogno di una nostra indicazione perché o non attaccano il nemici o quando lo fanno non capiscono che invece di andare dritti al punto, avrebbero bisogno di mettersi in copertura in particolare quando i nemici sono superiori numericamente.

Diversi approcci alle missioni a seconda dei nostri punti abilità

Passando invece alle missioni principali e secondarie, esse sono varie e possono regalare numerose soddisfazioni in base all’approccio che si deciderà di applicare durante i dialoghi. I dialoghi sono caratterizzati da numerose opzioni diverse in relazione, anche, ai punti spesi nel potenziamento delle capacità interattive del proprio personaggio. Ogni volta che si sale di livello, è infatti possibile spendere dei punti nelle statistiche affiancate a sua volte da un sistema di abilità passive che, se presi nell’insieme permettono di costruire una build unica e specifica. Ad esempio è possibile creare un grande oratore esperto nelle conversazioni anche più complesse, un soldato esperto di armi bianche o da fuoco o un medico abilissimo nella creazione di intrugli guaritivi o veleni. Insomma, la scelta è unicamente vostra e si basa su una oltre una decina di profili diversi.

Bisogna stare molto attenti alle scelte che si prendono poiché se si investiranno pochi punti nella crescita verbale del personaggio, i dialoghi potrebbero offrire delle opzioni decisamente fuori luogo che potrebbero anche compromettere la risoluzione di una missione senza l’uso delle armi. A sua volta, però, sarà necessario anche potenziare l’aspetto militare e l’aspetto stealth per non rischiare di trovarsi impreparati in questo genere di missioni. Nel corso dell’avventura sarà anche possibile reclutare degli alleati, anch’essi personalizzabili per quanto riguarda l’equipaggiamento e le abilità passive e a cui si associano delle missioni secondarie dedicate a migliorare il rapporto con essi (o peggiorarli qualora non fossimo in grado di gestire la situazione). Quest’ultimo aspetto, per quanto possa essere interessante, in realtà è molto fine a se stesso poiché sarà anche possibile prendere parte a tutte le missioni completamente da soli. Questo perché lo permette lo stesso gioco attraverso delle abilità passive che aumentano i danni negli scontri se essi si svolgono in solitaria. Il loro ruolo nella trama, inoltre, è abbastanza di contorno sia durante gli scontri che durante le decisioni da prendere.

Gunplay e comparto tecnico alla Fallout

Passando al gunplay, The Outer Worlds presenta delle meccaniche classiche degli sparatutto in prima persona, ma decisamente lontane da quanto si può vedere in un titolo tecnico come Call of Duty o Borderlands. Intanto è molto limitato a causa dei numerosi dialoghi e poi è molto simile a quanto visto nei vari Fallout, ma con un feeling decisamente migliorato. Non brilla certamente per originalità e dinamismo, ma spesso risulta piacevole soprattutto con armi a medio e lungo raggio. Discorso diverso, invece, per quanto riguarda gli scontri corpo a corpo che si mostrano poco convincenti anche a causa di un sistema di animazioni legnose e imprecise. Il numero di armi bianche è vario ed esteticamente alcune sono davvero belle e curiose, ma purtroppo alla fine l’unica differenza tra di esse sta nei punti ferita e nelle abilità. In ogni caso sia le armi che le armature possono essere completamente potenziate e modificate negli appositi banchi da lavoro. Questo aspetto è stato ripreso a piene mani da Fallout, così come lo S.P.A.V. ovvero l’abilità ricaricabile che consente di rallentare il tempo per colpire determinati punti dei nemici così da sconfiggerli più facilmente o rallentarli per dedicarsi ad altro.

Dove soffre maggiormente The Outer Wordls è il comparto tecnico. Quest’ultimo è decisamente limitato in non pochi aspetti: le animazioni dei personaggi sono legnose e irrealistiche e la realizzazione grafica presenta una cura dei dettagli incredibile, ma di qualità non a passo con i tempi. Le texture, infatti, sono poco definite e non all’altezza dei giochi del momento. Gli sviluppatori, però, sono stati molto furbi perché hanno coperto i problemi grafici con un paesaggio ricco di colori e scenari spettacolari molto simili proprio a Borderlands o No Man’s Sky. Su PC, piattaforma su cui l’abbiamo giocato, abbiamo potuto scoprire degli scorci davvero magnifici, intervallati però da zone poco interessanti e con poche cose da vedere e da fare. Il gioco è caratterizzato anche da numerosi caricamenti ed essi non sempre sono immediati, spezzando non poche volte il ritmo del gioco. Non abbiamo notato, però, cali di frame rate o bug fastidiosi, ma purtroppo qualche fastidioso crash nonostante l’ottima ottimizzazione del gioco anche per hardware non di ultima uscita. Di alto livello, invece, il comparto audio con un ottimo doppiaggio in inglese e una interessante, anche se ripetitiva, colonna sonora. I suoni ambientali, infine, non sono fastidiosi e hanno un’ottima localizzazione per capire bene da dove provengono quando si indossano le cuffie. Un po’ meno, purtroppo, i suoni delle armi bianche che sono pressoché gli stessi per ogni arma e poco realistici.